In buona sostanza, sì sostiene, capovolgendo i fatti, che il Sovrano
fu l’unico colpevole, l’unico vile, l’unico traditore. Avrebbe tradito
l’alleato germanico, avrebbe ingannato i vincitori angloamericani, sarebbe
scappato abbandonando gli italiani.
Questa è una vergogna, una mistificazione scandalosa, un’offesa
intollerabile. È la tesi di Hitler, riciclata di sana pianta, a mezzo secolo di distanza, e propinata per buona a
gente che non sa nulla di nulla, perché le due generazioni del dopoguerra sono cresciute
nell’assoluta ignoranza e nell'inganno.
lo, da questo luogo sacro alle memorie patrie, di fronte a
voi, uomini e donne liberi e coscienti, elevo una ferma ed indignata protesta
in nome di un morto innocente ed esiliato, di un morto che fu Capo dello Stato
italiano per 46 anni, di un morto che nessuno osa difendere. lo lo difendo, io
lo difenderò sempre, finché avrò vita, non per servilismo, bensì per amore di
giustizia e di verità.
Da avvocato, ritengo anzi che la Magistratura, se ed in quanto
sia ancora indipendente, avrebbe dovuto e dovrebbe intervenire d’ufficio, ai
sensi delle norme di diritto penale che tutelano, senza distinzione di
repubblica o monarchia, il Capo dello Stato, il Governo, le Forze Armate, la
Nazione Italiana, contro coloro che accusano l’Italia dell’8 settembre 1943 di
ignominiosi tradimenti e di disdicevoli viltà. È ora di finirla con questa
autodistruzione quasi sadica, con questa leggenda della Patria italiana che
sarebbe finita l’8 settembre 1943. La Patria, la Nazione, l’Italia, non muore;
non è morta nei secoli della divisione politica; non morrà neppure ora, anche
se dovesse trovare forme nuove di organizzazione statale; quale, ad esempio,
quella federale, da non confondersi con la secessione. E, già che accenniamo
alla secessione, diciamo che la secessione è nata con la repubblica, ed è
derivata dalla sistematica distruzione dei valori nazionali, dall’oblio della tradizione,
dalla falsificazione della storia; come affermava Crispi oltre un secolo fa, in
Italia la repubblica vuol dire le repubbliche. E quella, sì, è la fine, la
frantumazione, il dissolvimento.
Ritorno, allora, qui a Peschiera e a questo 8 novembre 1998,
in cui sono riuniti, in questa storica sala, cittadini di ogni idea e di ogni
bandiera, combattenti, reduci, giovani, lavoratori, per una commemorazione ed
un ricordo pensoso.
Il momento è cruciale. Siamo ad un bivio nella vita del
nostroPaese. E l’occasione è buona, perché un modesto professionista di provincia, non compromesso nelle
vicende di questo cinquantennio in quanto rimasto coerente e fedele ai suoi
principi, vi parli a cuore aperto.
Ormai da molti anni, non sono più politicamente schierato.
Rimasi nel partito monarchico finché quest'ultimo potè
operare nello Stato repubblicano; e quando, nel 1972, esso dovette sparire
perché sostanzialmente respinto da un sistema che si fondava soltanto sul
potere, sul danaro e sulla corruzione, mi ritirai a fare l'osservatore esterno
di una politica sempre più sporca.
Oggi mi vedo costretto a dire una parola spassionata e
sincera su quanto mi circonda, su quanto ci circonda tutti.
Non è possibile rimanere fuori. Stanno accadendo cose che un cittadini
preoccupato di difendere la libertà e la giustizia non può trascurare.
I! 25 luglio 1943 il Re diceva a Mussolini che l’Italia era
“in tòcchi", per significare, con espressione piemontese, che lo Stato era
a pezzi. Ebbene, adesso, nel 1998, l’Italia è nuovamente “in tòcchi".
Lo è nel senso che è minacciata da spinte secessionista diverse:
non più solo la Padania, ma anche il Veneto, con una rivendicazione autonoma,
e, al lato opposto del Paese, l’antico Regno delle Due Sicilie, dove il Re di Spagna,
un Borbone, è stato ultimamente accolto con significativo entusiasmo, al quale
non è difficile attribuire serie implicazioni politiche.
Ma lo è, soprattutto, sul plano morale e giuridico, perché la
legge è divenuta estranea e nemica della brava gente, e talora amica dei
peggiori criminali.
E lo è, ancora, perché l’apparato governativo è privo di
onestà e correttezza, e nessuno può più fidarsi di nulla.
Questo senza considerare le spaventose lacune che emergono dappertutto,
sul piano organizzativo, ideativo, decisionale. È un disastro generale, che
allo stato sembra senza rimedio.
Parlando, recentemente, con diversi giovani magistrati, non partecipi
del grande "clan" che dirige la stessa magistratura, ho raccolto
giudizi sconsolati e drastici: ii consiglio quasi unanime che essi danno è
quello di “azzerare tutto" e ricominciare da capo.
Azzerare, ricominciare. Come? Domanda naturale e ovvia.
Evidentemente, non è più, ormai, alla Costituzione del 1947 che
bisogna guardare. Tale Costituzione è obsoleta, superata, priva di agganci con
la realtà. Una parte del Paese prospetta già l’elezione di una nuova Assemblea
Costituente; un’altra parte ha tentato, senza successo, di rifarne la seconda
parte attraverso una Commissione Bicamerale (che, come noto, è recentemente
defunta). Solo piccole minoranze, legate all’estrema sinistra, insistono nel
difenderla.
Ed allora, dovendo guardare avanti, verso una nuova Italia, bisogna
che tutte le energie sane vengano impiegate in un’opera di ricostruzione dei
valori che si è voluto distruggere.
Noi anziani siamo ancora qui, pronti a mettere a disposizione
le nostre forze, il nostro coraggio, la nostra fede. Chiamiamo intorno a noi le
generazioni più giovani, e specialmente quelle giovanissime, non intaccate dal
cancro del Sessantotto, di quel periodo in cui sui muri stava scritto “meglio rossi
che morti’’, e tanta gente ci ha creduto.
L’avvenire è ancora nostro, è ancora vostro. Nel rispetto e
nel riconoscimento delle diversità locali, espressa nelle legittime autonomie
amministrative e fiscali, nel quadro della Comunità Europea, ancora da
costruire ed armonizzare, ma destinata a grandi cose; la Nazione, con le sue
tradizioni millenarie incomparabili, non solo non verrà abolita, ma sarà anzi
insostituibile tramite per l’ordinato sviluppo delle Istituzioni centrali e
periferiche.
Andiamo dunque, tutti, verso una nuova Costituente. Dio ci assisterà.
Ma dobbiamo convincerci che nessun medico ci ha ordinato di adottare soltanto
soluzioni repubblicane. L’idea della monarchia, della monarchia senza aggettivi
e senza riferimenti personali, è universale e indistruttibile, e deve essere
riscoperta dopo l’oblio imposto nel 1947 da un regime illiberale e truffaldino.
Una battaglia su questo punto è, a mio avviso,
importantissima e decisiva per la libertà e la democrazia. Se lo Stato deve
avere, e deve averlo, un arbitro che tuteli l’osservanza delle regole del gioco,
questo arbitro deve essere imparziale. Non può essere eletto da una parte
contro le altre. Il sistema dinastico ed ereditario non sarà, non è, perfetto,
ma è il male minore, e salvaguarda il bene fondamentale della giustizia “super
partes”.
Chi vi parla crede in questo bene fondamentale, e per tale motivo
vuole un Re, anziché un presidente. Non è un’utopia. È una proposta realistica,
seria, che elimina una quantità di discussioni inutili sui poteri e sulle
modalità di eiezione del Capo dello Stato. La monarchia federale può essere
l’uovo di Colombo.
Siamo arrivati, cari amici, alla conclusione. Abbiamo proceduto
un po’ a zig-zag lungo la storia recente della nostra Italia: partiti dalla
Peschiera fortezza austriaca e dal 1848, siamo arrivati alla Peschiera attuale
ed a questa riunione, che, centodnquant’anni dopo, potrebbe forse costituire
l’inizio di una Cosa nuova (oggi è di moda inventare i movimenti e chiamarli
Cosa) ispirata proprio a quei principi
di federalismo monarchico che stavano vincendo
allora. Ma, per raggiungere il traguardo, siamo passati da
un’altra Peschiera di 81 anni fa, una Peschiera che, nell’ora della prova, dimostrò
la presenza di un’identità nazionale molto forte, impersonata da un Re. E,
parlando di quel Re, ricollegando Peschiera a Pescara, abbiamo difeso il suo
onore ingiustamente calpestato.
Non possiamo non riflettere sul lungo percorso di tutti
questi anni. Sì, riflettiamo. La vera bandiera d’Italia, che sintetizzava nello
scudo sapendo anche le differenti e rispettabili tradizioni italiane, dal leone
di S. Marco ai gigli borbonici, è stata macchiata di sangue in un giorno lontano,
il 6 giugno 1946, allorché cadde sul selciato napoletano avvolta nel corpo
martoriato di Carlo Russo.
Carlo Russo era quello scugnizzo quindicenne che marciò da solo,
protetto dal tricolore, incontro ralla polizia di Romita, e fu assassinato. I
bastardi che falsano la storia hanno dimenticato lui
e tutti gli altri monarchici che morirono in quei giorni di
odio e di
repressione. Ma noi non abbiamo dimenticato, e quel nome,
Carlo Russo, lo getteremo sempre, come simbolo di onore e sacrificio, contro la
loro maledetta arroganza.
La bandiera è caduta, il sangue è sbiadito dai decenni. Ma si
troverà qualcuno che la rialzerà, la spiegherà, la sventolerà, in nome di un
principio che non scompare, che non scomparirà, perché, come diceva in punto di
morte la vecchia maestra di Guareschi, i Re non si mandano via, mai, mai,
mai!!!
di Franco Malnati
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