Sembra
allora logico prevedere che le democrazie occidentali debbano rivedere la
formula di Governo nei paesi da loro militarmente occupati. Esse non debbono
far posto al partito comunista più di quel tanto che in Serbia, in Bulgaria, in
Romania e in Polonia vien fatto posto, per esempio, ai liberali. Se il
continente euro-asiatico dominato dal comunismo arriva ormai al centro della
Germania, a Vienna, all'Adriatico e domanda di controllare gli Stretti, il
Dodecanneso e di avere il proprio posto al sole in Africa, ci sembra un atto
di legittima difesa provvedere negli Stati occidentali alla formazione di
integrali governi democratici con esclusione di ogni totalitarismo sia fascista
che comunista. Questo è in parte compito di Londra e di Washington, in parte
compito dei paesi occidentali a mano a mano che essi riacquistano coscienza
della loro funzione e delle loro finalità. Meglio sarebbe stato senza dubbio
raggiungere dopo le due guerre mondiali una forma federativa del Continente, ma
le due guerre hanno seminato non solo tante rovine, ma .tanti odii e tanti
rancori e hanno scatenato così fatte ambizioni da rendere impossibile un accordo generale. Già pesa sull'Europa il
grande problema tedesco : questo vacuum germanico nel cuore del Continente che
impedisce ogni accordo proficuo; poi esiste l'ostilità sovietica a ogni intesa
regionale occidentale con il pretesto di opporsi ad un ritorno all'antico
cordone sanitario. I russi gradiscono però una unione dei piccoli slavi sotto
il dominio di Mosca e dei suoi Tito. Perfino un modesto accenno di Léon Blum
ad- una unione dei paesi occidentali è stato violentemente criticato dalla
Prawda di Mosca. L'Europa deve quindi andare in rovina e deve divenire tutt'al
più un'appendice dell'Asia. Se questo costituisce un interesse della Russia
esso non è certamente, nè un interesse anglosassone, nè un interesse
scandinavo, francese, italiano, spagnolo, portoghese, greco, turco, ecc.
E
veniamo all'Italia. Cerchiamo di comprendere come e su quale base si può
ricostituire una classe politica e una forma durevole e unitaria di governo. Il
fascismo ha interrotto il processo di democrazia parlamentare nel paese. La
logica e il buon senso suggerirebbero di ritornare al punto in cui quel
processo nel 1922 o nel 1925, fu interrotto. Ma qualcuno osserverà che in venti
anni troppi altri frutti sono venuti a maturazione, troppe altre esperienze e
rivoluzioni sono accadute, sì che pare impossibile il ritorno puro e semplice
all'antico. Rifacciamoci dunque a esaminare la formazione unitaria dai suoi
inizi poiché nessuno, pensiamo, intende rinunciare all'unità della nazione e
alla sua indipendenza. La storia d'Italia non comincia con il Risorgimento, ma
la storia dell'unità italiana retta da una costituzione politica moderna coincide
solo con il Risorgimento. Durante il Medioevo abbiamo certamente una nazione
italiana ma non una storia unitaria dell'Italia. E così durante il
Rinascimento e così nei secoli del predominio straniero. La nazione non
coincideva allora con lo Stato. Il Risorgimento inizia un'età nuova, compie
una rivoluzione profonda nel sistema politico degli Stati italiani che si
fondono o raccolgono in un solo Stato. La vita italiana che era stata in ascesa
dal 1100 al 1300 con i Comuni, poi mantenutasi ad un alto livello sino al 1500,
poi rapidamente declinata con la caduta di Firenze nel 153o, continua a cadere,
specie in confronto dei grandi Stati d'Europa, sino alla metà del 700. Poi
comincia lentamente a risalire sino a risplendere di nuova luce nel Risorgimento.
Cesare
Balbo, fu, tra i maggiori autori del Risorgimento, quegli che più si preoccupò
della introduzione presso di noi del sistema politico rappresentativo di tipo
inglese. Nel suo Discorso. sulle Rivoluzioni il motivo della libertà é
considerato il più importante. Prima del 1848 egli pensava che all'indipendenza
si potesse sacrificare almeno in parte la libertà. Dopo l'infelice risultato
della guerra del 1848 egli pensa che non si possa raggiungere l'indipendenza
senza la libertà.
Particolarmente
attuale appare oggi il secondo libro del Discorso. Egli vi distingue la libertà
degli antichi da quella dei moderni. Gli antichi no conobbero che la libertà
dello Stato, la stessa libertà che andavano in tempi recenti proclamando gli
apologeti del fascismo e del nazismo. Purché lo Stato sia libero tra le
Potenze che lo circondano e lo insidiano, muoiano pure le libertà degli
individui. Solo il principio rappresentativo, aveva permesso di raggiungere
negli Stati moderni una maggiore libertà dei singoli. Ora a noi pare più che
saggio, dinnanzi ai miti della democrazia progressiva (l'unica novità di
questo dopoguerra) ritornare con il Machiavelli al segno e cioè ai principi da
cui nacque il nuovo Stato italiano. Il mondo antico dunque - secondo il Balbo -
non conobbe la vera libertà. Gli antichi chiamarono libertà l'indipendenza,
dello Stato; chiamarono libertà la uguaglianza, una 'uguaglianza così compiuta
che ammetteva la schiavitù; chiamarono libertà la repubblica e qualunque altro
ordine si distinguesse, dal principato. Balbo cercava allora chi esprimere il
senso moderno della parola, libertà, come facoltà in ogni cittadino di
partecipare al governo politico dello Stato e di dispone delle sue azioni
private. Sono qui due concetti distinti : quello della libertà politica e
quello della libertà individuale. Ora presso gli antichi e così anche nella
repubblica romana non erano molti coloro che partecipavano al governo, ma solo
gli abitatori della città principale. Non si concepiva altra libertà politica
da quella dell'esercizio diretto dei cittadini in piazza con il loro voto o la
loro deliberazione. Non esisteva uso o diritto di rappresentanza indiretta.
Alla libertà politica non faceva poi riscontro la libertà individuale. Sparta
che fu l'esempio forse più ammirato delle antiche repubbliche non conobbe
libertà per i suoi cittadini dalla nascita alla morte sottoposti alla città e
alla Patria. La fortuna di Roma fu dovuta, secondo Balbo, a una migliore
applicazione, rispetto agli Stati contemporanei, delle due libertà: la politica
e l'individuale. Essa progredì quando le due libertà furono tenute in onore;
decadde quando l'una e l'altra libertà si corruppero e si spensero nell'Impero.
Le
libertà rinacquero dopo il 1100 con la rivoluzione dei Comuni che si sciolsero
dall'obbedienza al principe straniero. Ne seguì la lega lombarda e il fiorire
successivo delle arti e delle lettere e d'ogni lusso di civiltà, ma anche
seguirono i tumulti, le rivoluzioni, la creazione e poi la caduta delle
repubbliche e il loro mutarsi in tirannie. Furono i Comuni e le repubbliche
italiane il primo esempio delle democrazie in Europa, ma anch'esse furono delle
democrazie dirette. Si poteva allora affascinare un popolo nella piazza con
l'eloquenza, scrive Balbo, « ingannare con le bugie, strascinare con le
passioni, il che tutto si può anche dei popoli numerosi rappresentati; ma
potevasi pur quello addormentare colle distribuzioni e con le feste, con il
pane e i circensi, il che assolutamente non si può dal popolo rappresentato » (1)
(1) Vale la pena — per la sua attualità — di riportare per intero questo brano del discorso di Cesare Balbo: «Prima della rappresentanza un grande di talento cui non bastasse essere uno tra parecchi ma volesse essere primo fra tutti, un Mario, un Silla, un Cesare, un Augusto poteva facilmente co' fascini della grandezza che tanto Possono sul popolo di una piazza, farsi seguire da lui, scagliarlo Contro gli altri, annientarli e spegnerli e farsi principe, signore, tiranno; come fecero, oltre quei romani tanti altri greci e italiani del medioevo, di tanti popoli quantunque gelosissimi di libertà, E se tutto è pur possibile con i popoli rappresentati egli è per lo meno molto più difficile, più retro e principalmente poi meno durevole perché le rappresentanze avendo le radici in tutta la nazione, sono forse più difficili a distruggere che non quelle dell'assemblee di piazza e sono poi certamente più facili a risorgere come si vede nei due grandi esempi moderni di Cromwell e di Napoleone. Cesare, Cromwell e Napoleone sono tra i più noti e di che si possa discorrere scientemente, i tre più grandi usurpatori di libertà; ma Cesare, distruttore di una libertà di piazza fondò, quantunque trucidato, un'immane tirannia di cinque secoli in Roma, di undici a Costantinopoli, di diciotto nominalmente: e all'incontro Cromwell e Napoleone distruttori di due libertà rappresentative, quantunque ancora mal fondate, non ne distrussero nemmeno quelle cattive fondamenta, non vi poterono edificare sopra se non brevi tirannie, precipitate le quali fu ricominciato l'edifizio della libertà ».
(
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