Corre
voce che si stia progettando una traslazione delle venerate salme di Re Umberto
II e della Regina Maria José.
E’
una voce flebile, inapparente, tenuta sottotono, che si dice a mezza bocca.
Con
la preghiera che nessuno sappia.
E
perché nessuno deve sapere?
Perché
detta traslazione avverrebbe non già nell’unico luogo che si addice ad un Re
d’Italia, la Basilica di Santa Maria ad Martyres, più conosciuta nel mondo come "Pantheon", ma in un altro luogo, lontano dalla capitale del Regno d’Italia, quel
Regno che rese l’Italia una e libera e che tale è rimasta nonostante lo sfacelo
di una guerra malamente persa.
La
traslazione, corre voce, avverrebbe alla chetichella, come già è stato per le
altrettanto venerate salme di Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena.
Già
allora ci siamo dati tanti pizzichi sulla pancia per non urlare al mondo il
nostro dolore.
Ma
c’era una brutta situazione in Egitto, terroristi islamici potevano profanare
la tomba del Re Soldato (noi crediamo abbiano da fare cose più impegnative), si
voleva riunire i Sovrani separati dal Mediterraneo…
L’abbiamo
mandata giù. Con estrema difficoltà ma lo abbiamo fatto.
Senza
mai dimenticare che a dispetto di un mondo intero che vuole che quella sia la
sepoltura definitiva noi siamo ostinati nel volere il Pantheon perché è l’unico
luogo di sepoltura che spetta al Re che ha completato l’Unità d’Italia e a cui
è stato fatto carico di tutte le scelte sciagurate di intere generazioni di
politici, (loro sì fuggiti!, in URSS, in Vaticano, in camion con un cappotto
tedesco), che non ascoltarono i suoi consigli.
L'abbiamo
mandata giù ma abbiamo pianto dalla vergogna nel vedere la salma del nostro Re
tornare avvolta in una bandiera stinta, lacera, seppellita in fretta e furia, senza poter ricevere l'affetto del suo popolo, per mettere l’opinione pubblica davanti ad un, bruttissimo, fatto compiuto.
Non
in questo modo e non in quel luogo ha da ritornare il nostro Re Umberto II.
Abbiamo
ottima memoria per quello che riguarda le cose di Umberto: nelle sue
disposizioni testamentarie erano previsti tre soli luoghi:
-Cimitero
dei poveri di Cascais qualora fosse mancato in Portogallo;
-Reale
abbazia di Hautecombe se fosse mancato in altro luogo, come poi avvenne;
-Pantheon
se fosse mancato in Italia.
NESSUNO, sottolineiamo e scriviamo in
maiuscolo e grassetto, si può e si deve permettere di fare questo affronto alla
volontà del Re.
Nessuno
può osare mancare così tanto grossolanamente a disposizioni tanto chiaramente
espresse.
Il
Re ha, per amore della Patria, rinunciato al Trono ma mai, MAI!, ha rinunciato
alla sua dignità regale.
Più
sotto gli amici troveranno scritte queste parole del Sovrano:
“Mi
si chiama il Re di maggio. Ma faccio parte di una famiglia che ha regnato per
mille anni. E non un Savoia avrebbe accettato, durante tutto questo
tempo, di sminuire la figura del proprio padre. Neppure, come nel mio
caso di Re pressoché dimenticato, per mendicare un ritorno di fiamma e di
ricordo“.
Per
questo Re, per quest’uomo, cui la malasorte non ha risparmiato alcun tipo di
dolore non si può accettare che subisca da morto anche l’onta di una sepoltura
cui non ha mai neanche pensato quando era in vita.
Re Umberto II non ha mai accettato compromessi. Ricordiamo, ancora, quando
negli ultimi mesi di vita del Sovrano si era acceso il dibattito sul suo
ritorno, da Londra arrivò, per il tramite dei suoi gentiluomini, il netto
chiarimento: ”Sua Maestà non ha chiesto e non chiede nulla.”
Non
possiamo non provare sdegno per la “diminutio” che verrebbe inflitta alla
dignità regale di un Re che ha speso la sua intera vita in condizioni
difficilissime per conservarla tale.
E
pubblichiamo questa nota su questo blog da 2000 lettori con l’unico scopo di
rompere le uova nel paniere a quanti si ritengono in diritto di mancare di
rispetto alla memoria del Re, accettando per lui morto ciò che lui da vivo
neanche avrebbe preso in considerazione.
A
tale proposito riportiamo gli stralci delle sue interviste ove eventuali
smemorati possano rinfrescare la memoria e schiarirsi le idee.
Intervista
di Giovanni Mosca 1973
“Perché
è venuto fin qui Mosca? E infrangendo tutte quelle etichette alle quali, pur
dopo 27 anni di esilio, sono rimasto fermo? Nato Re, muoio Re, pur non avendo
altro popolo che quello degli scogli su cui vedo infrangersi l’Atlantico. Mi
sono chiuso in me stesso, è la mia forza. Ventisette anni passati senza poter
rivedere la terra che si è amata, e che ancora si ama, sono lunghi e duri. E’
una pena terribile“.
Se
è ancora vietato tornare ai vivi, possono però ritornare i morti.
“Mosca
cosa è venuto a fare? Il mio pensiero sulla sepoltura dei miei genitori lo
conoscono tutti. A Superga no, al Pantheon sì. Altrimenti le salme restano dove
sono. Avrebbe per caso intenzione di indurmi a cambiare opinione?
E
perché no? Non sono mai stato Re, e certe questioni di principio, che pur
comprendo mi sono lontane. Vedo nella offerta di Andreotti…
“Pensa
sia stato Andreotti? Lo ricordo giovanissimo. Me lo presentò De Gasperi. Il
migliore, mi disse, dei miei collaboratori: non sarà un uomo politico
qualunque, gli sto infondendo il senso dello Stato; gli manca solo un po’ di
grinta. Ma quest’ultima frase Andreotti non la sentì.”
Andreotti,
prima ancora che democristiano, è cristiano. Il gesto da lui compiuto non tanto
è un atto politico quanto di pietà.
“E
gliene sono grato“.
Anche
fosse soltanto un atto politico? Anche lo avesse compiuto per guadagnarsi i
voti dei monarchici che hanno aderito alla destra nazionale?
“Anche.
Sono voti che debbono tornare ai partiti democratici, e se i miei morti siano
serviti a questo, ammiro l’atto abile. Penso però che se anche ci sia un po’ di
calcolo, c’è in compenso, tanta pietà cristiana. Ed io, ripeto, sono grato,
anche se non commosso. Non sono un sentimentale. Lo fossi non avrei sopportato
27 anni di esilio. Nessuno conosce l’Italia, angolo per angolo, quanto me.
Nessuno immagina quanto io la rimpianga. C’è nella lingua portoghese una
parola, saudade, che è qualcosa di più che rimpianto, qualche cosa
di più che nostalgia.. E’ intrisa di dolore. Ma l’esilio, da noi, è di casa.
Trecento chilometri a Nord di qui c’è quell’altro angolo di Portogallo dove
morì Carlo Alberto“.
Carlo
Alberto è a Superga.
“Quando
morì non era Re d’Italia. Se accettassi Superga, riconoscerei davanti a tutto
il mondo che, a differenza di Vittorio Emanuele II e di Umberto I, mio padre
non è degno del Pantheon.”
Per
la maggior parte degli italiani Superga e il Pantheon sono la stessa cosa. Quel
che importa per essi è il gesto di Andreotti. Lo si giudica umano, generoso.
Rompe, sia pure soltanto verso i morti, l’impietoso ostracismo nei riguardi di
Casa Savoia. Se lei si ostina ad ignorarlo, corre il rischio di deludere molti,
e di farsi mal giudicare anche da chi le è devoto.
“Gli
italiani sono dei sentimentali. Io, qui, continuo e debbo continuare ad essere
Re. Vedo che non sorride. La ringrazio. L’ironia sarebbe facile. Mi si chiama
il Re di maggio. Ma faccio parte di una famiglia che ha regnato per mille
anni. E non un Savoia avrebbe accettato, durante tutto questo tempo, di
sminuire la figura del proprio padre. Neppure, come nel mio caso di Re
pressoché dimenticato, per mendicare un ritorno di fiamma e di ricordo“.
Ho
parlato con dei giovani. Non conoscono neppure tutti i nomi dei presidenti
della repubblica. Tanto più ignorano i Re scomparsi prima ancora che
nascessero. Si meravigliano che si parli ancora di doveroso rimpatrio delle
salme. Ma poiché il governo lo ha concesso, la sua ostinazione sembra loro
assurda.
“Ebbene,
io, come Filippo II, assurdamente avvolto “nel manto mio regal”, vado più in là
di questi giovani. Che i poveri corpi di mio padre e di mia madre giacciano in
terra straniera o in terra italiana, poco mi importa. Anzi se tornassero in
Italia, non potrei più andarli a trovare. Accetterei il sacrificio soltanto se
li sapessi sepolti nel Pantheon. E poi, vi sono dei doveri cui non si può
mancare. Io quello di venerare mio padre per quanto di grande e di glorioso ha
compiuto, e di essere certo che, un giorno, su ciò che oggi gli viene
addebitato come errore o colpa, la storia darà un giudizio più sereno“.
Nell’attesa
non esita a farsi giudicare male da tanti italiani.
“Precisamente.
Fare il proprio dovere costa“.
Superga,
dicono molti, potrebbe essere l’anticamera del Pantheon.
“Al
contrario, è stata fatta per escludere appunto, il Pantheon. Mia madre, perciò,
rimarrà a Montpellier, sotto la pietra in cui non è inciso che Elena. E sa che,
tempo fa, un gruppo di devoti fanatici mi fece sapere di essere pronto a
trafugare le spoglie dal cimitero di Montpellier, per portarle in Italia, da
cui nessuno avrebbe – secondo loro – più avuto il coraggio di allontanarle?
Dovetti faticare molto per convincerli a rinunciare all’impresa. Mio padre
rimarrà laggiù, lontano, salvo che anche in Egitto non avvenga ciò che è già
avvenuto in Tunisia, Libia, Algeria, dove molte chiese cattoliche sono
diventate moschee. In questo caso sarei costretto a cercare altra sede in terra
straniera. Non sono più Re d’Italia, ma per esilio ho il mondo.
Altra
intervista aprile 1973, Domenica del Corriere.
«Che
i poveri corpi di mio padre e mia madre giacciano in terra straniera o in terra
italiana poco mi importa» dice a chi gli è vicino Umberto. «Non posso
accettare: se tornassero in Italia, non potrei più andare a trovarli.
Accetterei il sacrificio soltanto se li sapessi sepolti al Pantheon. A chi gli
dice che Superga potrebbe essere l’anticamera del Pantheon risponde scuotendo
la testa: «Al contrario Superga è stata offerta per escludere appunto il
Pantheon».
La
sera scende su Villa Italia. La luce calante scava rughe sul volto di Umberto.
Rughe che prima, col sole, erano impercettibili. Umberto si rende conto che
forse l’occasione non gli sarà mai più offerta. «Non posso tradire mio padre»
dice «Non posso dire: ecco. Accetto. Eccovi i suoi resti, metteteli a Superga,
non è degno del Pantheon.»
«Vogliono
questo?» si chiede. E non sembra attendere risposta.
Nessun commento:
Posta un commento