NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 25 novembre 2024

LA REGINA ELENA (1873-1952) LUCE DA ORIENTE

 



di Aldo A. Mola

 

Elena di Savoia, medico-chirurgo “honoris causa”

Il 27 maggio 1940 il Consiglio della Facoltà di Medicina dell'Università “La Sapienza” di Roma approvò la proposta del suo presidente, Giovanni Perez, di conferire la laurea in Medicina e chirurgia “honoris causa” “a Augusta Persona”, meritevole per «l’attuazione in Italia di un metodo terapeutico che con fine intuito concepì per le desolanti conseguenze di una fra le più grandi malattie, l'encefalite letargica o epidemica»: la cura, cioè, del Parkinsonismo post encefalico.

Presenziarono i nomi più prestigiosi della sanità in Italia, quali Cesare Frugoni ed Eugenio Morelli. Il nome dell'insignita, Jelena Petrovic, rimase riservato. Era Elena di Savoia, Regina d'Italia. Il 30 maggio il ministro dell'Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, antico iniziato alla loggia massonica “La Forgia” di Roma, approvò. Accolti dai sovrani a Villa Savoia il 2 giugno Bottai, Perez e il rettore dell'Università, Pietro de Francisci, consegnarono personalmente il diploma di laurea alla Regina più amata dagli italiani. Erano giorni bui. Lasciati cadere gli inviti a desistere, giunti anche dal presidente degli USA, Franklin D. Roosevelt, ipotizzando un imminente armistizio tra Germania, Francia a Gran Bretagna, in guerra dal 1° settembre 1939, e  e di potervi svolgere il ruolo di mediatore, Mussolini premeva per entrare in guerra a fianco di Hitler. L'attacco da sud-est offriva alla Francia il motivo di arrendersi e scongiurava il rischio che i tedeschi giungessero sul Mediterraneo. Ascoltate le voci più autorevoli del Paese, il Re assecondò.

   La Regina, annota Maurizio Grandi nell'incipit di “I farmaci e la meccanica quantistica della dottoressa Jelena, la Regina d’Italia” (ed. Torino, La Lorre), fu «tra coloro che connotavano il lavoro “scientifico” con fervore visionario e entusiasmo. Ideale di un impegno intenso e in prima persona. Reazione contro l'idea di un universo meccanico, [la Regina Elena, NdA] favorì la nascita di una scienza fatta da forze invisibili e energie misteriose». Era una Luce giunta in Italia da Oriente, col suo matrimonio con Vittorio Emanuele di Savoia, principe di Napoli, il 24 ottobre 1896: una scelta propiziata da politici sagaci come il siciliano Francesco Crispi. Nel tempo, i Savoia si erano uniti alle grandi Case dell'Europa centro-occidentale, dagli Asburgo (sia d'Austria, sia di Spagna), ai Borbone (di Francia, Spagna e delle Due Sicilie) e della Germania. Figlia di Nicola, principe (poi re) del Montenegro, come lo zar e molti sovrani dell'Europa orientale Jelena di Montenegro era di confessione ortodossa.

   Malgrado esploratori di talento, annota Grandi, a fine Ottocento per la quasi totalità degli italiani il Montenegro era un mondo pressoché sconosciuto. In parte lo rimane tuttora. Solo l'1,5% dei turisti che annualmente lo visitano sono italiani. Perciò la storia dell'attuale Repubblica del Montenegro merita un sintetico ripasso.

 

Il 13 luglio 1878: quando il Montenegro divenne Stato

Poche miglia marine separano la costa orientale della Penisola dalle Bocche di Cattaro. Eppure per secoli l'Adriatico meridionale nella percezione degli abitanti degli Stati preunitari italiani (Venezia a parte) rimase più largo di un oceano. Al di qua vi erano il Sacro romano impero e i Principi ai quali venne via via delegato l'esercizio del potere. Al di là, dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani di Maometto II (1453), improvvisamente ci fu l'ignoto, anzi un nemico mortale, l'impero turco-ottomano, giunto ad assediare Vienna e fermato solo tra Sei e Settecento da Eugenio di Savoia che lo sconfisse a Zenta, a Petervaradino e a Belgrado, come documentò S.A.R. la Principessa Maria Gabriella di Savoia in una dotta conferenza svolta in perfetto francese al Castello di Racconigi. Perciò si susseguirono secoli di disattenzione nei confronti delle popolazioni indomite che al di là dell'Adriatico difendevano strenuamente la propria indipendenza, radicata anche nella confessione cristiana ortodossa. Solo nell'ultimo quarto dell'Ottocento un'esigua pattuglia di “politici” colti e lungimiranti scoprì l'esistenza del Montenegro e ne comprese l'identità, soprattutto da quando, a conclusione del Congresso di Berlino (13 giugno-13 luglio 1878), esso venne riconosciuto quale Stato sovrano dalla Comunità internazionale.

   Dopo la feroce guerra franco-prussiana e la proclamazione dell'Impero di Germania (1870-1871) l'Europa rimaneva in fibrillazione. Ad allentare la tensione non era bastata l'Alleanza degli imperatori di Russia, Germania e Austria-Ungheria (1873). Nel 1877 la guerra russo-turca, segnata da orrori medievali, rimise in discussione l'impero ottomano, classificato come il “grande malato di Oriente”. La pace di Santo Stefano (3 marzo 1878) chiuse quel conflitto a vantaggio dello zar, ma le sue conseguenze andavano condivise e ratificate dalle “grandi potenze”. Occorreva appunto un “Congresso”, come era avvenuto a Parigi nel 1856, al termine della guerra anglo-franco-turca (con adesione del regno di Sardegna) contro l'impero russo e, più addietro ancora, nel 1815 a Vienna, inizio del “secolo della pace” (1815-1914). Come scosse telluriche a bassa intensità, i conflitti “di teatro” scaricavano la tensione in aree circoscritte, rinviando il terremoto devastante: la conflagrazione europea.

   Il “concerto delle grandi potenze” in realtà non accettava un unico direttore d'orchestra. Perciò ogni Stato suonava per proprio conto. Spesso steccava. Il bisogno di adottare uno spartito comune si impose (o così si ritenne di fare) con l'ultimo Congresso di pace dell'Ottocento, voluto dal Cancelliere germanico Otto von Bismarck. Bisognava prendere atto delle “nazioni senza Stato” e dare loro un assetto senza causare la deflagrazione degl'imperi turco e asburgico. La politica di equilibrio aveva già accettato le due principali “novità” di metà Ottocento: la costituzione del regno d'Italia nei confini del 1870 e quella dell'impero di Germania proclamato nel Salone degli specchi di Versailles sotto l'egemonia della Prussia. Però vi erano tabù intoccabili. Fu il caso della cattolica Polonia che rimase spartita tra Russia (ortodossa), Prussia (luterana) e impero d'Austria (prevalentemente cattolico).

   Con il trattato “di pace” del 13 luglio 1878 Austria-Ungheria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia e Turchia, «desiderando regolare in un pensiero d'ordine europeo le questioni sollevate in Oriente dagli avvenimenti degli ultimi anni», raggiunsero «felicemente» l'intesa. Uno “strumento” di soli 64 articoli inglobò e superò quelli di Parigi del 30 marzo 1856 e di Londra del 13 marzo 1871. Alcune “partite” molto delicate erano già state risolte alla chetichella tra i diretti interessati. Fu il caso dell'occupazione di Cipro da parte della Gran Bretagna, pattuita con una convenzione segreta tra Londra e la Sublime Porta il 4 giugno 1878.

   Le innovazioni concordate dal Trattato di Berlino segnarono il successivo secolo e mezzo della storia europea e in gran parte vigono tuttora. Gli articoli 1-11 riconobbero la Bulgaria come principato autonomo, con governo cristiano e milizia nazionale, benché ancora tributario del Sultano, e con un sovrano liberamente eletto dalla popolazione ma estraneo alle dinastie al potere nelle Grandi potenze. Gli articoli 13-22 istituirono la Rumelia Orientale, retta da un governatore generale nominato dalla Sublime Porta ma con temporanea occupazione di truppe russe gravanti sulla popolazione. Il Sultano si impegnò ad «applicare rigorosamente nell'isola di Creta il regolamento organico del 1868» con eque modifiche a garanzia dei non islamici. La loro continua violazione suscitò rivolte duramente represse nel silenzio generale dell'Europa occidentale, miope e vile. Bosnia ed Erzegovina furono occupate e amministrate da Vienna, che vi avrebbe mantenuto una guarnigione. Gli articoli 34-42 riconobbero l'indipendenza del Principato di Serbia e ne definirono le frontiere. Fu altresì riconosciuta l'indipendenza del Principato di Romania, ma con restituzione della Bessarabia all'impero russo. Venne deliberata la smilitarizzazione delle rive del Danubio, con libertà di navigazione. Furono inoltre ridisegnati i confini tra gli imperi russo e turco. La Sublime Porta si impegnò a concedere le riforme chieste dagli Armeni e a tutelarli dai Circassi e dai Curdi, ma verso fine Ottocento ne perpetrò il primo genocidio, condannato da Giosue Carducci negli aspri versi “La mietitura del turco”. I sovrani sottoscrissero il “principio della libertà religiosa”, caposaldo della “pax europea”, intimato sia al principe di Romania sia, in specie, al Sultano: «In nessuna parte dell'impero ottomano, la differenza di religione potrà essere opposta da alcuno come motivo di esclusione o di incapacità in ciò che concerne l'uso dei diritti civili e politici, l'ammissione ai pubblici impieghi, le funzioni e gli onori o l'esercizio delle diverse professioni e industrie». I monaci del Monte Athos ebbero speciale garanzia di libertà.

   Inoltre, gli articoli 26-29 del Trattato riconobbero l'indipendenza e la neutralità del Montenegro. Per garantirle venne ordinata la demolizione di tutte le fortificazioni esistenti sul suo territorio e gli fu vietata la costruzione di fortificazioni e di navi da guerra. Il suo sbocco al mare, Antivari, fu precluso ai vascelli militari di Paesi terzi. Dunque, la “forza” del nuovo Principato risultò tutt'uno con il suo “disarmo”. Proprio perché oggettivamente indifendibile, esso era anche invulnerabile. Chiunque avesse voluto soggiogarlo avrebbe scatenato un conflitto di dimensioni imprevedibili, come avvenne nel 1914 con l'aggressione della Serbia da parte dell'impero austro-ungarico. La “Montagna Nera” divenne un fulcro della pace europea, sempre più precaria. Era “Il Piemonte dei Balcani”.

 

Una storia aggrovigliata

Abitato da una popolazione fiera e bellicosa, prevalentemente cristiano ortodossa, col 1711 il Montenegro divenne di fatto indipendente dalla dominazione ottomana. Dal 1697 fu retto dalla dinastia Petrovic-Niegos, principi-vescovi, che si susseguivano al potere da zio a nipote perché i vescovi osservavano il celibato a differenza del clero. Tra loro spiccò Petar II (1830-1851), due metri di altezza, volitivo ed elegante, autore del capolavoro letterario “Il serto della montagna”, nel quale sono celebrati i “vespri montenegrini”, cioè il massacro degli islamici alla vigilia del Natale ortodosso del 1702. Le sue spoglie riposano in un suggestivo Mausoleo sulla vetta di un monte. Suo nipote, Danilo II, interrompendo la tradizione, nel 1852 “laicizzò” il principato e, col titolo di Danilo I, lo rese simile agli altri Stati europei. Con abile strategia matrimoniale suo figlio Nicola (1860-1918), molto legato allo zar di Russia, strinse rapporti con altre dinastie.

   Come accennato e ampiamente narra Maurizio Grandi nel suo libro, il 24 ottobre 1896 Vittorio Emanuele di Savoia, erede della Corona d'Italia, sposò una delle sue figlie, Elena, previa la sua conversione alla chiesa cattolica. La loro fu unione singolarmente felice, allietata dalla nascita di quattro principesse (Jolanda, Mafalda, Giovanna e Maria) e del principe ereditario Umberto di Piemonte (Castello di Racconigi, 15 settembre 1904-Ginevra, 18 marzo 1983).

   Nel 1910 il Montenegro fu elevato alla dignità di regno. Sei anni dopo, nella bufera della Grande Guerra, venne occupato dagli austro-ungarici. Nicola riparò in Francia. Un'assemblea a Podgorica nel 1918 lo dichiarò decaduto e approvò l'incorporazione del Montenegro nel nascente Stato serbo-croato-sloveno. Regno di Jugoslavia dal 1929, questo ebbe vicende interne turbolente sino alla seconda conflagrazione europea, che vide il Montenegro travolto dalle armate germaniche e affidato a un corpo di occupazione italiano. Il 12 luglio 1941 fu proclamato a Cettigne un effimero Regno libero e indipendente di Montenegro. L'indomani, ricorrenza dell'indipendenza del 1878, iniziò la rivolta dei montenegrini contro gli occupanti, repressa con metodi brutali dal governatore civile e militare Alessandro Pirzio Biroli. La popolazione visse pagine tragiche. Fiancheggiò i “comunisti” locali e quelli di Tito, non per motivi ideologici ma per liberarsi dalla dominazione straniera.

   Nel settembre 1943, al momento della resa agli anglo-americani, l'Italia contava 27 divisioni in Jugoslavia e un corpo d'armata in Montenegro agli ordini del generale Ercole Roncaglia. Nel groviglio di fazioni in lotta (cetnici, monarchici filoserbi; ustascia croati e bande di varie stirpi e colori) i militari italiani sopravvissuti agli scontri con i tedeschi e con i “partigiani” stabilirono intese con l'Esercito popolare di liberazione jugoslavo e si organizzarono in Divisione “Garibaldi”, d'intesa con il governo presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio. Dettero ripetute prove di valore, in specie nell'agosto 1944 quando i tedeschi tentarono l'ultima offensiva. A fine conflitto il Montenegro entrò a far parte della Repubblica federale di Jugoslavia che sedette tra i vincitori al congresso di pace di Parigi, concluso con il diktat del 10 febbraio 1947 imposto all'Italia a tutto vantaggio di Tito.

   La distanza tra le due coste dell'Adriatico si ampliò nuovamente. Separò mondi che rimasero a lungo quasi privi di relazioni. Alla deflagrazione della Jugoslavia (1991), il Montenegro formò una federazione con la Serbia, che però, per la disparità di “forze”, per lui si rivelò nettamente svantaggiosa.

 

Il Montenegro: destino europeo contro l'orrore della guerra

Nel 2002 la federazione venne commutata in “unione”, da sperimentare per tre anni. L'esito fu scontato. Nel 2006 con un referendum i montenegrini chiesero l'indipendenza, proclamata a giugno e soccorsa da imponenti investimenti bancari internazionali. “Oh, splendente alba di maggio” è l'inno nazionale. Dopo un lungo percorso, il 28 aprile 2017 il parlamento montenegrino ha ratificato l'adesione alla Nato, mettendo tra parentesi i bombardamenti e le vittime subite dalla sua stessa capitale, Podgorica, durante la “guerra di Bosnia”. Il governo presentò la richiesta di ingresso nell'Unione Europea, rinviata per la persistente gracilità del suo assetto economico, che tuttavia migliora di anno in anno, al di là della complicatissime vicissitudini parlamentari e partitiche e della sequenza di presidenti del governo, comprensibili per una Entità antica e nuova qual è la Repubblica del Montenegro. Tra le sue personalità di valenza internazionale spicca Dukanovic, politico di lungo corso, già presidente del Consiglio e poi della Repubblica con mandato sino al 2025.

   L'Italia ha tutto da guadagnare dal rafforzamento dell'amicizia con il Montenegro. Lo aveva intuito il futuro Vittorio Emanuele III anche prima di andare a Cettigne a chiedere in sposa la Principessa Elena Petrovic-Niegos a suo padre Nicola. L'Europa già c'era. Occorreva rendere effettivo il “principio della libertà religiosa” e rimuovere tutti i motivi di conflitto attraverso la diplomazia, la Corte internazionale dell'Aja e, ancor più, la promozione della conoscenza reciproca tra i popoli o, quanto meno, tra le loro dirigenze. Erano gli anni delle Esposizioni universali, dei congressi scientifici non solo internazionali ma sovranazionali, dei Premi Nobel e delle organizzazioni pacifiste. Occorreva, inoltre, abbattere le frontiere doganali e rivendicare la libertà della ricerca scientifica dalla subordinazione al potere politico-militare nazionale. Sono altrettanti temi passati in rassegna da Maurizio Grandi, specialista in oncologia clinica all'Università di Torino, esperto di bioetica, fitoterapia, etnomedicina, etnofarmacologia e di applicazione della fisica alla medicina, nei suggestivi capitoli che tratteggiano la figura della Regina Elena, sempre in prima linea nella ricerca e nella promozione degli studi medici, con particolare attenzione per la ginecologia, le malattie infantili e quelle legate all'invecchiamento. Mentre ricorda le imponenti realizzazioni promosse dalla Regina in campo sanitario, Grandi stigmatizza “la fisica della morte” coltivata negli USA e culminata nel “progetto Manhattan”.

   Dopo il bombardamento di Hiroshima il presidente Harry Truman, “Prometeo americano”, rivendicò orgogliosamente i suoi effetti devastanti e tacque sulle sue atroci conseguenze irreversibili. Altrettanto silenzio, aggiunge Grandi,  ha circondato il materiale radioattivo disseminato dai bombardamenti nella guerra del Kosovo un quarto di secolo addietro. Vi è motivo di ricordarlo mentre nell'Europa orientale da un canto viene minacciato l'impiego di armi nucleari “tattiche”, dall'altro vengono disseminate micidiali mine antiuomo (sia pure “desistenti”) invano messe al bando, come tanti altri strumenti di morte, largamente impiegati nei conflitti in corso.

   Così vi è motivo di tornare a riflettere sulla figura esemplare della Regina della Carità (come Elena di Savoia venne detta). Per fermare la seconda “grande guerra”, poi divenuta mondiale, ella tentò persino la carta di un appello alla pace, firmato su suo impulso dalle sei regine di Paesi europei ancora neutrali. È tra i motivi che hanno fatto nascere la causa per la sua beatificazione. Utopia? Sarà. Tuttavia, forse è meglio passare alla storia come ingenui che con la taccia di criminali di guerra.

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