NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 31 gennaio 2019

Io difendo la Monarchia - Cap VI - 5


Ed eccoci all’anno decisivo: 1938. La dittatura all'interno non offre più nulla di nuovo. Lo sviluppo della dottrina si è arrestato alla riforma corporativa che si è impigliata nella rete della dittatura la quale impone la scelta dall’alto per i dirigenti sindacali e impedisce ogni serio tentativo di critica e di controllo degli iscritti ai sindacati. I principi del nazionalsocialismo (il razzismo e il Lebensraum - spazio vitale) hanno superato e in sostanza negato, il fascismo. Con tali dottrine il pangermanesimo hitleriano respinge l’universalismo di Roma  e dell'Occidente per collocare il principio razziale alla sommità della scala dei valori  umani. Così facendo l’hitlerismo diverge radicalmente da quel fascismo che ostentava di seguire nei primi anni del potere.
La religione del sangue e del suolo (Blut und Boden) pone il germanesimo fuori dall’Occidente e contro l’Occidente cristiano tanto che il cardinale arcivescovo di Monaco è costretto a esclamare in quell'anno:  La Grazia di Dio non ci ha salvati dal paganesimo germanico ».
Il cardinale  arcivescovo di Vienna corre rischio nello stessi anno,  alcuni mesi dopo l’Anschluss, di essere gettato dalle finestre del palazzo arcivescovile da una muta di feroci nazisti.
Nonostante la guerra d’Etiopia, nonostante la guerra spagnola, nonostante l’Anschluss, Mussolini riuscì ancora  due volte a raggiungere la considerazione internazionale : come al tempo del patto a quattro e dell’accordo di Stresa. Il 16 aprile 1938 veniva firmato a Roma il patto italo-inglese. L’Inghilterra riconosceva la conquista italiana dell’Etiopia e fissava i suoi rapporti con il nuovo Impero italiano in tutti i punti di interesse comune: nel mar Rosso, nell’Africa Orientale, nel Mediterraneo. Londra dava insomma un colpo di spugna al passato e l’Italia prometteva di non turbare più lo status-quo nel Mediterraneo e in Africa.
Alla fine di settembre di quello stesso 1938 Mussolini otteneva il successo di Monaco. Molti credettero in Europa, persino un diplomatico esperto come François Poncet, dopo quella Conferenza, che la via della pace passasse per Roma e che Mussolini possedesse le chiavi del cuore di Hitler. Gli ultimi pacifisti si aggrapparono a questa illusione. L’omaggio reso ai Comuni e al parlamento francese, da Chamberlain e da Daladier, al contributo offerto da Mussolini alla causa della pace fu senza dubbio superiore all’opera effettiva del Capo del Governo italiano. Ma si volle probabilmente eccedere nella lode, nella speranza di poter dare all’Asse un indirizzo pacifico, lusingando la infinita, morbosa vanità del capo del governo italiano. Certo, i discorsi fervidissimi di Neville Chamberlain alla Camera dei Comuni e di Daladier a palazzo Borbone non erano meritati da Mussolini che ben presto, aggiogato all’altro istrione, Hitler, e da questi trascinato, doveva tradire le promesse, le speranze suscitate, gli impegni assunti.
Tutti ricordano le dimostrazioni per la pace al ritorno di Mussolini da Monaco ove sembrava che la pace fosse stata assicurata. Quelle dimostrazioni erano sincere: esse esprimevano l’intenso, profondo desiderio di pace degli italiani. Perfino d’Annunzio, nonostante la costante sua maldicenza verso Mussolini e il suo isolamento e il suo orgoglio di ex Reggente del Carnaro, si muoveva da Gardone per recarsi alla stazione di Verona per incontrare il capo del Governo. Mussolini aveva animo troppo rozzo e spirito troppo stoltamente ambizioso per comprendere che in quell'omaggio universale erano contenuti e una invocazione e un monito.
Uno scrittore francese scriveva ancora di lui, quattro mesi dopo il convegno di Monaco, pur dopo il discorso di Ciano (30 novembre 1938) alla Camera sulle naturali aspirazioni del popolo italiano e la grossolana chiassata dei deputati a Montecitorio in presenza dell’ambasciatore di Francia: «Nè gli ingiuriosi clamori di Montecitorio,  le assurde rivendicazioni italiane (la Francia unanime ha risposto come si doveva) potranno far disconoscere quel che vi ha di effettiva grandezza nell'opera di Mussolini ». E ancora: «L’esperienza mussoliniana ha provato, con la sua durata, che il fascismo non era una qualunque forma di autorità cesarea e di dittatura transitoria ma, al contrario, una forma nuova e durevole della evoluzione della società » (1).

Sono tutte -queste, senza dubbio, delle errate interpretazioni, delle esagerazioni retoriche, ma è importante notare che esse si ripetono in ogni paese e in ogni lingua per circa quindici anni. Come affermare, allora che il fascismo fu tutta una lunga serie di delitti resi possibili dalla complicità della Corona?   
Re Vittorio fu invece il primo e forse il solo a resistere al dittatore. Egli ha sempre chiamato Mussolini con il semplice e vecchio titolo di Presidente, mai Duce.
Il 30 marzo 1938 con una procedura bizzarra e sommamente irregolare la Camera acclamava Mussolini, Primo Maresciallo dell’Impero. La Presidenza della Camera con un corteo di deputati si recava al Senato e imponeva che la legge fosse approvata in pochi minuti. Il Re si sentì toccato nelle sue prerogative, dichiarò il decreto incostituzionale e si rifiutò per varie settimane di firmarlo. Si dovette domandare il parere del Consiglio di Stato e il Presidente di quell'alto consesso, sen. Santi Romano, si affrettò ad appoggiare la tesi governativa. Allora il Re firmò, pur sottolineando che i giuristi e i filosofi trovavano sempre argomenti per appoggiare gli atti dei potenti. Sarebbe stata quella un’ottima occasione per il Consiglio di Stato, di frenare gli arbitri, i colpi di testa del fascismo, ma fu naturalmente, anch'essa un’occasione perduta. Mai un corpo dello stato, mai una magistratura, mai un organo dell’amministrazione, mai un assembramento popolare ha agito contro la dittatura. Come poteva farlo il Sovrano? Appoggiandosi a quali forze? Sulla scorta di quali indici? Prendendo a pretesto quali motivi? Ma non è improbabile che il fervido cervello dell'on. Lussu avrebbe preteso che il Re inviasse degli emissari all'antifascismo fuoruscito e repubblicano (2).



Nel maggio 1938 Hitler venne a Roma per vedere — dice Mussolini — la Roma del duce. Ma a Roma il padrone di casa era il Re e non il Capo del Governo. Si vide allora Mussolini involarsi dalla stazione dopo l’arrivo di Hitler e andar via in automobile da solo per non partecipare al corteo in posizione subordinata. Gli italiani ignorarono il conflitto: l’antifascismo continua a

parlare di monarchia fascista. Ma cosa facevano in quel periodo all’estero i signori Sforza, Nenni, Togliatti? Lavoravano essi a vantaggio della loro nazione? E che cosa faceva l'antifascismo nostrano? Vi era, sì, prima della guerra, del malcontento nel paese, specie in alcuni ambienti borghesi e intellettuali (i più bersagliati da Mussolini il quale pronunciava alla fine di ottobre del 1938, in una adunata di « gerarchi » un pazzesco discorso contro la borghesia) che cominciava a vedere con chiarezza i pericoli della situazione. Ma tale malcontento non si manifestava apertamente, nè aveva la possibilità di raccogliersi attorno ad un uomo, a un’associazione, ad un gruppo. Il mito del duce non era ancora scosso nell’autunno del 1938 e il suo credito all’estero durò sino all’aggressione all’Albania e al patto di acciaio (maggio 1939). Ancora nel gennaio 1939 aveva avuto luogo il viaggio di Chamberlain e Halifax a Roma.



(1) Henri Massis: Chefs. Pion, Paris, pag. 5.
Agli epuratori antifascisti così accaniti contro gli autori italiani segnaliamo questo squarcio di prosa di un altro scrittore francese : R. Benjamin : « NI Tite Live, ni Tacite, qui ont peint des grands meneurs d’hommes, dans la même race, n’ont su donner l’idée des deux yeux pareils, dorés et sombres, flambant de toute la lumière qu’ils prennent et de toute la vie qu’ils portent, deux yeux qui voient, qui jugent, deux yeux qui parlent et disent: ’’D’abord, avant toute chose, ressentez-vous au vif ce qui est le plus noble dans la vie, ce qui vaut qu’on la vive? D’abord sommes-nous d’accord là dessus? ” ».


(2) Nel suo libro: Marcia su Roma e dintorni la serietà e obbiettività dell’informazione è tale che il gen. Pugliese un valoroso superdecorato che, per essere stato esonerato dal servizio dal fascismo per ragioni razziali, vive ora in un istituto di beneficenza, ha dovuto scrivere la seguente lettera a un giornale di Roma (agosto 1945): 
« Signor direttore, con riferimento all’articolo “ Il generale Pugliese dovrebbe essere fucilato", dichiara l’on Lussu, apparso sul Momento del 6 scorso, dichiaro, a mia volta quanto segue :
1) Come risulta dal verbale redatto e consegnatomi dai miei rappresentanti, generali Braida e Bronzuoli, in data 4 luglio 1945, verbale che lo ho trasmesso ierl’altro, all’avv. Lussu stesso, con lettera raccomandata espresso, l’avvocato Lussu si è rifiutato assolutamente di ricevere la lettera da me direttagli, tramite i miei rappresentanti.                  
Se l’avesse letta, avrebbe constatato:
a) che io non gli chiedevo soddisfazione, per l’affermazione mendace contenuta nel suo libro Marcia su Roma e dintorni, e cioè (pag. 64) : ” il generale Pugliese si dichiara pronto a morire per il Duce, in suo nome e in nome della sua Divisione affermazione questa, per cui, nella mia lettera suaccennata, dichiaravo intendere di ristabilire la verità dei fatti in diversa sede, ma bensì gli chiedevo spiegazioni o soddisfazione, ritenendomi io, superdecorato e superferito di guerra, offeso per
il successivo diffamatorio asserto (pagina 64 stessa: Essersi egli cioè stupito che ” il generale Pugliese il quale, nei parecchi combattimenti (a cui l’avv. Lussu dice, contrariamente al vero, di avere preso parte meco, nel 1915-16), gli era sembrato non avere avuta alcuna voglia di morire in tempo di guerra, fosse così deciso a morire in tempo di pace
b) che la domanda di spiegazioni, o soddisfazione, non può considerarsi una sfida a duello (art. 33 del Cod. cit.), come i miei rappresentanti gli hanno, a voce e nel verbale, detto e confermato; e che pertanto il volere attribuire alla presentazione della mia lettera il carattere del reato punito dall'art. 394 del Cod. Penale, costituisce affermazione inconsistente.
2) Per quanto concerne l’asserto seguente dell’avv. Lussu: «Il generale Pugliese fu il solo generale italiano che, dopo la Marcia su Roma, si recò da Mussolini all’Albergo Savoia, per dirgli: “ La mia divisione è a sua disposizione”» la verità dei
fatti risulta invece dal seguente stralcio del diario storico, relativo all’azione della Divisione di Roma, da me inviato al 
Ministro della guerra di allora, Diaz (in data 9 novembre 1922) insieme con altra ampia documentazione:
Giorno 30, ore 19. A seguito del fatto che, alle ore 0,30 del 28 ottobre 1922, io avevo assunto i poteri militari nel territorio della Divisione di Roma, mi reco all’Albergo Savoia, dietro invito fattomi dall’on. Mussolini, presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo dell’on. Bonardi. Ivi l’on. Mussolini presente anche il questore di Roma, mi comunica che, data la situazione delle ore 19 del giorno 30, la tutela dell’ordine pubblico è restituita all’autorità politica”.
Nessun altra comunicazione ebbe luogo fra me e Mussolini.
Pertanto le su accennate asserzioni dell’on. Lussu, a mio carico, di essere cioè, io pronto a morire per il « duce » e la mia Divisione essere a sua disposizione ”, sono false.
Quanto sopra risulterà da una mia prossima pubblicazione basata esclusivamente sulla documentazione suaccennata, che trovasi presso il Ministero della Guerra.
Tale documentazione testificherà per contro:
a) la mia lungimirante azione, secondo la quale, se le mie proposte ufficiali, inoltrate tempestivamente al Ministro della Guerra di allora, fossero state accolte, la marcia su Roma sarebbe stata stroncata al suo inizio, e non avrebbe avuto luogo;
b) che le interruzioni ferroviarie, da me attuate, nella notte sul 28 ottobre 1922, nelle stazioni di Civitavecchia, Orte, Avezzano, Segni, e che il libro dell’avv. Lussu neppure menziona, fermarono fino alla sera del 30 ottobre 1922, in cui ricevetti ordine dal Ministro della Guerra di riattivare tali interruzioni, fermarono, dico, incapaci di alcuna reazione, 20.000 fascisti colà giunti, cosicché, se l’ordine dello stato d’assedio fosse stato dato, con le numerose, sicure forze a mia disposizione, avrei, mediante la sola minaccia, stroncato ogni azione fascista;
c) la costante fermezza e coerenza della mia azione di comando.
Ringraziando vivamente, obbligatissimo 
Emanuele Pugliesegenerale di corpo d’armata della riserva ».


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