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Il Re e Diaz |
La
storia millenaria di
Casa Savoia è
ricca di Sovrani
guerrieri, dagli Amedei VI
e VII, il conte Verde
ed il Conte
Rosso, ai quali la
regina Maria Josè, dall’esilio,
dedicò uno studio
approfondito, pubblicato con la
prefazione di Benedetto
Croce ( vedi bibliografia n. 1),
per arrivare ad
Emanuele Filiberto, detto il
secondo fondatore di
Casa Savoia, il quale
dopo la vittoria
ottenuta con l’esercito
imperiale, a San Quintino, nel
1557, amato e stimato
come un figlio
da Carlo V, e
da Filippo II, come
un fratello, preferì tornare
nel suo Ducato, per
ricostruirlo e dargli, con
il trasferimento della
capitale da Chambery
a Torino, quel carattere italiano, che
fece di Casa
Savoia, fin da allora, vedi anche la
figura e l’opera
del figlio, Carlo Emanuele I, un punto
di riferimento per
chi sognava un’Italia
libera dagli stranieri. E Maria
Josè, con una passione
di cui Le dobbiamo essere
grati, dedicò anche ad
Emanuele Filiberto uno
studio (vedi bibliografia n. 2) di
alto valore storico, e
dopo di Lui
come non ricordare
Vittorio Amedeo II, che
con il fondamentale
aiuto del cugino, il
principe Eugenio di
Savoia, tra i più
grandi condottieri e strateghi
della storia militare, libera, nel 1706 ,
Torino dall’assedio francese, erige riconoscente
la splendida basilica
di Superga, opera
di Filippo Juvara, come
la palazzina di caccia di
Stupinigi, insuperabile
modello della grande
architettura barocca, e fa
dell’esercito sabaudo uno strumento prezioso
per la difesa
dei confini, con un
carattere non solo
dinastico, ma patriottico e
popolare, sì che si
annoverano diverse battaglie
che lo videro
vincitore, come la battaglia dell’Assietta, contro i
francesi nel 1747, ma
anche quando fu
sconfitto dimostrò il
suo valore e
salvò sempre il
suo onore.
Il
carattere militare della
Dinastia non mutò
con l’ascesa al
trono dei Carignano, e
le circostanze storiche, con
il Risorgimento e le guerre
d’indipendenza fecero sì che Sovrani
e Principi fossero
in prima linea
nelle vicende belliche, cominciando da
Carlo Alberto, che, ancora principe, si
batté valorosamente al
Trocadero, e poi nel
1848 guidò l’esercito
sardo contro gli
austriaci, avendo al suo
fianco i figli
Vittorio Emanuele, Duca di
Savoia, e Ferdinando, Duca di
Genova. Alla ripresa delle
ostilità, nel 1849, pur avendo
affidato il comando
al generale polacco
Chrzanowski, Carlo Alberto partecipò
alla infausta battaglia
di Novara, pare cercando
addirittura la morte
in combattimento. Nel 1859, Vittorio Emanuele, divenuto Re, guidò
personalmente l’esercito sardo
ed a San
Martino fu determinante
per la vittoria, guerra che
non vide la
partecipazione del fratello
Ferdinando, morto
prematuramente nel 1855. Nel 1866
è ancora Vittorio
Emanuele II al
comando nominale, tenuto effettivamente, in maniera
non felice, dal Lamarmora, ed
i due figli, Umberto, principe di
Piemonte ed Amedeo, Duca
d’Aosta, partecipano alle operazioni
belliche ed Umberto
respinge le cariche
degli ulani nel
famoso quadrato di
Villafranca, durante la battaglia
di Custoza , confermando il legame indiscusso
tra Esercito e
Casa Savoia.
E
Vittorio Emanuele III? Nasce
l’11 novembre 1869
a Napoli, dove risiedeva
il padre, il principe
ereditario Umberto, con la
Consorte Margherita, a
testimonianza del rispetto
che per l’antica
capitale delle Due
Sicilie, avevano il giovane
Regno d’Italia e
Casa Savoia. Acquisita Roma
Capitale, dopo meno di un anno, il
20 settembre 1870, si
apriva per l’Italia
unita un lungo
periodo di pace, per
cui il giovane
principe, venne sì instradato, come tradizione, alla carriera
delle armi, cominciando con
l’Accademia Militare della
Nunziatella, a Napoli,
istituzione risalente al Regno
delle Due Sicilie, e
giustamente conservata dal nuovo
Stato per la
sue benemerenze, ma non
ebbe eventi bellici
che lo vedessero
presente, essendo rimasto in
pace, il Regno d’Italia, in
Europa, dal 1870 al
1915 , non considerando le
campagne coloniali, in Etiopia e
la guerra di Libia
.
Sempre per
la sua educazione, non solo
militare, fu affidato, nel 1981,
ad un brillante
ufficiale, di elevata cultura
e di indiscusse
qualità di carattere, il Tenente
Colonnello Egidio Osio, di
quarantuno anni e
di famiglia lombarda, che
veniva da importanti esperienze in
Germania, dove dal 1878, era
stato Addetto Militare, presso la
nostra Ambasciata a
Berlino, e che lo
accompagnò nella crescita
culturale per ben 8 anni, fino
all’ 11 novembre 1889. Ebbene
di questa vicinanza
e del rapporto instauratosi tra
principe ed educatore, vi
è una eccezionale
testimonianza nel volume (vedi
bibliografia n. 3 ), pubblicato
dal nipote di Osio,
perché illustra questi
rapporti, anche dopo cessato l’incarico, con le lettere
inviate da Vittorio
Emanuele al vecchio
precettore, lettere che
servono ad inquadrare
l’attività del principe
nei suoi ruoli
militari. Questo perché Vittorio Emanuele fece
il suo tirocinio
in maniera effettiva
e non formale, dimostrando una
capacità di comando
ed un acuto
spirito di osservazione
della vita militare, di
cui è appunto
testimonianza la corrispondenza inviata
all’Osio, che divenuto maggior generale
, forse, se non fosse
prematuramente scomparso nel 1902,
avrebbe potuto raggiungere
posti di maggiore
responsabilità, perché Vittorio Emanuele, divenuto Re
costituzionale e rispettoso
del Parlamento, si era
però riservato un
campo di azione
nelle vicende militari
e nelle nomine
dei Ministri della
Guerra, dove, ad esempio,
nel 1902, fu
nominato, a dimostrazione della
parità raggiunta in
ogni campo dagli
israeliti, il generale
Ottolenghi, che a Napoli
negli anni ’90
era stato comandante
del Corpo d’Armata
e quindi superiore
diretto del giovane
Principe. Vittorio Emanuele sapeva
bene che la
parte del bilancio dello
stato, dedicato alle spese
militare, era insufficiente,
perché vi erano
tante altre esigenze
di carattere economico
e sociale, il famoso
decennio giolittiano,che più
giustamente dovrebbe definirsi
vittorioemanuelino-giolittiano, ma
rispettava le decisioni
del parlamento che
non era molto
tenero nei confronti
delle esigenze dell’esercito. (vedo bibliografia
n. 4)
Vittorio Emanuele , iniziò la
sua carriera militare
alla fine del
1889, come tenente colonnello
a Roma, nella fanteria, dimostrando
subito le doti
sopra ricordate, ed ancor
di più l’anno
successivo, quale colonnello,
comandante il “primo”
reggimento di fanteria
a Napoli, che così
vedeva nuovamente un
Principe Ereditario della
nuova Dinastia Sabauda, risiedere nella
capitale del Mezzogiorno
d’Italia. E da colonnello
a generale operò sempre a
Napoli, dando prova delle
sue capacità di
comando e di
rispetto delle superiori
gerarchie militari, che , a loro
volta, lo consideravano per il suo
grado, ma non come
Principe, prova questa della
serietà dello spirito
gerarchico, non certo “cortigiano”, ed appunto
le lettere scambiate
con l’ Osio, sono di tutto
questo eloquente dimostrazione, come pure
lo sono per
attestare la giusta
severità di Vittorio
Emanuele, nei confronti di
ufficiali resesi colpevoli
di mancanze, non solo
di servizio. (vedi bibliografia
n. 5). Questo tirocinio durato
circa un decennio, di
cui altra parte
vissuta a Firenze, che era
stata , sia pure
per pochi anni
Capitale del Regno
d’Italia, consentì anche
al futuro Re, di
conoscere il materiale
umano di cui
disponeva l’esercito, con diversi
militari di leva
aventi già una
fedina penale non
trascurabile, nonché in buona
parte analfabeti, condizioni che, nel, quindicennio successivo
si sarebbero modificate
in senso positivo
per cui il
soldato del 1915
si sarebbe rivelato
ben diverso da
quello degli anni
’90 del 1800, anche
se, come valore personale , e
lo provarono le
sfortunate vicende delle campagne in
Africa Orientale, da Dogali, a Makallè, all’ Amba Alagi
e ad Adua, ricordiamo i
De Cristoforis con i suoi
cinquecento soldati, i Galliano ed
i Toselli, non era secondo
a nessuno.
In quegli anni, ultima
decade del 1800, nell’organizzazione dell’Esercito, erano avvenute
diverse modifiche, la più
importante delle quali
era stata la
istituzione del ruolo
di Capo di
Stato Maggiore dell’ Esercito, per primo
ricoperto da Cosenz, di
origine meridionale ed
allievo della “Nunziatella” , cui seguì
Primerano, fino ad arrivare
il primo giugno 1896, al
generale Tancredi Saletta, che resse
tale incarico fino
al 27 giugno
1908, con il quale
il suddetto ruolo
si svincolava parzialmente
dal Ministero della
Guerra, acquistava la sua
autonomia, e , soprattutto, rispondeva
al Re Vittorio Emanuele
III, che per la
sua esperienza, aveva raggiunto
una notevole competenza
in materia militare, per
cui: “Il Capo di
Stato Maggiore prepara
in tempo di
pace e sottopone
a S.M. il Re, con
cui ha relazione
diretta, i progetti di operazioni
di guerra da
svolgersi durante e
dopo la radunata.”(
vedi bibliografia n. 6).
Con
questa nota si
veniva finalmente ad
individuare il compito
del Capo di Stato Maggiore, come effettivo
comandante dell’esercito in
caso di guerra, onde
evitare il ripetersi
di quanto avvenuto
nel 1866. Al Saletta
seguì il generale
Alberto Pollio, uomo di
grande cultura storica
e militare, la cui
improvvisa scomparsa ai
primi di luglio
del 1914, prima cioè
dello scoppio della
grande guerra, avrebbe portato
a Capo di Stato Maggiore, Luigi Cadorna
e con Cadorna
il 24 maggio
1915 , saremmo entrati in
guerra contro l’Austria-Ungheria ed
il Re sarebbe partito
per il fronte, dove
sarebbe rimasto per
tutta la durata
della guerra, meritando il
titolo di “ Re
Soldato”.
Prima però
di seguire il
Re nella sua
vita di fantaccino
è bene ritornare
sulla sua corrispondenza con
l’antico precettore Egidio
Osio, nel frattempo divenuto Tenente
Generale del Regio Esercito, all’epoca il
massimo grado, perché la
stessa proseguì anche
dopo l’assunzione al
trono, con lettere non
formali, ma lunghe ed
impegnative, che denotano l’assoluta
fiducia che Vittorio
Emanuele, riponeva nella riservatezza
del destinatario e
perciò rappresentano un
“unicum” nella vita del
Re e nei
suoi rapporti con
tutte le personalità
che ebbero frequentazione con
Lui, e confermano l’ipotesi
che se l’ Osio, che
il Re aveva
nominato conte ed insignito
della massima onorificenza
della Corona d’Italia,
non fosse morto
prematuramente, avrebbe potuto
ricoprire ben alti
incarichi, come già accennato
all’inizio.
Nel
quindicennio dal 1900
al 1915, chiaramente il Re,
doveva dividere il
suo tempo e
le sue presenze
tra tutte le
attività istituzionali, senza dimenticare
la vita familiare, che era
di esempio per
tutte le famiglie
italiane (vedi bibliografia n.7), ma
non mancava mai
a quelle attinenti
la vita militare, dalla visite
alle caserme, alle riviste, tipica quella
celebrativa dello Statuto, nella prima
domenica di giugno
e particolarmente alle
manovre, le grandi manovre
dove si muovevano
sul terreno decine di
migliaia di soldati. Ed
a tale proposito
è interessante notare , testimoniato da
decine di fotografie, come il Re,
di massima sempre
serio, fosse invece sorridente
quando si trovava
tra i suoi
soldati, nei quali, proprio per
la sua diretta esperienza giovanile, non vedeva
un esercito dinastico, ma
l’espressione migliore del
popolo italiano, pur con
i tanti limiti
che ben conosceva,
e la garanzia
della difesa dei confini. Sorridendo ai
soldati, sorrideva
all’Italia che amò come
nessun altro, per cui
tanti anni dopo, in
esilio in Egitto, iniziava il
suo diario , il primo
gennaio 1947, scrivendo “Viva
l’Italia, ora più che
mai”.
Così si arriva al 24 maggio
1915 Vittorio Emanuele
invia un proclama
alle forze armate, sobrio, sintetico, efficace, come fu
giudicato anche da
spiriti critici, (vedi bibliografia
n.8), proclama che riportiamo
e parte per il fronte, la
sera del 25 maggio, in
forma strettamente privata:
“L’ora solenne
delle rivendicazioni nazionali
è suonata. Seguendo l’esempio
del mio grande
Avo, assumo oggi il
comando supremo delle
Forze di Terra
e di Mare, con sicura
fede nella vittoria, che il
vostro valore, la vostra
abnegazione, la vostra disciplina
sapranno conseguire. Il nemico
che vi accingete
a combattere è
agguerrito e degno
di voi. Favorito dal
terreno e dai
sapienti apprestamenti dell’arte , egli opporrà
tenace resistenza, ma il
vostro indomito slancio
saprà di certo
superarlo .
Soldati , a voi
la gloria di
piantare il Tricolore d’Italia sui
terreni sacri che
natura pose a
confine della Patria
Nostra; a voi la
gloria di compiere finalmente,
l’opera che con
tanto eroismo iniziata
dai vostri Padri.”
E
da quel momento
in poi, come vedremo, il
Re, affidando al capo
di Stato Maggiore
la direzione delle
operazioni e riservandosi
il compito di
vigilanza assidua, di controllo
e di consiglio, starà
ininterrottamente al fronte, salvo
dei rapidi rientri a
Roma, in occasione delle
crisi governative, la prima
nel 1916, con le dimissioni
del gabinetto Salandra, sostituito dal
Boselli e poi
nel 1917, dopo Caporetto, con le
dimissioni di Boselli
e l’incarico a
Vittorio Emanuele Orlando, che
costituì un governo
di unità nazionale
con il cattolico
Meda ed il
repubblicano Comandini, crisi che
imponevano la sua
presenza, in quanto la
Luogotenenza Generale del
Regno, affidata dal Re, allo
Zio Tommaso di
Savoia, Duca di Genova, all’atto della
nostra entrata in guerra, riguardava l’ordinaria amministrazione e la
normale attività
istituzionale e di
governo. Per cui fu
la Regina Elena, che
a sua volta
aveva trasformato il
Quirinale nell’Ospedale Militare n.1, a
recarsi con i
figli diverse volte
nelle zone di
guerra, ed in una
di quelle occasioni, a
Venezia, incontrandosi con la
Regina Elisabetta del
Belgio, avvenne il primo
incontro tra i
due giovani, il principe
Umberto e la
principessa Maria Josè, che
studiava a Firenze, nel
prestigioso Collegio
della Santissima Annunziata di
Poggio Imperiale. Quanto al
giovane principe Umberto, vestito con
l’uniforme militare e
la mantellina grigia, fu
più volte portato
dal Padre, durante le
sue ispezioni e
per lui poi
preparò gli album
delle sue fotografie (vedi bibliografia
n.9). Accennando al Belgio
è doveroso ricordare
che anche il
Re Alberto, fu sempre
a fianco dei
suoi soldati, mentre
altrettanto non può
dirsi del Re
Giorgio V, che fece
delle saltuarie visite
al fronte, e
tanto meno del
Presidente della Repubblica
Francese, Poincarè, mentre
vicino al fronte
erano sia lo
Zar Nicola II, che
il Kaiser Guglielmo II, con
intorno pletora di
generali, ambienti ben diversi
da quello semplice
scelto da Vittorio
Emanuele, di cui cercheremo
di seguire la
sua vita giornaliera, con visite
a trincee ed
ospedali, dove ad esempio avvenne, casualmente, il primo
incontro con il
caporale Benito Mussolini, ricoverato
per una ferita
dovuta allo scoppio
di una bomba a mano durante
una esercitazione. Non abbiamo parlato logicamente di visita
alle truppe austro-ungariche da parte di
Francesco Giuseppe, ormai ottuagenario
e che sarebbe
mancato nel novembre 1916 , compito che
fu assolto dal
principe ereditario e
poi imperatore Carlo, la
cui sede di
comando era però
molto lontana dal fronte
italiano. Questo per un
breve raffronto con
gli altri capi
di stato e
a conferma di
quella tradizione secolare
sabauda, di Principi vicini
al popolo ed
ai soldati, che Benedetto
Croce così sintetizzò
nella già citata
prefazione al libro
della Regina : “la singolare
unione di Sovrani
e popolo propria
della storia di
Casa Savoia”. Così rivestito
in panni bigi
come un fantaccino
lo vide d’Annunzio, nella poesia
dedicata al Re, “Per
il Re”, composta il
19 novembre 1915 , anche
se il Re
non aveva dismesso
l’ermellino, e la porpora, in
quanto non li aveva
mai indossati! E
questo suo stile
semplice ed austero
fu riconosciuto ed
apprezzato da quanti
lo visitarono in
quegli anni prima, fino
a Caporetto, nella Villa
Torreano di Martignacco, vicino ad
Udine, chiamata Villa Italia, nome
che presero tutte
le dimore del
re, complesso costituito dalla Villa
Linussa, dove risiedeva, Villa Prampero
e Villa Cantarutti, destinate al
personale della Casa
Militare ed ai servizi, e
poi, dopo la ritirata
di Caporetto, nella Villa Corinaldi a
Lispida, presso Battaglia,
dopo brevi tappe
nella Villa di
Altichiero e Villa
Giusti, che fu la
Villa dove fu
poi firmato l’armistizio, il 3
novembre 1918. ( vedi bibliografia
n.10).
Infatti nella
vita del Re, oltre
alle visite quotidiane
al fronte,dove si
informava, osservava, sempre con semplicità
e garbo, specie con
i soldati, che forse
vedevano di persona, per
la prima nella
loro vita il Re,
fino ad
allora visto di
profilo sui francobolli
e sulle monete, e la
sua figura divenne una
consuetudine ed una leggenda anche tra i
reparti più avanzati
che lo
vedevano apparire nei momenti
più impensati e che gli
procurarono una eccezionale
conoscenza di luoghi
ed uomini, come non
aveva nessun altro,(vedi
bibliografia n.11) vi furono
numerosissime visite di
personalità ed autorità
civili e militari, italiane
e dei paesi
alleati. Tra le più
significative la visita
del Re Alberto
del Belgio, del Presidente francese Poincarè, del Principe
di Galles, il futuro
Edoardo VIII, ed anche
di autorità di paesi neutrali, tutti concordi
nell’apprezzamento delle doti di carattere, di
chiarezza, di competenza, di
conoscenza approfondita dei
problemi, e di
semplicità del Re, doti che
ebbero la massima
espressione nell’incontro di
Peschiera dell’ 8 novembre 1917, con
l’appassionata difesa dei
nostri soldati e della linea
di resistenza al
Piave, come testimoniato da
Vittorio Emanuele Orlando
e dal Primo Ministro
Inglese Lloyd George, oltre
che dagli altri
militari francesi ed
inglesi presenti.