Il Re sull'Audace, prima di sbarcare a Trieste |
Lapidario nelle sue memorie è appunto
Lloyd George: “Rimasi
impressionato dalla calma
forza d’animo che
il Re mostrò
in un momento in cui il suo paese e la sua Corona erano in giuoco: non diede alcun
segno di timore e di depressione….”, mentre a dimostrazione del
carattere del Re, della
sua modestia, lo stesso
parlando di Peschiera
con un suo
aiutante di campo, il
generale Scaroni, con tono
distaccato ebbe a dire:
“A Peschiera"? Quello che ho fatto io?
Hanno esagerato parecchio… Tutti quelli che ne hanno parlato…”. In
fondo il Re
voleva dire “ho
fatto solo il
mio dovere”, ma si
sa che in
Italia, anche fare solo
il proprio dovere , diventa qualcosa
di eccezionale !! Sempre in tale occasione Vittorio
Emanuele che aveva
inviato diversi messaggi di
compiacimento alle forze
armate negli anniversari
del 24 maggio
ed in occasione
della conquista di
Gorizia, indirizzò alla intera
Nazione, un messaggio di
suo pugno, come lo
era stato il
primo messaggio all’atto
della sua ascesa
al Regno, dopo l’assassinio
del padre, del
quale riportiamo la
parte finale:
“Italiani, cittadini, soldati ! Siate un
esercito solo. Ogni viltà
è tradimento. ogni discordia
è tradimento. Ogni recriminazione è
tradimento. Questo mio grido
di fede incrollabile
nei destini d’ Italia suoni
così nelle trincee
come in ogni più
remoto lembo della
Patria, e sia il
grido del popolo
che combatte e del popolo
che lavora. Al nemico, che
ancor più che
sulla vittoria militare
conta sul dissolvimento
dei nostri spiriti
e della nostra
compagine, si risponda con
una sola coscienza, con una
voce sola : tutti siamo
pronti a dar tutto, per
la vittoria e
per l’onore d’Italia!” (dato dal
Quartier Generale il 10
novembre 1917 ).
Ed al
suo alto senso
del dovere e
di umanità si
deve il rifiuto di
accettare una Medaglia
d’Oro al Valor Militare con questa lettera
autografa : “…..a parte qualunque questione intorno al conferimento, troverei profondamente ingiusto che mi venisse una così alta decorazione, mentre ho
fatto molto, ma molto
meno di tante
migliaia di semplici
soldati ai quali
non toccherà nessuna
ricompensa.”, per cui accettò
solo la Croce
al Merito di
Guerra.
Abbiamo parlato
di visite quotidiane
in quanto, tutti i
giorni, Vittorio Emanuele,
alle 8
del mattino prendeva
posto sull’auto di servizio
e solo allora
dava all’autista l’indicazione
dell’itinerario deciso e conosciuto
da Lui solo, per ovvii motivi
di sicurezza e
segretezza, ed anche perché le sue visite improvvise ed impreviste consentivano una genuina
conoscenza dell’andamento reale
delle cose, e con
sistematicità visitava zona
per zona tutto
il fronte, fermandosi sia
presso i locali comandi, sia con i soldati di cui visitava trincee e camminamenti, con la
sua inseparabile macchina
fotografica, (vedi bibliografia
n.12) che gli
permetteva poi di
ricordare i particolari
delle località visitate, incurante dei
tiri d’artiglieria austriaci, come nel
caso dell’ 8 ottobre
1917, durante una visita
sul basso Isonzo, sulla
strada da Ronchi a Sels e Debeli, quando gli
austriaci, avvistata
l’automobile, cominciarono a
bersagliarla con la
loro artiglieria, evento
così riportato dal
Solaro del Borgo suo
Aiutante di Campo : “….una granata
scoppiò dietro l’automobile. Proseguiamo. Un’altra granata
ci raggiunse cadendoci
davanti. Ci fermiamo e si
scese per proseguire
a piedi in
un camminamento. Appena a
terra una nuova granata
scoppiò ancor più
vicino… Il tiro sempre
più nutrito era
diretto al camminamento, ma il Sovrano
imperturbabile tirò dritto
per la strada
prefissasi… Ho sempre viva
e presente….la impassibile
freddezza del Re
di fronte al
pericolo……”. Questa
descrizione così precisa
è la conferma
delle doti di
coraggio e della padronanza
di nervi del
Re, durante tutto il
conflitto e di
cui aveva già
dato prova nel
1912, in occasione dell’attentato effettuato
dall’anarchico D’Alba,
fortunatamente mancato, e che vide
nell’omaggio e nelle
visite al Quirinale
dei parlamentari, per lo
scampato pericolo, la presenza, per
la prima volta di
tre parlamentari socialisti : Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi
ed Angiolo Cabrini, della corrente
riformista, di cui uno
il Bissolati, interventista e
volontario di guerra
nel 1915, divenne
Ministro nel 1916, nel
governo Boselli e confermato
nel successivo governo
Orlando e Bonomi, divenne Presidente
del Consiglio nel
1921 e poi
nel 1944-1945.
Quanto alla
semplicità e naturalezza di vita
è conferma la
colazione del Re
in queste sue
escursioni, che non erano
dei pic-nic come
scritto da qualche
sedicente storico: due uova
sode o una
frittata, carne fredda,
formaggio e frutta, stese
su di una
tovaglietta, per cui
uno scrittore del
valore di Rudyard
Kipling, dopo avere conosciuto
di persona il Re,
così scriveva: ”…Egli incede
sobrio, leale, pronto, con
una rigida semplicità
tra i suoi
soldati e tra
i molti pericoli
della guerra…”. E sempre
riguardo a riconoscimenti esteri
sono particolarmente
interessanti e significativi
i giudizi della
stampa francese , logicamente repubblicana, che dedicò
al Re, quando Vittorio
Emanuele, accompagnato dal giovane
Principe Umberto, si recò
a Parigi, nel dicembre
1918, dal “Petit Parisienne”, al “Matin” che
dice: “ Vittorio Emanuele non
pensa che a
mettere in luce il
suo popolo” e
non se stesso, il
“Figaro” che ricorda essere
il Re “nobilmente
vissuto durante la
guerra in mezzo
ai suoi eserciti ove
trascorse eroicamente la
stessa esistenza dei
soldati” e l’ “Intransigeant” che
addirittura si riferisce agli anni che precedettero
la guerra in
cui “…Il Re
era rispettato per
la sua saggezza, per
il suo governo impersonale, per il suo rispetto alla
costituzione… per amore di
questo Re, presente nelle
battaglie, i soldati
si arrampicavano sin
sulle cime inaccessibili, da dove scorgevano ciò
che sarà la
vera frontiera d’Italia …”. Ritornando poi
nel pomeriggio alla
sua residenza, riceveva la
relazione giornaliera inviataGli
dal Comando Supremo, la
cui sede era
vicina, ma separata, ed aveva
non molto frequenti
incontri con il
generale Cadorna, spesso mediando
e risolvendo i purtroppo numerosi
contrasti sorti tra
lo stesso e gli uomini
politici, anche del Governo. Rapporti invece
molto diversi ebbe
invece il Re
con il generale
Diaz, dopo la
sua nomina, il 10
novembre 1917 a
Capo di Stato
Maggiore, con incontri che
divennero addirittura giornalieri.
La nomina del
Diaz aveva sorpreso, in quanto
trattavasi del comandante
di un Corpo d’Armata, il
XXIII, quando vi erano
generali di Armata
tra i quali
il Duca d’Aosta, comandante della
Terza Armata, ma il Re aveva
scartato questa soluzione, non per
gelosia verso il
Cugino, ma perché lo
stesso avrebbe dovuto
ricoprire ben altro
incarico, nel caso della
sua abdicazione per
ulteriori sconfitte, che non vi furono
fortunatamente, essendo il Principe
Umberto, erede al trono
e quindi automatico
successore, minore d’età, avendo 13
anni, per cui sarebbe
stata necessaria una
Reggenza. Il Re era
l’unico che conoscesse
bene Diaz, per le sue visite al
fronte ed ai
comandi, e proprio in
occasione di un incontro
avuto a Cassigliano, il 16
luglio 1917, aveva detto, con
la consueta serenità
di giudizio, evidentemente rimasto
favorevolmente colpito dalla
personalità di Diaz, “ Questo generale
un giorno ( Caporetto era
lontana ed impensabile) potrà servire”, e così
fu. Sempre a proposito
di visite, il Re
non poteva dimenticare
la Regia Marina, per
cui si recò nel marzo
del 1917 tra
i marinai a
Taranto, principale base della nostra
flotta da battaglia, ed
a Brindisi, ed in
un momento di
stasi del fronte, il
25 aprile 1918, visitò
le bonifiche ravennati, effettuate su terreni di proprietà di una Cooperativa socialista, accolto da sindacalisti ed esponenti locali socialisti, che non
potevano non prendere atto
della sollecitudine del Re
anche per problemi
agricoli, e che ne
dettero ampio rilievo, con
fotografie del Re, nel
loro giornale “Romagna
Socialista”.
Perché sono
necessarie tutte queste
precisazioni? Perché, mentre
nelle varie biografie
dedicate a Vittorio
Emanuele, da autori monarchici, in primo luogo
Gioacchino Volpe, che si
trovava al fronte, come
ufficiale, ( vedi bibliografia n.13,
14 , 15 e 16) e
repubblicani, ( vedi
bibliografia n. 17,18, 19 , 20 e 21 ) viene
sempre ricordata positivamente
la sua presenza
ed azione al
fronte, dove si proponeva
come la massima
autorità, che condivideva l’esperienza
della truppa , nell’attuale pubblicistica, uscita nel
centenario della Grande
Guerra, il nome e
l’operato di Vittorio Emanuele
III, sono sottovalutati, se non
addirittura taciuti,
compresa Peschiera, e così
pure nelle numerose
mostre celebrative è
difficile trovare una
fotografia od un
ritratto del Re, tanto
da far pensare
che l’Italia, allora, non fosse
un Regno, malgrado le
bandiere con lo
scudo di Savoia e Corona
Reale, e che non
esistesse un Capo
dello Stato! Questo
nei migliori casi, quando
poi, invece, non vengono pubblicate
tesi assurde, se non
ridicole, quale quella che
l’azione di comando
di Cadorna venisse
elusa dalla “casta”
degli “alti ufficiali
nobili”, che si ritenevano
protetti e tutelati
dal Sovrano, in quanto nobili , quando sono
documentati i numerosi
avvicendamenti ed esoneri, per
non dire “siluramenti”
che Cadorna, che a
sua volta era
conte, effettuò anche
negli alti gradi, compresi generali
d’armata, a cominciare dal Nava, comandante la
prima armata all’inizio
delle ostilità. Infatti a
proposito dei comandanti
delle armate del
nostro esercito, che dalle
iniziali quattro, divennero ben dieci,
nel corso della
guerra, tranne logicamente il
Duca d’Aosta, che rimase
sempre al comando
della Terza Armata,
non vediamo grandi
gradi di nobiltà, ma
solo diversi conti
come Pecori Giraldi,
Nicolis di Robilant, Frugoni, Tassoni, mentre altri
quali Brusati, Nava, Capello ,Giardino,
Montuori, Caviglia, Mambretti e Pennella, avevano solo titoli e benemerenze
militari, e che, anche questo
è importante ed
interessante, avevano avuto i natali in diverse
regioni italiane, e non
solo in Piemonte !
Il
Re, dopo che l’esercito
sul Piave, quella famosa
linea difensiva da Lui
stesso patrocinata a
Peschiera difendendo l’onore
del soldato italiano, aveva respinto
l’ultima grande offensiva austroungarica del
giugno 1918, capiva che
era necessaria una
decisa azione offensiva
per la quale
Diaz, stava preparando
i piani con i suoi
principali collaboratori, il generale
Badoglio ed il
colonnello Cavallero, e da
qui venne , ad un
anno da Caporetto, la
battaglia di Vittorio
Veneto, nella quale l’esercito
austroungarico si difese
tenacemente per più
giorni , una vera battaglia
sanguinosa con elevate
perdite da ambo
le parti, che è
bene precisare dato
che qualcuno ritiene
non esserci stata, che
pose fine alla
guerra con l’armistizio
di Villa Giusti, il
3 novembre, armistizio che
portò giorni dopo, l’11 novembre, a
quello che a
sua volta richiese
l’ impero germanico, e che
Diaz, il 4 novembre, annunziò
con il famoso
bollettino, che troviamo
esposto in bronzo
o in marmo
in tutte le
caserme ed in
numerose sedi di
Provincie e di Comuni, che
iniziava: “La guerra contro l’Austria- Ungheria, che sotto
l’alta guida di
S.M. il Re …..iniziò il
24 maggio 1915… è
vinta”, per terminare, dopo la
precisazione delle forze
in campo, a dimostrazione
del peso secondario
nella battaglia finale avuto
dalle divisioni francesi, inglesi e
cecoslovacca, con la
scultorea frase : “i resti
di quello che
fu uno dei
più potenti esercito
del mondo, risalgono in
disordine e senza speranza
le valli che
avevano disceso con
orgogliosa sicurezza.”
Ed
il Re , il successivo
9 novembre, diramava ai
Soldati ed ai
Marinai un ordine
del giorno, fulgido coronamento
di gloria , dove
affermava che: “Il
ciclo delle guerre, iniziate dal
mio proavo, sempre contro
lo stesso avversario, si è chiuso….con la
vittoria di tutti
i popoli liberi..”, ed
auspicava una pace
fondata sulla giustizia, abbattendo quanto
ancora esisteva di
prepotenza e di
orgoglio, concludendo con la
gratitudine della Patria
ai soldati e marinai, ”…perché per
voi fu raggiunta
la meta”, ed il
successivo 10 novembre
sbarcava a Trieste
accolto trionfalmente da una
sterminata folla in
delirio e non
pensava che quel giorno
di festa sarebbe
stato, forse, l’ultimo della
sua vita, che sia
pure terminata ventinove
anni dopo, non avrebbe più visto intorno
a Lui un
simile entusiasmo di
popolo , unanime, spontaneo, autentico
e sincero.
Domenico Giglio
Bibliografia
Bibliografia
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- Vittorio Solaro del Borgo – “ Giornate di guerra del Re Soldato “ –Editore Mondadori – 1931
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- Francesco Cognasso – “ I Savoia “ – Editore Corbaccio - 1999
- Gioacchino Volpe – “Vittorio Emanuele III- Dalla nascita alla Corona d’ Albania”- con introduzione di Domenico Fisichella- Editore Marco -2000
- Domenico Fisichella – “Dal Risorgimento al fascismo “ – Editore Carocci – 2012
- Domenico Bartoli - “Vittorio Emenuele III “ – Editore Mondadori – 1947
- Silvio Bertoldi – “Savoia – Album di una Dinastia – Editore Rizzoli – 1996
- Gianni Oliva – “ I Savoia “ – Editore Mondadori - 1998
- Antonio Spinosa – “Vittorio Emanuele III – L’ astuzia di un Re” – Editore Mondadori – 1990
- Paolo Rossi – “ Storia d’Italia dal 1914 ai nostri giorni.” – Editore Mursia – 1973
- Pierangelo Gentile – “ Vittorio Emanuele III “ – Editore “Il Sole 24 ore “ - 2014
- Articolo “Il Re …a Parigi” da “ La Guerra Italiana- rassegna settimanale-“ del 29 dicembre 1918 –N.11 – VIII serie
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