«Bisogna superare l’idea che tra gli antifascisti quelli che contavano erano solo i comunisti»
Attendevo con curiosità, avendo scritto un libro in difesa
della Resistenza, la replica di Giampaolo Pansa, arrivata domenica dal suo
Bestiario su «Libero». Curiosità dovuta al fatto che le critiche sono sempre
più utili degli elogi, a maggior ragione quando provengono da un maestro di
giornalismo. Oltretutto Pansa, cavallerescamente, ricorda la sera a Reggio Emilia
in cui ci trovammo a fronteggiare gli energumeni venuti a impedire la
presentazione del suo libro (Giampaolo tace i nomi dei colleghi che se la
diedero a gambe; e anch’io taccio). Sulla Resistenza restiamo però in dissenso.
Il punto non è Piazzale Loreto. Fu un crimine: il corpo del
nemico ucciso va sempre rispettato. La tesi su cui Pansa ironizza - il corpo di
Mussolini fu esposto anche per comunicare a tutti, in epoca pre-televisiva, che
il Duce era morto davvero e il fascismo davvero finito - non è mia, la cita
Umberto Eco nel suo ultimo libro. Personalmente la trovo persuasiva. Tentare di
capire il motivo di un fatto non significa giustificarlo; tanto meno può essere
giustificato lo scempio che del corpo fu fatto.
[...]
Intendiamoci: molti partigiani erano comunisti. Liquidarli
come fanatici che volevano solo «fare dell’Italia un satellite di Mosca» è
un’argomentazione perfetta per la polemica di oggi; ma all’epoca l’urgenza era
scegliere da quale parte stare, con o contro i nazisti invasori. Molti
comunisti diedero la vita. Molti tacquero sotto le torture. Altri ancora si
macchiarono di crimini. In Possa il mio sangue servire ho dedicato un capitolo
a Porzûs, dove partigiani comunisti uccidono partigiani «bianchi» delle brigate
Osoppo: tra loro c’era Francesco De Gregori, lo zio del cantautore che ne porta
il nome; e c’era Guido Pasolini, che prima di essere ammazzato scrive al
fratello Pier Paolo per farsi mandare dalla madre un fazzoletto tricolore,
perché vuole indossare quello e non «lo straccio rosso» (divenuto pudicamente
in altri libri «lo straccio russo»); nel post-scriptum Guido chiede scusa al
fratello, che sa essere bravissimo scrittore, perché non ha avuto tempo di
rileggere la lettera, in quanto deve «salire in montagna immediatamente».
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