NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 17 febbraio 2017

5 giugno 1944 – 9 maggio 1946: due anni difficili – La Luogotenenza del Principe Umberto - prima parte

La conferenza del 29 gennaio 2017 è la prosecuzione della precedente conferenza, tenuta  sempre al  Circolo  REX dal suo Presidente, Ingegnere Giglio, dal  titolo  "Il  Regno  d'Italia  da  Brindisi  a  Salerno", che si  trova  nel  nostro  blog.

L’INIZIO
Se il Maresciallo Badoglio, giunto a Brindisi, disse di aver  ricominciato  la  sua  azione  di  governo” con  una  matita  ed  un  pezzo  di  carta”, non  è  che  la  situazione  in  cui  si  trovò  il  Principe  Umberto, l’8  giugno  1944, arrivato a  Roma, al  Quirinale, fosse  molto  diversa. Gli  angloamericani  arrivati  a  Roma  il  5  giugno, avevano  dato  il  consenso al  ritorno  nella  capitale  del  Principe, nominato  nella  stessa data, Luogotenente  Generale   del  Re, (la  cui  formula  fu modificata  senza  provvedimenti  di  legge  in  “Regno”), con un Regio  Decreto, nel  quale  il  Padre, lo  nominava  a  tale  carica, ritirandosi  definitivamente  a  vita  privata. Ed  il  Principe, arrivò  praticamente  solo, in  un  Quirinale  vuoto,  dovendo   iniziare  subito  il  difficile  ruolo  di  Capo  dello  Stato. Come  da  prassi, il  Maresciallo  Badoglio, aveva  infatti  presentato  le  dimissioni  del  suo  governo  ed  era  venuto  anche  lui  a  Roma  per  incontrare  gli  esponenti  romani  e nazionali  del  C.L.N. (Comitato  Liberazione  Nazionale), usciti  dai  conventi  e  monasteri  dove  avevano  vissuto  nascosti  e  protetti, nei  nove  mesi  dell’occupazione  tedesca, per  trattare  un  allargamento  del  governo. Invece  si  sentì  dare  il  benservito, in  quanto  il  CLN, voleva  tutto  il  potere  e  presentava  la  candidatura  a  Presidente  del  Consiglio, di  un  vecchio  uomo  politico  prefascista, Ivanoe  Bonomi, che  aveva  già  ricoperto  tale carica  nel  1921. Ed  il  Luogotenente  dovette  accettare  questa  indicazione, che  era  una  imposizione, in  quanto, in  fondo, Bonomi, rappresentava  pur  sempre  un  uomo  di  stato, cresciuto  ed  affermatosi, nello  stato  monarchico,  sotto  il  regno  di  Suo  Padre, dove  partendo  da  posizioni  socialiste, era  approdato  al  riformismo ed  era  stato  uno  dei  tre  parlamentari  socialisti  recatisi  al  Quirinale  nel  1912, per  esprimere  al  Re  Vittorio  Emanuele  III,  le  proprie  felicitazioni, per essere  scampato  all’attentato   dell’anarchico  D’Alba,  e,  per  tale  colpa  erano  stati  espulsi  dal  partito  socialista. Così, con  decorrenza  dal  18  giugno,  veniva  formato  un nuovo  governo, composto  dagli  esponenti dei  sei  partiti  componenti  il  CLN, e  precisamente  il  Partito d’Azione, il  Partito  Comunista, il  Partito  Socialista, il  Partito  Liberale, il  Partito  della  Democrazia  Cristiana  ed  il  Partito  della  Democrazia  del  Lavoro, al  quale  apparteneva  Bonomi. Conoscete  le  vicende  iniziali  di  questo  governo, non  molto  gradito  dagli  angloamericani  e  particolarmente  da  Churchill  che  avrebbe  preferito  una  conferma  di  Badoglio, per  cui  per  più  di  un  mese  il  governo  dovette  riunirsi  a  Salerno  e  poté  ritornare  a  Roma, come  il  Luogotenente, a  metà  di  luglio. Abbiamo  detto  della  solitudine  del  Principe, in  quanto  il  personale  della  sua  casa  militare, non  aveva  logicamente  esperienza  e  conoscenza  politica, per  cui  era  necessaria  una  persona  che  avesse  queste  caratteristiche,  già  individuata  nella  persona  dell’avvocato  Falcone  Lucifero, ma  che, per  un  insieme  di  motivi  e  di  ritardi  poté  assumere  la  carica  di  Ministro  della  Real  Casa, solo  alla  fine  di  agosto, iniziando  quella  collaborazione che  durò  per  tutta  la  vita  del Principe, poi  Re . Né  a  Roma  in  quei  tre  mesi, giugno, luglio, agosto, vi  era  stato  anche  un  solo  politico  del  periodo  prefascista  che  si  fosse  avvicinato  al  Luogotenente, per  consigliarlo  nella  nuova  veste  di  Capo  dello  Stato, così il  Principe  dovette  iniziare, senza  alcun  supporto, una  “corsa  di  ritorno”, e  dimostrare  la  sua  capacità  di  sostenere  con  alta  competenza  ed  equilibrio  il  suo  ufficio, doti  che  successivamente  gli  vennero  riconosciute   anche  da  avversari  della  Monarchia.
Senza  scendere  in  troppi  dettagli  sulla  vita   di  Falcone  Lucifero, la  cui  figura  meriterebbe  una  analisi  approfondita, dobbiamo  ricordare  i  dati  essenziali: nato  nel  1898  da  nobile  famiglia  calabrese, che  aveva  avuto  diversi  suoi  esponenti  deputati  al  Parlamento  nel  periodo  pre -fascista, volontario  di  guerra  in  artiglieria  da  montagna, laureato  in  legge, simpatizzante  del  socialismo  riformista, consigliere  comunale  socialista  di  Crotone, logicamente  antifascista,  durante  il  ventennio  si  era  dedicato  con  successo  alla  professione  forense  e  nel  settembre  1943, trovatosi  nella  natia  Calabria, per  il suo  nome  prestigioso  era  stato  nominato  Prefetto  di  Catanzaro, ad  opera  degli  “alleati”, con  risultati  positivi, per  cui  il  suo  nome  era  cominciato  a  circolare, così  che  nel  Ministero  Badoglio, ricostituitosi  nel  febbraio  1944, dovette  accettare  la  carica  di  Ministro  dell’Agricoltura e  Foreste   tenuto  dall’11  febbraio  al  22  aprile. Terminata  questa  esperienza  governativa  dove  si distinse  per  energia, dimostrando notevoli  doti  organizzative, entrato  nella  vita  politica  ed  amministrativa  dello   Stato, fedele  alle  sue  istituzioni, veniva  nominato  Prefetto  di  Bari,  ed  al  tempo  stesso, proprio  per  le  qualità  dimostrate  nei  diversi  compiti  svolti  e  per  il  suo  passato, si  pensò  al  suo  inserimento  a  fianco del  Luogotenente, come  Ministro  della  Real  Casa, carica  che  assunse, come  già  detto, alla  fine  dell’agosto  1944. E  di  questa  sua  attività  tenne  un  importantissimo  diario, che  relativamente  al  periodo  dal  12  febbraio  1944  all’11  agosto  1946, è  stato  pubblicato, nel  2002, da  Mondadori, con  il  titolo  “ L’ ultimo  Re”,  con  una  importante  introduzione  dello  storico  Francesco Perfetti. Diario  che  è  fondamentale  per  seguire  giornalmente l’opera  del  Ministro, ma  anche, logicamente  quella  del  Principe  Umberto, che, finalmente  aveva  al suo  fianco  persona  esperta  di  politica  e  di  diritto, e  non  un  cortigiano. 
L’ assenza  di  un  autorevole  ed esperto  consigliere  ebbe  infatti  la  sua  importanza  quando  il  governo  Bonomi, sottopose  alla  firma  del  Luogotenente, il  25  giugno  1944, il   Decreto  n.151, che  modificava  la  formula  del  giuramento  dei  Ministri  e  prevedeva  la  convocazione  di    una  “Assemblea  Costituente”, da  eleggersi, terminata  la  guerra, alla  quale  affidare  la  redazione  di  una  nuova  costituzione  e  la  forma istituzionale  dello  stato, ed  abrogava  il  decreto  legge  del  governo  Badoglio, dell’agosto  1943, logicamente  firmato  dal  Re  Vittorio  Emanuele  III, dove  invece  era  stabilito  che, dopo  quattro  mesi  dalla  fine  della  guerra, si  sarebbe  proceduto  alla  elezione  della  nuova  Camera  dei  Deputati  del  Regno, decreto  importantissimo  e  fondamentale  perché  sanciva  il  ritorno  alle  istituzioni  della  democrazia  rappresentativa, riprendendo  la  tradizione  risalente  allo  Statuto  del  1848. Perché  sottolineiamo  questo  decreto  Bonomi? Perché  in  pratica, come  sottolineato  dai  costituzionalisti,  Giuseppe  Menotti  De  Francesco, Magnifico  Rettore  dell’Università  di  Milano, e  dal  professore  Emilio  Crosa, questo  Decreto, con  riferimenti  a  leggi  del  1939 (art. 18  legge  19/01/1939 n. 129) e  1943( R.D.L.  03/10/!943  n.2B)  suscitava  notevoli  perplessità  sulla  sua  stessa  legittimità  e  comportava  difficoltà  di  interpretazione  per  le  sue  intrinseche  incongruenze, sì  che  da  molti  commentatori  si  disse, con  troppa  faciloneria  che  in  pratica  si  era  abolito  lo  Statuto  e  l’Italia, da  quel  momento, non  era  più  una  Monarchia  anche  se  non  era  ancora  repubblica.
D’altra  parte il  Principe  Umberto  stava  faticosamente  riprendendo  le  sue  funzioni  costituzionali e  non  aveva  l’autorità  necessaria  per  opporsi  al  governo  ciellenista, né  in  fondo  l’aveva  lo  stesso  Bonomi, che  non  aveva  brillato  per  energia  nel  lontano  1921  e  certo  non  l’aveva  acquistata  negli  anni  successivi, anche  se  tutti  gli  riconoscevano  oltre  all’onestà, doti  di  competenza , di  equilibrio  e   di  moderazione, dote  questa  che  cozzava  con  l’intransigenza  e l’estremismo  specie  degli  “azionisti”, presenti  nel  governo  con  tre  ministri. Oltre  tutto  il  Principe  per  la  sua  nuova  carica, non  poteva  essere  vicino  più   frequentemente ai  soldati  che  risalivano  combattendo   l’Italia, come  aveva  fatto, regnando  ancora  il  Padre, fino al  5  giugno, e  come  avrebbe  preferito  fare, perché  nel  suo  intimo  era  e  rimaneva  sopra   tutto  un  “soldato”, come  tutti  i  Savoia, ed  ai  militari  aveva  indirizzato  un  messaggio  all’atto  di  assumere  la  Luogotenenza  del  Regno.
A  questo  proposito  è  bene  precisare, una  volta  per  tutte, che  la  minore  presenza  tra  le  truppe del Regio  Esercito, dopo  la  nomina  a  Luogotenente, del  Principe  Umberto, era  dovuta  alle  nuove  incombenze  statutarie  che  richiedevano  la  sua  presenza  a  Roma, anche  se  non  mancarono  le  visite  di  cui  accenneremo  in  seguito. Egualmente  dicasi  per  chi  accusa  il  Principe  di non  aver  assunto  il  comando  effettivo  delle  nostre  unità, nomina  “ bloccata”  dagli  angloamericani, ai  quali  stava  bene il  nostro  contributo  di  “cobelligeranti”, ma  al  tempo  stesso tendevano  a  minimizzarlo, come  quando  chiamarono  “gruppi  di  combattimento”, quelle  che  erano  per  numero  di  soldati  delle  vere  “divisioni”, il cui  insieme  avrebbe  costituito  non  solo  un  “Corpo  d’Armata”,  ma  una  vera  “Armata  Italiana  di  Liberazione”!  Ma  di  questa  costante  presenza  del  Principe  tra  i  soldati  la   migliore  testimonianza  è  la  lettera  che  il  Ministro   della  Guerra , il  democristiano  Stefano  Jacini  inviò, il  14  settembre  1945, accompagnando  il  distintivo  della  vittoriosa   campagna  di  liberazione   1943-1945,  “….alla   quale  Vostra Altezza Reale ha  partecipato  direttamente, insieme  al primo  Raggruppamento  Motorizzato, al  Corpo  Italiano  di  Liberazione   e  coi  gruppi  di  combattimento.  Le  truppe  che  hanno  visto  Vostra  Altezza , sulla  linea  di  combattimento  dal  Volturno  a  Bologna, saranno  fiere  di  vederLa  fregiarsi  di  questo  umile  segno  che  ricorda  l’opera  svolta  per  la  rinascita  della  Patria“.  Dobbiamo  però  dare  atto  al  generale  statunitense  Mark  W. Clark, comandante  della  Quinta  Armata, di  aver  proposto  la  concessione  al  Principe  della  “Legion  of  Merit”,  bloccata  per  motivi  politici,  di  aver  accettato  con  orgoglio  di  ricevere dalle  mani  del Luogotenente  la  Gran  Croce  dell’Ordine  dei  Santi  Maurizio  e  Lazzaro  e  di  aver  fatto  passare  in  rassegna  dal  Principe  reparti  statunitensi, il  che, se  pensiamo  alla  realtà  italiana  dell’epoca, a  pochi  mesi  dall’armistizio, costituiva  il  migliore e  maggiore  riconoscimento  al  contributo  del  Regio  Esercito  e  della  Monarchia  alla  liberazione  del  territorio  nazionale  e  del  prestigio  personale  che  aveva  saputo  conquistarsi  il  Principe. Eventi  tutti  che  furono  volutamente  ignorati  dalla  stampa  ciellenista  perché  avrebbero  risollevato  il  nome  della  Casa  Savoia  ed  avrebbero  successivamente  giovato  alla  causa  dell’Italia  in sede  di  trattato  di  pace, dove  invece  non  fu  fatto  alcuno  “sconto”  alla  neonata  repubblica  italiana, che  non  valorizzò  questi  argomenti, perché  favorevoli  alla  memoria  della  Monarchia, che, invece  si  cercava  in  ogni  modo  di  cancellare, costante  questa  cancellazione  anche  nel  periodo  successivo, fino  ai  nostri  giorni.
Uno  storico, non  certamente  monarchico, Gianni  Oliva, giudica  che  negli anni  della  luogotenenza, malgrado  l’atteggiamento  aprioristicamente  repubblicano  dei  partiti  politici, esclusi  liberali  ed  in  parte  i  democristiani, “….Umberto  rivela  una  maturità  inattesa.  Egli  regna …lavora  con  impegno  e  restituisce  al  Quirinale  dignità  di reggia, ostenta  in  ogni occasione  il  suo  lealismo  costituzionale… Accoglie  ministri  con  animo  tranquillo  ed  imparziale, firma  leggi  che  certamente  non  condivide…”, ed  anche  in  cose  ben  più  semplici, come  sedersi  in  automobile  vicino  all’autista,  dimostra  la  sua  maturità  umana  perché  capisce  che  arrivare  in  città  o località  quasi  distrutte  o  presso  reparti  militari, con  una  macchina  lussuosa  e  con  sussiego  sarebbe  stata  un’offesa  a  chi  forse  aveva  perduto  ogni  sua  cosa. Così  pure  dando  la  mano  a  tutti, con  una  sensibilità  da  vero  Signore, oggi  diremmo  democratica, che  spesso  non  avevano  suoi  accompagnatori, come  aveva  fatto  il  Re, suo  Padre  nelle  visite  al  fronte  durante  la  grande  guerra  1915-1918. Ed  all’ Oliva  si  deve  anche  un  importante  riconoscimento  sull’ entità  dello  sforzo  bellico  del  Regio  Esercito, durante  la  cobelligeranza, con oltre ben  350.000  uomini  mobilitati  tra  gruppi  di  combattimento  e  divisioni  “ausiliarie”,  che  operavano  non solo  nelle  retrovie, ma  a  ridosso  del fronte, ed  anche  Incisa  di  Camerana, nel  suo  libro  sulla  Luogotenenza, dedica  al  Regio  Esercito  delle  pagine bellissime  di  riconoscimento del loro  operato, ricordando  anche  l’opera svolta dall’esercito  per  stroncare  il  separatismo  siciliano  nel  1945, che  si  era  reso minaccioso, anche  con  un  suo  esercito, l’EVIS, e  contro  il  quale  non  potevano  bastare  i  pur  valorosi  carabinieri.
LA  VITA  QUOTIDIANA
Con  la  presenza  a  fianco  di  Lucifero  il  Principe  imposta  una  giornata  di  lavoro  che  parte  dalle  prime  ore  del  mattina  e  termina  nelle  tardissime  ore  della  sera  per  potere  ricevere  quante  più  persone  ne  facessero  richiesta, oltre  agli  incontri  ufficiali  ed  istituzionali, e  per  potere  recarsi  al   fronte, a  visitare  le  nostre  truppe  e  le  città  ed  i   paesi  liberati. Questo  partendo  prestissimo  in  aereo, viaggi   spesso  pericolosi ,   e  tornando  in  tempo  per le  altre  attività  sopra  indicate, e  per  quello  che  riguarda  la  sua  presenza  tra  i  militari  vi  è  una  notevole  testimonianza  fotografica  venuta  alla  luce   dopo  il  referendum, in  quanto  prima  era  rimasta  volutamente  occultata, sempre  allo  scopo  di  far  ignorare  agli  italiani, fatti  che  potevano  giovare  alla  causa  monarchica. Anticipando  i  tempi  ricorderemo  ad  esempio  il  silenzio  assoluto  della  stampa  sulla  presenza  del  Luogotenente, nel  febbraio  1946,  ad  una  udienza  papale  in  occasione  del  Concistoro  nel  quale  Pio  XII  aveva  nominato  nuovi  Cardinali  ed  il  successivo  ricevimento  che, in  loro  onore, il  Principe  con  la  Principessa  avevano  dato  al  Quirinale, presenti  anche  tutti  gli  altri  Principi  di  Casa  Savoia  dal  Duca  d’ Aosta, Aimone, ai  Duchi  di  Genova, Bergamo  e  Pistoia,  ricevimento  di  cui  parlò  brevemente, in  una  pagina  interna,  solamente “L’Osservatore  Romano“.  Ed  a  proposito  dei  Principi  di  Casa  Savoia, alcuni  di  questi, oltre  tutto  già  anziani,  poterono  tornare  a  Roma   solo  nel  1945, dopo  la  Liberazione, per  cui  nel  1944  il  Luogotenente  avrebbe  potuto  contare  solo  sul quasi  coetaneo, Aimone,  Duca  d’Aosta, che  aveva  assunto  tale  titolo  a  seguito  della  morte  del  fratello  Amedeo, avvenuta  il 3  marzo 1942, che  però ai  primi  dell’aprile  1945, avendo  in  una  cena  privata  a  Taranto, espresso  una  battuta  sui  giudici  dell’Alta  Corte, che  stavano  processando  il  generale  Roatta, presente  alla  cena  la  giornalista  inglese  Silvia  Sprigge, la  suddetta  battuta fu  dalla  stessa, scorrettamente, inviata  e  pubblicata  sui  giornali, come  fosse  stata  una  vera  e  propria  dichiarazione  politica, con  grande  ipocrita scandalo  della  stampa  e  del  governo ciellenista, il  che  mise  fuori  giuoco  il  Principe, che  dovette  lasciare  Taranto  e  ritirarsi  a  Napoli, per  alcuni mesi, dove  viveva  la  Duchessa  d’Aosta  Madre.
In  questo  periodo  cominciano  ad  organizzarsi  dei  movimenti  monarchici, con  i  quali  i  rapporti  sono  tenuti  dal  Ministro  Lucifero, per  cui  appare  un  partito, il  Partito  Democratico  Italiano, di  Enzo  Selvaggi  e  di  Roberto  Lucifero, cugino  del  Ministro, si  presenta  un  giovane  professore  Alfredo  Covelli, per  una  Concentrazione  Democratica  Liberale, dove  era  pure  l’anziano  senatore  Bergamini,  e  ad  ottobre  del  ’44  appare  un  manifesto  dell’Unione  Monarchica  Italiana, sorta  da  pochi  mesi, che  dà  spunto  al  ministro  di  precisare  quella  che  era  e  sarebbe  stata  la  linea  tenuta, (ed  anche  criticata), dal  Luogotenente: “Che  la  Corona  ed  il  Ministero (della  Real  Casa) sono  estranei  a  ogni  iniziativa  del genere, giacché  sono  al  di  sopra  e  al  di  fuori  di  ogni  partito, ma  non  possiamo  che  ben  vedere  tutte  le  iniziative  che  tendono  alla  ricostruzione  del  paese, della  democrazia  e  della  libertà”.
Per  le  visite  del  Principe, solo  a  titolo  indicativo  e  non  certo  esaustivo, ricordiamo  a  luglio  del  1944  la  visita  a  Firenze, quando  erano  ancora  in corso  dei  combattimenti, poi  ad   ottobre  1944  la  visita  alle  truppe  che  si  apprestavano  ad  entrare  in  linea, poi  a  novembre  la visita a  Rimini  liberata,  ed  a  Grosseto  colpita  da  un’alluvione, dopo  essere  stato  ad  Avellino  per  rassegna  truppe. Nel  1945  a  gennaio  è  a  Pisa, dove  erano  truppe  brasiliane, alle  quali  si  rivolge  in  portoghese, con  meraviglia  del  loro  comandante  e  dei  suoi  accompagnatori  ed a  Lucca  ed  Arezzo, per  recarsi  il  25  febbraio  ad  Ascoli  Piceno  dove  era  la  divisione  “Nembo”, con  entusiasmo  della  popolazione, entusiasmo  che  si  rinnovò  giorni  dopo  a  Taranto, dove  era  andato  a  ricevere  la  divisione  “Garibaldi”, che  tornava  dal  Montenegro.  Ad  aprile  del  ’45  intensifica  la  sua  presenza  nelle  zone  appena  liberate, accolto   dalle  popolazioni  con  lacrime  ed  abbracci  e  in  località  minori  come  Santo  Alberto, nel  Comacchio, a  Cesena, dove  pernottò  su  una  brandina, a  Peratello  vicino  Imola, e  poi  a  Ravenna  e  Ferrara, con  un  atterraggio  fortunoso  ed  il  28  aprile, come  già  a  Montelungo, nel  dicembre  1943, effettua  un  volo  di  guerra, con  reazione  della  controaerea  tedesca  che  ancora  combatteva, ed  infine  si  reca  a  Bologna  dove  erano  entrate  le  nostre  truppe, accolto  molto  bene  dalla  popolazione. Cito  queste  località  perché  anche  i  comunisti  che  già  vi  spadroneggiavano  ebbero  nei  confronti  del  Principe  un  atteggiamento  di  rispetto  ed  anche  ammirazione. Lo   stesse  accoglienze  positive  in  altre località  del  Nord, compreso  Veneto  e  Friuli, dove  si  era  recato a  maggio, con  eccezione  di  Milano  dove  né  il  prefetto, il  sindaco  ed  il  CLN  locale  si  erano  recati  a  salutarlo.
Di  fronte  a  questi  avvenimenti  riguardanti  la  guerra  di  liberazione, come  sempre  taciuti  o  quasi  dai  giornali, eccettuata  la  battagliera  “Italia  Nuova”, organo  del  Partito  Democratico Italiano, di  cui  ricorderemo  uno  dei  più  importanti  collaboratori, Alberto  Consiglio ,”Babeuf”, ed  anche  in  parte  il  “Risorgimento  Liberale“, espressione  del  P.L.I., vi  era  invece  a  Roma  nel  governo  e negli ambienti  ciellenisti, con  i  loro  numerosi  giornali, dalla  “azionista”  Italia  Libera, a l’Avanti”!, all’ Unità, al  settimanale  “Cantachiaro”,  il  consueto  atteggiamento  critico, pronto  ad  afferrare  ogni  occasione  per  mettere  in  cattiva  luce  l’operato  del  Luogotenente, come ad  esempio  protestando nel  caso  di  una  sua  intervista  del  31  ottobre  1944  al  “New  York  Times” in  cui  aveva  parlato  di  un  “referendum”, e  non  della  sola  Costituente  per risolvere  il  problema  istituzionale, soluzione  per  il  momento  rigettata, mentre  poi  fu  successivamente  accolta, ed  opponendosi  alla  pubblicazione  di  un  suo  messaggio agli  italiani  dopo  la  liberazione. Invece  i  giornalisti  angloamericani  modificavano  in  senso  favorevole al  Principe  le  loro  opinioni, come  il  Matthews  che  scrisse : “Il  Principe  Umberto ha  come  meta  una  monarchia  liberale  e  democratica  come  in  Inghilterra, Svezia, Norvegia  e  Danimarca.”  e  lo  Schiff  del  “Daily  Erald”  che  lo  giudicò  “pieno  di  tatto  ed  imparziale”. Giudizi  questi  che  si  uniscono  a  quello  ben  noto  di  Churchill  che  lo  incontrò  a  lungo  nel  corso  della  sua  visita  in  Italia e  che  in  ogni  caso  ripetiamo: “ La  sua (del Principe  Umberto)  potente  ed  attraente  personalità, la  sua  padronanza  dell’intera  situazione  militare  e  politica  erano  davvero  motivo  di  conforto  ed  io  ne trassi  un  senso  di  fiducia  più  vivo  di  quello  che  avevo  provato  durante  i  colloqui  con  gli  uomini  politici. Certo  speravo  che  avrebbe  contribuito  a  consolidare  la  Monarchia  in  una  Italia  libera, forte  e  unita.”  ed  a  quello, molto  meno conosciuto  dell’incaricato  d’affari  USA, David  Key  che   dice: “(Il  Principe Umberto) mi  ha  parlato  con  acutezza  dei  problemi  italiani. Si  ha che  fare  con  un  uomo  che  ha  un  elevato  senso  della  dignità  verso  il  quale  non  esistono  le  riserve  che  aveva  avanzato  Roosevelt. Una  monarchia  con  Lui  a  capo  potrebbe  costituire  un  elemento  stabilizzatore  e d’ordine.”

Parlando  di  uomini  di  stato  stranieri  e  di  diplomatici  giova  ricordare  che  dopo  il  riconoscimento  da  parte  dell’URSS  del  Governo  Badoglio, nel marzo  1944, anche  Gran  Bretagna  ed  USA, e  altri  numerosi   paesi  avevano  compiuto  lo  stesso  passo  per  cui  via  via  i  loro  ambasciatori  venivano accreditati  presso  il  governo  italiano, presentando le credenziali  al  Luogotenente, in  cerimonie  formalmente  impeccabili  che  non  facevano  pensare  che l’Italia  era  nazione  sconfitta. Ad  esempio  l’8  gennaio  1945, in  occasione  della  presentazione  dell‘Ambasciatore  USA, Kirk , lo  stesso  dopo  la  cerimonia  si   intrattenne  con  il  Principe  per  una  mezzora, presentandogli  poi  tutti  i  suoi  collaboratori, o  come  il  successivo  4  giugno  in  un  ricevimento  al  Grand  Hotel, organizzato  da  Myron  Taylor, rappresentante  USA presso il  Vaticano,  l’ambasciatore  Kirk, dopo un  brindisi  al  nuovo  presidente  americano  Truman, succeduto  a  Roosevelt, mancato il  12 aprile, ne  propose  un altro  per  il  Principe  Umberto, che  aveva  inviato a  Truman  un  messaggio  di  saluto. Sempre  Kirk, in  occasione  di  una  visita  a  Roma del  generalissimo americano, Eisenhover, il  13  settembre, organizzò una colazione, alla  quale  invitò il  Luogotenente, consentendogli  un  cordiale  scambio  di  idee  con  quello  che  sarebbe  divenuto  nel  1952, Presidente  degli  Stati  Uniti, incontro  di  cui  fu  data  notizia  sulla  stampa. E  così  pure  in  altri  ricevimenti  e  cerimonie  dove  al  posto d’onore  è  quasi  sempre  Falcone  Lucifero, proprio  in  qualità  di  Ministro  della  Real  Casa, e quindi  rappresentante del  Luogotenente, come, molto  significativa, la  presenza, il 19 dicembre 1945, alla  Sinagoga di  Roma,  per  l’insediamento del  nuovo Rabbino  Capo, il  Prof. Grande  Ufficiale  David  Prato.

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