NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 30 gennaio 2017

La Monarchia ha realizzato le libertà più autentiche - quarta parte

Action Française
Si sente il bisogno di un uomo che sia veramente al di sopra dei partiti, indipendente da essi. E questo non può essere che il Re. E' certamente un bene, mi si dirà, restaurare l'autorità dello Stato aa, che succederebbe della libertà, delle libertà?
Ebbene, proprio la Monarchia risponderebbe alla esigenza che soprattutto oggi si fa sentire di restaurare e proteggere le libertà.
La dottrina ufficiale repubblicana pretende che non vi fossero libertà, né in Francia né altrove, prima della rivoluzione francese del 1789. Niente di più falso. Ci si può semmai domandare se la rivoluzione francese non segni l'avvento dei regimi totalitari.
Nella vecchia Francia, il sentimento di libertà era molto sentito - Alessio di Tocqueville ce ne ha lasciato ampia testimonianza.
L'autorità del Re non era affatto in contraddizione con le libertà dei francesi. Essa era, al contrario, protettrice contro gli abusi dei grandi e dell'amministrazione.
E' contrario alla verità storica parlare d'una dialettica tra il Re ed il Popolo. E' piuttosto contro la feudalità che il Re si è opposto. Le libertà si sono sviluppate a mano a mano che si è rafforzata l’autorità regale.
Lo libertà di cui godevano i francesi nell’antico regime erano innanzitutto libertà collettive. L'antico sistema era una società di ordini e di corporazioni. Questi ordini e corporazioni costituivano di per se stesse delle garanzie per l'individuo, che vi trovava la propria valorizzazione.
La rivoluzione ha sostituito una Libertà astratta, con una Elle maiuscola, alle libertà concrete dell'antico sistema. Essa ha soppresso le prerogative di innumerevoli comunità ed ha lasciato l'individuo disarmato dinanzi al potere del denaro e della Stato. Così la rivoluzione francese ha permesso lo sviluppo del capitalismo liberale con il seguito di ingiustizie, in attesa di introdurre lo Stato tecnocratico e totalitario da cui noi siamo oggi minacciati. La sovranità popolare non è affatto una garanzia di libertà. Del resto la sovranità del popolo è qualcosa di diverso da un mito, di una impostura che escogitano i  detentori del potere?
La Monarchia era, invece strumento di tutela, di rinascita e di sviluppo delle libertà. In effetti, la     repubblica è talmente presa da preoccupazioni di carattere  elettorale e di tipo ideologico, da non voler     lasciare sfuggire nulla del controllo degli elettori. Pertanto, considera le libertà come una minaccia al sistema.
In Monarchia, per contro, il potere, essendo affrancato dalla servitù dell'elezione, non ha nulla da temere per il nascere di opposizioni se consente, ad esempio, più autonomia alle comunità locali.

La Monarchia ha una naturale propensione a disimpegnarsi di molti dei compiti che lo Stato si è accaparrato, cui adempie male e che normalmente non gli competono.
Inoltre, la Monarchia non ha ideologie da far prevalere. Essa può accettare il pluralismo ideologico dei Francesi, dal momento che questo pluralismo non costituisce minaccia al potere della Monarchia, che si fonda soprattutto su una naturale autorità morale.
La Monarchia, pertanto, potrebbe permettere anche un rafforzamento delle autorità locali e professionali in rapporto alla propria forza. Solo un Potere forte può decentrare. Oggi lo stato, per quanto possa essere persino tentacolare, è eminentemente fragile, ciò che lo rende diffidente nei confronti dei corpi intermedi.

Tra il Re e le collettività territoriali o professionali, le molteplici associazioni di interesse si istituirebbe naturalmente un dialogo, il dialogo dell’interesse generale e degli interessi particolari, con il Sovrano in funzione di estrema istanza.

E così come vi possono essere conflitti tra l'interesse generale e gli interessi particolari, altrettanto si possono manifestare conflitti tra le diverse collettività. Il Re eserciterebbe, in tal caso, il suo arbitrato. In repubblica, non esiste un arbitro dotato della sufficiente credibilità; non vi sono che partiti e classi in lotta gli uni contro gli altri.
Nel concludere questo capitolo sulle libertà reputo opportuno sottolineare lo sviluppo che ha assunto, ai giorni nostri, il concetto di decentramento, sia che si tratti di un decentramento comunale o che riguardi quello provinciale, universitario o culturale. Si constata ugualmente conte si diffonda l'idea della necessità di una collaborazione tra i    partners sociali e di una partecipazione nelle relazioni di lavoro. Idee eccellenti che corrispondono senza dubbio alle aspirazioni dei Francesi.
C’é tuttavia, da rilevare come, in repubblica queste idee, lungi dal procurare innanzitutto la pace sociale, sono deviate e divengono segni di contraddizione.
Lo stesso Ente Regione, di recente creazione, appare come un’istanza supplementare di contestazione politica e, per parere il colpo in questa maniera corso, patere in carica cerca di assicurarsene il controllo. Questo non impedisce il regionalismo, che, in alcune zone, sconfina nel separatismo, contro il quale si leva il giacobinismo.
La cooperazione e, la partecipazione, dal conto loro, non sono considerati dai sindacati che si ispirano alla lotta di classe che come dei mezzi per rendere intensa la guerra  la  sociale, Gli stessi accordi conclusi con lo Stato e con la con la parte datoriale non sono, nella loro considerazione, che degli armistizi assolutamente effimeri. Quanto alla    partecipazione essi non  lo concepiscono che come un mezzo per imporre un potere sindacale irresponsabile nelle aziende.
Ci si rende, dunque, conto come la repubblica, avvelenando i rapporti sociali crea ostacolo alla rinascita dei corpi intermedi ossia alle autentiche e più importanti libertà.
La terza esigenza politica  della Francia è costituita dalla necessità della interpretazione del potere reale presso il potere. Ed è, infatti,  un grosso problema, quello delle relazioni tra governanti e governati.
Come    può il potere far conoscere le sue idee, il suo programma, le sue intenzioni, la sua politica ai francesi? Come può venire a conoscenza delle aspirazioni e delle esigenze del popolo?

Si sa, al riguardo, il ruolo importante che gioca la televisione, ma si tratta, purtroppo, di un veicolo di informazione a senso unico. Vi sono anche le conferenze stampa, cui  De Gaulle conferiva l'aureola di una grande messa solenne e che, con Pompidou, è divenuta una sorta di messa delle ore 11, avendo parte riservata al dialogo rivestito un po' più di importanza.
Vi è di certo che la rappresentanza parlamentare, ma ogni giorno di più si deve prendere atto del deperimento del suo ruolo e della sua inefficacia. Vale la pena deplorarlo? In fondo, il Parlamento  non rappresenta che delle opinioni, o , piuttosto, la geografia delle opinioni in un determinato momento. Quale valore accordare a questa opinione male informata, intrisa di pregiudizi passionali, fluttuante, manipolata da ogni sorta di propaganda e nella cui formazione il danaro ha un ruolo così importante?  Non è la Francia che vive e che lavora. Non è la Francia reale.
D'altra parte, questa rappresentazione detta «nazionale», cumula le funzioni di rappresentanza e di potere, dal momento che nella attuale costituzione oltre a fare il governo si preoccupa anche di farlo cadere.
Ed in effetti, il parlamento rappresenta male  i Francesi. Esso è solamente un nido di intrighi, nel quale i partiti si affrontano per impadronirsi del potere.

Ora, se è vero che la Monarchia non consentirebbe il predominio dei partiti attraverso il Parlamento sarebbe peraltro in grado di garantire ad una autentica Rappresentanza delle forze vive del Paese reale di esercitare pienamente il proprio ruolo. Poiché questo è conforme alla sua tradizione.
L'antico sistema ha conosciuto gli Stati Generali e gli stati provinciali. Alla vigilia della rivoluzione Luigi XVI prese a creare assemblee provinciali in tutta la Francia. E' questa tradizione che è andata perduta, dal momento in cui si è attribuito a delle Assemblee nazionali un potere sovrano.
La Monarchia permetterebbe  la messa in pratica della distinzione tra potere a rappresentanza. Ed i rapporti fra l'autorità della Corona e gli organi rappresentativi non si fonderebbero sulla reciproca diffidenza,  come accade attualmente per i rapporti tra governo ed assemblea.
Perché in Monarchia i deputati, pur se i diversi punti di vista possono non collimare, non esaspererebbero le divergenze sino alla lotta senza quartiere perché la ragione della disputa noti sarebbe l'impadronimento del potere, come accade normalmente oggigiorno. In altri termini , non  si tratterebbe di un confronto competitivo ma semplicemente mente collaborativo.
Ed, in effetti, il potere reale ricercherebbe la collaborazione della Rappresentanza del Paese dal fine di non porsi contro la volontà della Nazione e per evitare esplosioni di rivolta.
Ne, d'altro canto, la Rappresentanza  - ossia gli Sfati Generali - avrebbero difficoltà a collaborare   in un fruttuoso rispetto dei ruoli e delle funzioni. Così si otterrebbe quella società più raccolta ad unita che evocava il 18 gennaio 1974 su « Le Monde. Questa maggiore coesione nazionale non sarebbe frutto della sottomissione totale e cieca ad un capo, ma sarebbe il risultato di una reale partecipazione di tutte le forze vive delle Nazione.
Una partecipazione che la repubblica, quale essa sia,  è incapace di assicurare.

Come voi vedete, dunque non si può considerare   la restaurazione della Monarchia un ritorno al passato.
Essa non significherebbe che il rinnovamento delle tradizioni politiche feconde che hanno fatto la grandezza del Paese.


Poiché la Monarchia rappresenterebbe, infine, un nuovo sistema. Un Sistema moderno. Come affermava all'inizio di questo secolo Filippo  VIII, Duca d'Orleans:   La Monarchia,  tradizionale per principio, sarà moderna nelle sue istituzioni.

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