NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 18 luglio 2018

Il Duca della Vittoria, apre la mostra dedicata al generale Armando Diaz


«I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza». Questa celebre frase, asciutta e scorrevole, chiude il bollettino della Vittoria con il quale il generale Armando Diaz annunciò, il 4 novembre 1918, la sconfitta dell’Austria-Ungheria.  

Per ricordare il personaggio e celebrare il centenario della Vittoria, il Museo dei Granatieri, a Roma, ha allestito la mostra “Diaz, una dinastia di militari” che sarà inaugurata domani, lunedi 9 luglio, alle ore 11.00 dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Salvatore Farina. Al progetto ha partecipato con entusiasmo la stessa famiglia Diaz prestando numerosi importanti cimeli. Il colonnello Bruno Camarota, direttore del Museo, spiega: «Non è stato facile raccogliere da tutta Italia cimeli personali e documenti del generale, sia da privati collezionisti, che da musei come quello della Grande Guerra di Gorizia. Un lavoro doveroso, ma anche gratificante per l’esempio che il generale ci ha lasciato nella valorizzazione delle risorse umane».  

Il fatto di saper capire gli uomini fu, infatti, una delle più grandi qualità di Diaz che si rivelò determinante per il successo finale della guerra. Tuttavia, la sua figura è stata spesso contrapposta, secondo un banale cliché “buono vs. cattivo”, a quella del suo predecessore, il generale piemontese Luigi Cadorna che, de facto, pose le basi tecnico-strategiche affinché Diaz potesse assestare l’ultimo colpo mortale all’Impero asburgico.  


Sangue ispanico-napoletano  
Sicuramente, rispetto a Cadorna, Diaz possedeva un carattere del tutto diverso, espansivo e affabile. Era nato a Napoli nel 1861 da Ludovico, ufficiale della Marina borbonica di lontana origine spagnola e dalla nobile Irene Cecconi. Come secondo nome gli era stato imposto quello di Vittorio, per sancire la fedeltà del padre alla nuova nazione italiana. Gli porterà fortuna. Il giovanissimo Armando fu presto orientato alla carriera militare e condusse con profitto studi scientifici che saranno fondamentali per il suo futuro da artigliere. Non trascurò nemmeno la pratica da ginnasta che conferirà alla sua figura - non molto alta - una caratteristica robustezza. La sua uniforme da Maresciallo d’Italia, esposta nella mostra, con le spalle molto ampie ricoperte dalle spalline dotate di quattro stellette bordate di rosso, ne offre dimostrazione. 

Il matrimonio e la carriera  
A 34 anni, nel 1895, Diaz sposa la giovane Sarah de Rosa Mirabelli che gli donerà tre figli e alla quale rimarrà sempre legatissimo. Testimonianza di questo lungo affetto è una tra le tante lettere esposte nella mostra in cui, oltre a confidare alla moglie i propri stati d’animo, la saluta «milioni di volte appassionatamente». 


Il generale al lavoro  

Da quel momento, la carriera dell’ufficiale si svolge soprattutto nello Stato Maggiore. Come scrive Paolo Formiconi in “Grande guerra, un racconto in cento immagini”, l’omnicomprensivo volume da poco edito dalla Difesa: «Gioviale e cortese, ma riservato e prudente nel parlare, Diaz vi si trovò bene distinguendosi per ordine mentale, capacità quasi animalesca di sopportare la fatica e prontezza nell’adattarsi a situazioni e problemi». 

L’ufficiale non mancherà di dimostrare queste qualità anche sul campo di battaglia. Nel settembre 1912, durante la guerra di Libia, riceve, da colonnello, il comando del 93° reggimento di Fanteria e, a Zanzur, rimane ferito alla spalla mentre conduce i soldati all’attacco. Viene decorato con il prestigioso Ordine Militare di Savoia la cui bella croce di smalto bianco e oro è esposta in vetrina. All’episodio, la stampa dedica anche una tavola a colori su La Tribuna Illustrata.  

Divampa la Grande Guerra  
Allo scoppio del conflitto Diaz è promosso generale e dirige l’ufficio Operazioni del Comando Supremo.  
Nella mostra sono esposti i suoi berretti circondati dalla greca, simbolo del suo nuovo grado. Interessante notare come, durante lo svolgersi del conflitto, i fregi ricamati in canottiglia d’argento vennero sostituiti dal più opaco filo di seta. I riflessi metallici, si era notato, consentivano ai cecchini nemici di individuare più facilmente i comandanti e di bersagliarli con precisione.  

Nel primo anno di guerra, Diaz ricopre un incarico “dietro le quinte” dove è sottoposto a una enorme mole di lavoro. Pur avendo un superiore esigente come Cadorna si disimpegna molto bene tanto che, nel ’16, ottiene la promozione a tenente generale e il comando della 49a divisione sul Carso. Ha così modo di verificare l’efficacia del suo stile di comando, indulgente con i soldati per le piccole mancanze, in cambio di una totale abnegazione e obbedienza in combattimento. Fra i tanti cimeli della sua vita da campo sono esposti in mostra l’elmetto, le posate portatili e la siringa personale.  

Nel ’17, Diaz viene ancora promosso a comandare il 23° corpo d’armata che faceva parte della III Armata, “l’Invitta”, comandata da Emanuele Filiberto di Savoia e comprendeva la brigata dei Granatieri di Sardegna. Con tale incarico, Diaz, riporta discreti successi sull’Isonzo, anche se a prezzo di ingenti perdite.  

Per la seconda volta viene ferito, in questo caso dallo scoppio di una granata durante una ricognizione e si guadagna la Medaglia d’argento al Valor militare. Oltre ad essere, da sempre, molto amato dai soldati, in questo periodo diviene particolarmente abile a mantenere buoni rapporti con la stampa e con il governo, guadagnandosi sempre più la stima del Re.  

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Per tutti gli amanti della storia nazionale, la mostra è visitabile da martedi 10, dalle ore 9.00 alle 16.00 a Roma, in Piazza S. Croce in Gerusalemme. Ingresso libero.  

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