NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 7 ottobre 2011

Trono ed altare, la storia del rapporto Savoia e Curia romana

Interessante convegno sul rapporto tra lo Stato della Chiesa e la dinastia Sabauda tra il Cinquecento e l'Ottocento
LUCA ROLANDI TORINO


Si è svolto recentemente a Roma, Venaria Reale e Torino un interessante convegno di studi che ha messo in luce il rapporto tra Casa Savoia e la Curia Romana tra il Cinquecento e l'Ottocento nel cuore dell'epoca risorgimentale.

Studiosi italiani e francesi, esperti archivisti e docenti illustri hanno cercato di scandagliare il rapporto, non sempre facile, tra l'autorità politica della corte piemontese e i legati pontifici, i nunzi e i rappresentanti dello Stato della Chiesa.

Introdotto dalla sessione romana, presso l'Università La Sapienza con gli interventi dal padrone di casa prof. Franco Piperno, i prof. Jean Francois Chauvard, Ecole francaise de Rome e Andrea Merlotti, Ufficio studi La Venaria Reale, ha visto gli interventi di Paolo Prodi, Maria Teresa Silvestrini, Elisa Mongiano, Paolo Alvazzi del Frate, Francesco Margiotta Broglio e le conclusioni dell'On. Valerio Zanone.
Questo primo appuntamento è stato realizzato in collaborazione con l'Università della Sapienza e l'École française, e il sostegno dell'Associazione dei Piemontesi a Roma. Le successive due giornate hanno esplorato la storia delle relazioni fra lo Stato sabaudo e i principali Stati europei. E la concomitanza con il 150° dell'unità nazionale ha portato a scegliere come primo oggetto di analisi i rapporti fra le corti di Roma e Torino. 

A differenza delle dinastie italiane più recenti - come Medici e Farnese - i Savoia non cercarono mai, o forse non riuscirono ad esser protagonisti nelle complesse dinamiche della politica della curia romana: non a caso, con un'unica eccezione, dalle loro fila non uscirono cardinali.

Furono, invece, attenti a non rinunciare mai al diritto, ottenuto nel Medioevo, di nominare i vescovi e gli abati residenti nei propri Stati, non esitando a sostenere lunghi ed aspri scontri con i pontefici che lo misero in discussione. Anche la Regia Cappella di corte fu un importante terreno di definizione delle prerogative della corte - e dello Stato - rispetto a quelle del clero.



La dinastia costruì intorno al sacro importanti elementi della propria immagine: si pensi al culto della Sindone e dei martiri della legione tebea. Il convegno ha ripercorso queste e altre tematiche dal Cinquecento all'età contemporanea: si apre, infatti, con una tavola rotonda sui concordati dal regno di Vittorio Amedeo II a quello di Vittorio Emanuele III.



Tra i molti ed interessanticontributi segnaliamo la comunizione del professor Gianfranco Armando (Archivio Segreto Vaticano) sul tema "Santa Sede e Savoia: un secolare rapporto a partire dalle carte vaticane",  che ha illustrato lo stato dell'arte delle carte relative alla documentazione inviata dai nunzi in Savoia alla Segretria di Stato e la corrispondenza iin copia in partenza da Roma verso Torino. 

Un rapporto in chiaroscuro che nei secoli ha avuto momenti di grande intesa ed altri, sopratutto negli ultimo secolo preso in esame di fortissima frizione. Dal documento del 1 luglio 1560 in cui papa Pio IV, accreditava monsignor Francois Bachaud come nunzio apostolico presso il duca di Savoia Emanuele Filiberto all'ultimo nunzio monsignor Benedetto Antonio Antonucci che lasciò Torino nell'aprile 1850, poco prima dell'approvazione della Legge Siccardi, molta acqua è passata tra il Tevere e il Po.



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