di Alessia CagnottoSono ormai alla metà del mio percorso riguardante la ricostruzione degli avvenimenti storici che segnano le vicissitudini di Torino dagli albori fino alla contemporaneità.
Ed è appunto arrivato il momento di approfondire il fatto che più di ogni altro ha segnato il destino dell’urbe pedemontana: il dominio sabaudo.
Prima di entrare nel merito della questione e di focalizzarci sulle imprese dei Principi di Savoia, è bene soffermarci sul contesto storico.
Anno 1250: muore Federico II. Nuovi drammatici eventi scuotono il territorio italiano da Sud a Nord: il papa Innocenzo IV investe l’imperatore Carlo d’Angiò, il quale nel 1266 uccide in battaglia Manfredi, re di Sicilia e, due anni più tardi, il nipote di Federico II, Corradino. La dinastia degli Hohenstaufen viene eliminata e i guelfi trionfano su tutta la penisola.
Tali fatti producono immediate ripercussioni sul Piemonte e su Torino.
Tommaso II di Savoia occupa la città pedemontana, forte delle concessioni che proprio Federico II gli aveva accordato; egli tuttavia trova difficoltà nella gestione delle terre, così, dopo diversi accordi altalenanti con i comuni limitrofi e gli altri signori locali, decide di schierarsi a favore di Innocenzo IV; a questo punto il Papa, per assicurarsi un sostegno duraturo da parte di Tommaso, emana una carta in cui riconferma la signoria sabauda su Torino.
La cittadinanza però non accetta l’insediarsi di Tommaso, né è concorde a proposito dell’alleanza papale, tant’è che nel 1252 viene a crearsi una lega tra le città di Asti, di Chieri e di Torino, per opporsi ai piani del Principe. Nel 1255 i Torinesi catturano Tommaso e lo costringono a rinunciare alla pretesa di regnare sulla città e sui territori circostanti. Dal canto suo Tommaso si appella ai regnanti di Francia e d’Inghilterra, forte dei legami famigliari che i Savoia si erano creati nel tempo. Dopo un acceso dibattito i Torinesi lasciano libero il nobile prigioniero: è ormai evidente l’importanza che la famiglia sabauda ha acquisito a livello internazionale.
Un nuovo pericolo però si affaccia all’orizzonte: l’avanzata di Carlo d’Angiò. La nuova situazione preoccupa molti signori e diversi comuni e la necessità di fermare l’invasore comporta la costituzione di una nuova lega ghibellina capeggiata dalla città di Asti. Torino stessa fa parte di tale di alleanza, ma solo fino al 1270, momento in cui il vescovo Goffredo di Montanaro, guelfo ed oppositore dei Savoia, fa espellere il podestà e si instaura all’interno delle mura cittadine.
Gli scontri intanto proseguono, e ormai il regno angioino è destinato alla disfatta.
Trascorrono circa ottant’anni, durante i quali Torino cambia ben sette passaggi di potere: un tempo decisamente lungo e travagliato, che trova conclusione nel longevo periodo della dominazione sabauda.
La famiglia dei Savoia approfitta della confusione politica dovuta ai continui scontri tra signori locali per appropriarsi di alcune cittadine, apparentemente di minor importanza e indebolite dalla guerra. Tra queste si pensi a Susa, Pinerolo, Rivoli e Avigliana, ma è con l’acquisizione di Torino che i Principi consolidano la propria supremazia sul territorio piemontese.
Eccoli infine i due fattori che, a partire dall’epoca bassomedievale, determinano le future vicende torinesi: l’ascesa al potere della famiglia sabauda e la devastante diffusione della peste nera del 1348.
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