NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 15 gennaio 2025

Corre voce… (ma speriamo che non sia vera)



Corre voce che si stia progettando una traslazione delle venerate salme di Re Umberto II e della Regina Maria José.

E’ una voce flebile, inapparente, tenuta sottotono, che si dice a mezza bocca.

Con la preghiera che nessuno sappia.

E perché nessuno deve sapere?

Perché detta traslazione avverrebbe non già nell’unico luogo che si addice ad un Re d’Italia, la Basilica di Santa Maria ad Martyres, più conosciuta nel mondo come "Pantheon", ma in un altro luogo, lontano dalla capitale del Regno d’Italia, quel Regno che rese l’Italia una e libera e che tale è rimasta nonostante lo sfacelo di una guerra malamente persa.

 

La traslazione, corre voce, avverrebbe alla chetichella, come già è stato per le altrettanto venerate salme di Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena.

Già allora ci siamo dati tanti pizzichi sulla pancia per non urlare al mondo il nostro dolore.

Ma c’era una brutta situazione in Egitto, terroristi islamici potevano profanare la tomba del Re Soldato (noi crediamo abbiano da fare cose più impegnative), si voleva riunire i Sovrani separati dal Mediterraneo…

L’abbiamo mandata giù. Con estrema difficoltà ma lo abbiamo fatto.

Senza mai dimenticare che a dispetto di un mondo intero che vuole che quella sia la sepoltura definitiva noi siamo ostinati nel volere il Pantheon perché è l’unico luogo di sepoltura che spetta al Re che ha completato l’Unità d’Italia e a cui è stato fatto carico di tutte le scelte sciagurate di intere generazioni di politici, (loro sì fuggiti!, in URSS, in Vaticano, in camion con un cappotto tedesco), che non ascoltarono i suoi consigli.

L'abbiamo mandata giù ma abbiamo pianto dalla vergogna nel vedere la salma del nostro Re tornare avvolta in una bandiera stinta, lacera, seppellita in fretta e furia, senza poter ricevere l'affetto del suo popolo, per mettere l’opinione pubblica davanti ad un, bruttissimo, fatto compiuto.

Non in questo modo e non in quel luogo ha da ritornare il nostro Re Umberto II.

Abbiamo ottima memoria per quello che riguarda le cose di Umberto: nelle sue disposizioni testamentarie erano previsti tre soli luoghi:

-Cimitero dei poveri di Cascais qualora fosse mancato in Portogallo;

-Reale abbazia di Hautecombe se fosse mancato in altro luogo, come poi avvenne;

-Pantheon se fosse mancato in Italia.

 

NESSUNO, sottolineiamo e scriviamo in maiuscolo e grassetto, si può e si deve permettere di fare questo affronto alla volontà del Re.

Nessuno può osare mancare così tanto grossolanamente a disposizioni tanto chiaramente espresse.


Il Re ha, per amore della Patria, rinunciato al Trono ma mai, MAI!, ha rinunciato alla sua dignità regale.

Più sotto gli amici troveranno scritte queste parole del Sovrano:

Mi si chiama il Re di maggio. Ma faccio parte di una famiglia che ha regnato per mille anni. E non un Savoia avrebbe accettato, durante tutto questo tempo, di sminuire la figura del proprio padre. Neppure, come nel mio caso di Re pressoché dimenticato, per mendicare un ritorno di fiamma e di ricordo“.

 

Per questo Re, per quest’uomo, cui la malasorte non ha risparmiato alcun tipo di dolore non si può accettare che subisca da morto anche l’onta di una sepoltura cui non ha mai neanche pensato quando era in vita.


Re Umberto II non ha mai accettato compromessi. Ricordiamo, ancora, quando negli ultimi mesi di vita del Sovrano si era acceso il dibattito sul suo ritorno, da Londra arrivò, per il tramite dei suoi gentiluomini, il netto chiarimento: ”Sua Maestà non ha chiesto e non chiede nulla.”

Non possiamo non provare sdegno per la “diminutio” che verrebbe inflitta alla dignità regale di un Re che ha speso la sua intera vita in condizioni difficilissime per conservarla tale.

E pubblichiamo questa nota su questo blog da 2000 lettori con l’unico scopo di rompere le uova nel paniere a quanti si ritengono in diritto di mancare di rispetto alla memoria del Re, accettando per lui morto ciò che lui da vivo neanche avrebbe preso in considerazione.

 

A tale proposito riportiamo gli stralci delle sue interviste ove eventuali smemorati possano rinfrescare la memoria e schiarirsi le idee.

 

Intervista di Giovanni Mosca 1973

qui l'intervista completa

“Perché è venuto fin qui Mosca? E infrangendo tutte quelle etichette alle quali, pur dopo 27 anni di esilio, sono rimasto fermo? Nato Re, muoio Re, pur non avendo altro popolo che quello degli scogli su cui vedo infrangersi l’Atlantico. Mi sono chiuso in me stesso, è la mia forza. Ventisette anni passati senza poter rivedere la terra che si è amata, e che ancora si ama, sono lunghi e duri. E’ una pena terribile“.

Se è ancora vietato tornare ai vivi, possono però ritornare i morti.

“Mosca cosa è venuto a fare? Il mio pensiero sulla sepoltura dei miei genitori lo conoscono tutti. A Superga no, al Pantheon sì. Altrimenti le salme restano dove sono. Avrebbe per caso intenzione di indurmi a cambiare opinione?

 

E perché no? Non sono mai stato Re, e certe questioni di principio, che pur comprendo mi sono lontane. Vedo nella offerta di Andreotti…

 

“Pensa sia stato Andreotti? Lo ricordo giovanissimo. Me lo presentò De Gasperi. Il migliore, mi disse, dei miei collaboratori: non sarà un uomo politico qualunque, gli sto infondendo il senso dello Stato; gli manca solo un po’ di grinta. Ma quest’ultima frase Andreotti non la sentì.”

Andreotti, prima ancora che democristiano, è cristiano. Il gesto da lui compiuto non tanto è un atto politico quanto di pietà.

“E gliene sono grato“.

Anche fosse soltanto un atto politico? Anche lo avesse compiuto per guadagnarsi i voti dei monarchici che hanno aderito alla destra nazionale?

“Anche. Sono voti che debbono tornare ai partiti democratici, e se i miei morti siano serviti a questo, ammiro l’atto abile. Penso però che se anche ci sia un po’ di calcolo, c’è in compenso, tanta pietà cristiana. Ed io, ripeto, sono grato, anche se non commosso. Non sono un sentimentale. Lo fossi non avrei sopportato 27 anni di esilio. Nessuno conosce l’Italia, angolo per angolo, quanto me. Nessuno immagina quanto io la rimpianga. C’è nella lingua portoghese una parola, saudade, che è qualcosa di più  che rimpianto, qualche cosa di più che nostalgia.. E’ intrisa di dolore. Ma l’esilio, da noi, è di casa. Trecento chilometri a Nord di qui c’è quell’altro angolo di Portogallo dove morì Carlo Alberto“.

Carlo Alberto è a Superga.

“Quando morì non era Re d’Italia. Se accettassi Superga, riconoscerei davanti a tutto il mondo che, a differenza di Vittorio Emanuele II e di Umberto I, mio padre non è degno del Pantheon.”

Per la maggior parte degli italiani Superga e il Pantheon sono la stessa cosa. Quel che importa per essi è il gesto di Andreotti. Lo si giudica umano, generoso. Rompe, sia pure soltanto verso i morti, l’impietoso ostracismo nei riguardi di Casa Savoia. Se lei si ostina ad ignorarlo, corre il rischio di deludere molti, e di farsi mal giudicare anche da chi le è devoto.

 

“Gli italiani sono dei sentimentali. Io, qui, continuo e debbo continuare ad essere Re. Vedo che non sorride. La ringrazio. L’ironia sarebbe facile. Mi si chiama il Re di maggio. Ma faccio parte di una famiglia che ha regnato per mille anni. E non un Savoia avrebbe accettato, durante tutto questo tempo, di sminuire la figura del proprio padre. Neppure, come nel mio caso di Re pressoché dimenticato, per mendicare un ritorno di fiamma e di ricordo“.

Ho parlato con dei giovani. Non conoscono neppure tutti i nomi dei presidenti della repubblica. Tanto più ignorano i Re scomparsi prima ancora che nascessero. Si meravigliano che si parli ancora di doveroso rimpatrio delle salme. Ma poiché il governo lo ha concesso, la sua ostinazione sembra loro assurda.

“Ebbene, io, come Filippo II, assurdamente avvolto “nel manto mio regal”, vado più in là di questi giovani. Che i poveri corpi di mio padre e di mia madre giacciano in terra straniera o in terra italiana, poco mi importa. Anzi se tornassero in Italia, non potrei più andarli a trovare. Accetterei il sacrificio soltanto se li sapessi sepolti nel Pantheon. E poi, vi sono dei doveri cui non si può mancare. Io quello di venerare mio padre per quanto di grande e di glorioso ha compiuto, e di essere certo che, un giorno, su ciò che oggi gli viene addebitato come errore o colpa, la storia darà un giudizio più sereno“.

Nell’attesa non esita a farsi giudicare male da tanti italiani.

Precisamente. Fare il proprio dovere costa“.

Superga, dicono molti, potrebbe essere l’anticamera del Pantheon.

“Al contrario, è stata fatta per escludere appunto, il Pantheon. Mia madre, perciò, rimarrà a Montpellier, sotto la pietra in cui non è inciso che Elena. E sa che, tempo fa, un gruppo di devoti fanatici mi fece sapere di essere pronto a trafugare le spoglie dal cimitero di Montpellier, per portarle in Italia, da cui nessuno avrebbe – secondo loro – più avuto il coraggio di allontanarle? Dovetti faticare molto per convincerli a rinunciare all’impresa. Mio padre rimarrà laggiù, lontano, salvo che anche in Egitto non avvenga ciò che è già avvenuto in Tunisia, Libia, Algeria, dove molte chiese cattoliche sono diventate moschee. In questo caso sarei costretto a cercare altra sede in terra straniera. Non sono più Re d’Italia, ma per esilio ho il mondo.

 

Altra intervista aprile 1973, Domenica del Corriere.

qui l'intervista competa

«Che i poveri corpi di mio padre e mia madre giacciano in terra straniera o in terra italiana poco mi importa» dice a chi gli è vicino Umberto. «Non posso accettare: se tornassero in Italia, non potrei più andare a trovarli. Accetterei il sacrificio soltanto se li sapessi sepolti al Pantheon. A chi gli dice che Superga potrebbe essere l’anticamera del Pantheon risponde scuotendo la testa: «Al contrario Superga è stata offerta per escludere appunto il Pantheon».

La sera scende su Villa Italia. La luce calante scava rughe sul volto di Umberto. Rughe che prima, col sole, erano impercettibili. Umberto si rende conto che forse l’occasione non gli sarà mai più offerta. «Non posso tradire mio padre» dice «Non posso dire: ecco. Accetto. Eccovi i suoi resti, metteteli a Superga, non è degno del Pantheon.»


«Vogliono questo?» si chiede. E non sembra attendere risposta.

 

 

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