NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 28 gennaio 2016

La Sinistra Sociale Monarchica II parte

di Pasquale Pennisi

Sostanza della crisi e sua origine

E' questo, nella politica italiana, un momento strano per i suoi aspetti contraddittori: apparentemente esso è completamente statico, ed il Gabinetto Scelba - Saragat sembrerebbe dover durare relativamente a lungo, laddove dura soltanto per forza di inerzia, cioè perchè nessun’altra soluzione è pronta per sostituirlo; si qualifica, d'altro canto, questo momento, come estremamente fluido, cioè aperto a tutte le possibilità di evoluzione e di mutamento, anche alle più impensate, e per questa sua fluidità depongono la mobilità dei risultati elettorali parziali, i movimenti sotterranei e le crisi nascoste all'interno di quasi tutti i partiti e particolarmente di quello di maggioranza relativa, la generica insoddisfazione dell'opinione pubblica. In realtà, siamo in una situazione di crisi grave, ed assai complessa, e la complessità sua - come le incertezze e le differenti apparenze delle quali ora si è detto - derivano dalla molteplicità degli interessi, dei sentimenti, delle insoddisfazioni e delle paure, dal loro intrecciarsi spesso confuso e irrazionale, dalla mancanza di coraggio - comune quasi a tutti, almeno al di qua della linea di demarcazione tra l'Estrema Sinistra e gli altri settori politici nel prendere la situazione, come suol dirsi « di petto ».

«Prendere di petto» la situazione, cioè riconoscere e denunciare la reale sostanza della crisi di oggi significa riconoscere e denunciare lo scandimento di attualità di tutti o quasi i miti ideologici così i quali dal 1948 in qua i partiti politici giustificano e mascherano se stessi, mascherando in pari tempo la situazione politica generale, e rendendola di più in più priva di giustificazione; significa riconoscere e denunciare come dichiara la nostra mozione - che il punto focale della situazione nazionale è attualmente costituito non da problemi politici, ma dal problema economico-sociale, la cui gravità si accresce progressivamente per l'accrescersi della distanza tra le poche grandi ricchezze e la miseria estesa ed una vastissima aliquota della Comunità nazionale. Cioè, a dirla spiccia: la crisi è dovuta al fatto che la situazione politica è precipitata in una situazione - già attuale; ma ancor più gravemente potenziale - di lotta di classe, e che, a trarnela, non bastano, ed anzi sono di ostacolo, gli scaduti miti ideologici con i quali i partiti si mascherano e mascherano, per loro interessi particolaristici, la realtà della situazione. Né il riconoscere ed il denunciare che oggi la situazione politica è precipitata in una situazione di lotta di classe significa essere classisti o accettare comunque una impostazione marxista del problema Significa soltanto riconoscere un dato di fatto, così come diagnosticare che un uomo è ammalato non significa accettare una impostazione teoretica secondo la quale gli uomini, o quell'uomo, debbano essere necessariamente malati. Ché anzi, avere la chiarezza ed il coraggio della diagnosi è la prima cosa da fare per avere poi le possibilità della cura e della guarigione. Perciò noi, antimarxisti per impegno morale e per convinzione dottrinale, non esitiamo a riconoscere che oggi la situazione politica italiana è di fatto una situazione di lotta di classe; perché bisogna muovere dal riconoscimento e dalla denuncia di questo precipitare della situazione per poternela trarre fuori.

Il vuoto della Monarchia

Che questo precipitare della situazione dovesse pressoché fatalmente avvenire noi monarchici - o, almeno una parte di noi - lo avevamo presentito e previsto sin dagli anni - ormai lontani, ed a torto dimenticati - della maggior vivacità della polemica istituzionale, prima della battaglia elettorale per il referendum.

Nè una simile, triste, previsione era difficile da      farsi poiché il togliere di mezzo dal giuoco delle forze politiche e dei contrastanti interessi la Monarchia    per     sostituirla con un Istituto del tutto dipendente dalle maggioranze parlamentari e quindi dal giuoco dei partiti e dai loro interessi, specialmente in un periodo di      gravissimo disagio economico e di impoverito vigore dello spirito nazionale per noi, e di giganteschi appetiti ed interessi internazionali (così politici come economici) altrui, non poteva condurre ad altro risultato.
La Repubblica in Italia, e nelle condizioni storiche interne ed internazionali nelle quali è sorta, non avrebbe potuto essere che o radicalmente   marxista , sino  a cadere preda della dittatura comunista del proletariato, oppure radicalmente reazionaria sino a cadere preda - sia pure con apparenti e dissolventi concessioni demagogiche nei campi che al nuovo padrone non avrebbero interessato - degli interessi capitalistici internazionali, sia pure mascherati da interessi democratici o liberali o nazionali.

Tolto l'ago trascendente della bilancia costituzionale e il depositario storico e morale della tradizione unitaria e nazionale - quale è la Monarchia - e tutto lasciato senza possibilità di superiori ed imparziali mediazioni alla lotta e agli interessi dei partiti - i quali sono, per loro natura, macchine dai costi di produzione altissimi - era fatale che su di essi si ponessero e dietro di essi si nascondessero, manovrandoli, i più cospicui e più oscuri interessi del capitalismo internazionale.

A questo siamo: da una parte le forze della rivoluzione marxistico - proletaria; dall'altra le forze della reazione capitalistica rappresentate dal Quadripartito, che proprio per questo è così facile da tener insieme e da ricomporre ad ogni minaccia di sfaldamento, malgrado il suo permanente atto di molteplice contraddittorietà ideologica e di avanzata consunzione politica. La forze capitalistiche solidamente agganciate alle pattuglie dirigenziali socialdemocratiche, liberali e storico - repubblicane, dominano ancora dall'esterno e dall'interno il complesso corpus democristiano malgrado l'acuta intelligenza di alcune delle sue punte e la crescente insofferenza di notevole parte della sua base. Questa, originata dall'improvvisa e antistorica instaurazione della Repubblica, la situazione politica italiana; questa la gravissima crisi che pervade la Comunità nazionale italiana.

In mezzo c'è il vuoto: il vuoto dello spazio morale dove prima era la Monarchia e, con la Monarchia, il sentimento comune e superiore della Patria e la coscienza operante della unità della Nazione: quel sentimento e quella coscienza che fanno eguali ed uniti i cittadini quali che siano le loro particolari e legittime posizioni ideologiche o di classe; quello che vieta alla Maggioranza di identificare se stessa ed il Governo con lo Stato e, peggio, con la Nazione, e che vieta all'Opposizione di identificare necessariamente se stessa con la sovversione. Né a riempire questo vuoto basta il sentimento dello Stato e la reintegrazione della sua autorità, che l’autorità dello Stato - quando non poggi su quella operante coscienza dell'unitarietà della Nazione di cui or ora si è detto - altro non è che strumento poliziesco e fiscale della prepotenza delle forze che hanno avuto in sorte, dal gioco elettorale, non la responsabilità (che esse, senza quella coscienza unitaria nazionale, non possono sentire) di esercitare la funzione di governo, ma il privilegio di detenerla.


A riempire questo vuoto della Patria, risuscitando in tutti - ma prima che in ogni altro in noi stessi il sentimento unitario della Nazione al di sopra di ogni discriminazione, siamo chiamati noi monarchici. Se non lo facessimo, vanamente eserciteremmo la nostra azione politica, e la pretesa di interpretare e di continuare la tradizione della Monarchia altro non sarebbe che velleitaria illusione, o, peggio, maschera anch'essa di speculazione politica non differente da quel che sono altre ideologie per altri partiti. Poiché questo non vogliamo noi della Sinistra Sociale del P.N.M. prendiamo queste posizioni.

mercoledì 27 gennaio 2016

Quelli che "il Re ha consegnato l'Italia al Fascismo"... La Monarchia e il Fascismo - Appendice 2

SEDUTA DEL 25 NOVEMBRE 1922

Pieni poteri. 


Votazione dell'o.d.g. Sanna - Randaccio


«La Camera, ritenendo che, nell'interesse supremo della Patria, sia necessario munire il Governo del Re di ampi poteri che gli consentano di risolvere liberamente, senza le difficoltà della procedura parlamentare, i più urgenti problemi della finanza e della pubblica amministrazione, passa alla discussione degli articoli ».

Hanno risposto sì:

Abisso, Acerbo, Albanese Giuseppe, Albanese Luigi, Aldi Mai, Aldisio, Altice Amatucci, Angelini, Anile.

Bacci, Banderali, Banelli, Baranzini, Bassino, Baviera, Belotti Bortolo, Benedetti, Beneduce Giuseppe, Benni, Berardellì, Bertone, Bevione, Bianchi Carlo, Bianchi Vincenzo, Biavaschi, Bilucaglia, Boggiano Pico, Bonardi, Boncompagni.Ludovisi, Bonomi Ivanoe, Bresciani, Brezzi, Broccardi, Brunelli, Brusasca, Bubbio, Buonocore, Buttafochi.

Caccianiga, Calò, Camera, Camerata, Camerini, Capanni,Capasso, Capobianco, Caporali, Cappa Paolo, Cappelleri, Caradonna, Carapelle, Carbonari, Carnazza Carlo, Carnazza Gabriello, Carusi, Casalicchio, Casaretto, Casertano, Catalani, Cavazzonì, Celesia, Celli, Cerabona, Cermenati, Chiostri, Ciano, Ciappi, Cicogna, Cingolani, Ciocchi, Ciriani, Cirincione, Cocuzza, Codacci.Pisanelli, Colosimo, Compagna, Corgini, Corradini, Cotugno, Crisafulli Mondio, Cristofori, Cuomo, Curti, Cutufelli.

D'Alessio, D'Ayala, De Bellis, De Capitani d'Arzago, De Caro, De Filippis Delfico, De Gasperi, D'Elia, Dello Sbarba, De Nava, De Stefaní, De Vecchi, De Vito, Di Fausto, Di Francia, Di Marzo, Di Salvo, Donegani, Drago, Ducos, Dudan.

Falcioni, Fantoni, Faranda, Farina, Faudella, Fazio, Fazzari, Federzoni, Fera, Ferrari Giovanni, Ferri Leopoldo, Finocchiaro-Aprile Andrea, Fino cchiaro-Aprile Emanuele, Finzi, Fontana, Franceschi, Frova, Fumarola, Furgiuele.

Gallo, Gasparotto, Gavazzini, Giolitti, Girardi i ni Giuseppe,

Giunta, Giuriati, Grassi, Graziano, Gronchi, Guàccero, Gua-
rienti, Guarino-Amella, Guglielmi.

Imperati, Improta.

Jacini.

Krekich.

La Loggia, Lancellotti, Lanfranconi, Lanza di Scalea, Lanza di Trabia, La Rosa Luigi, Larussa, Lissia, Locatelli, Lo Monte, Longinotti, Lo Piano, Lucangeli, Luciani, Luiggi, Lupi.

Macchi Luigi, Mancini Augusto, Marchi Giovanni, Marino, Marracino, Martini, Masciantonio, Mattei-Gentili, Mattoli, Maury, Miazzarella, Mazzucco, Mendaja-Merlin, Miceli-Picardi, Micheli, Milani Fulvio, Miliani G. Battista, Mininni, Misuri, Montini, Morisani, Murgia, Mussolini.

Nasi, Netti Aldo, Novasio.

Olivetti, Ollandini, Orano, Orlando, Ostinelli, Oviglio.

Padulli, Paleari, Pallastrelli, Palma, Pancano, Paolucci, Paratore, Pascale, Pasqualino Vassallo, Pecoraro, Pellegrino, Pellizzari, Perrone, Persico, Pesante, Pezzullo, Philipson, Pietravalle, Piscitelli, Pivano, Pogatischnig, Poggi, Porzio, Pucci.

Quilico.

Raineri, Reale, Renda, Riccio, Roberti, Rocco Marco, Rodinò, Romani, Rosa Italo, Rosadi, Rossi Luigi, Rubilli, Ruschi.

Sacchi, Saitta, Salandra, Sandroni, Sanna-Randaccio, Sardi, Sarrocchi, Sensi, Serra, Siciliani, Signorini, Sitta, Soleri, Sorge, Spada, Speranza, Squitti, Stancanelli, Stefini, Suvich.

Tamanini, Tamborino, Tangorra, Termini, Tinozzi, Tòfani, Tommasi, Torre Andrea, Torre Edoardo, Toscano, Tosti, Tròilo, Tumiati, Tupini.

Ungaro,

Vairo, Vallone, Vassallo Ernesto, Veneziale, Venino, Visco, Vittoria.

Zaccone, Zegretti.

Rispondono no:

Abbo, Amedeo, Argentieri, Assennato.

Baglioni, Baratono, Belloni Ambrogio, Bellotti Pietro, Beltrami, Bentini, Binotti, Bisogni, Bocconi, Bosi, Buffoni, Buozzi, Bussi.

Caldara, Campanini, Canepa, Canevari, Cao, Cavina, Caz. zamalli, Chiesa, Conti, Corsi.

D'Aragona, De Andreis, De Angelis, De Giovanni Alessandro, Del Bello, Donati. Dugoni.

Ellero, Ercolani.

Filippinì, Fior, Florian, Frontini.

Galeno, Gallanì, Garosi, Giacometti, Gonzales.

Lazzari, Lollini, Lucci.

Macrelli, Maitilasso, Majolo, Marchioro, Mastino, Mastraechi, Matteotti, Mazzolani, Merizzi, Merloni, Mingrino, Modigliani, Monici, Montemartini, Morgari, Mucci, Musatti.

Nobili.

Pagella, Panebianco, Paolino, Piemonte, Presutti.

Ramella, Riboldi, Ròndani, Rossi Francesco.

Salvalai, Sardelli, Sbaraglini, Smorti.

Tonello, Treves, Trozzi, Turati.

Vacirca, Vella, Ventavoli, Volpi.

Zanardi, Zanzi, Zirardini Gaetano.

Sono in congedo-

Alessio, Càsoli, Corneli, Di Giovanni Edoardo, Di Pietra, Giavazzi, Imberti, Lombardi. Nicola, Mauri Angelo, Meda, Rossi Cesare, Terzaghi, Valentini Ettore, Villabruna.

Sono ammalati:

Agnesi, Arcangeli, Carboni Vincenzo, Corco-Ortu, Farioli, Lofaro, Mauro Clemente, Mauro Francesco.

Assenti per ufficio pubblico:

Cappa Innocenzo, Ferrari Adolfo, Grandi Achille, Marescalchi, Piva.


Risultato della votazione sui pieni poteri: 

Presenti e votanti: 365; maggioranza: 183; hanno votato sì: 275; hanno votato no: 90.


lunedì 25 gennaio 2016

SONDAGGIO SCOMODO PER RENZI OSCURATO DALLA R.A.I.

Il no alla riforma costituzionale è in vantaggio. La tv di Stato lo sa, ma non lo dice

Augusto Minzolini
Domenica 24 gennaio 2016

Stranezze del Belpaese. In queste settimane c'è stato un fiorire di sondaggi, su tutto e su chiunque. Governo, partiti, banche, ma sullo scontro che sarà la madre di tutte le battaglie nell'immaginario renziano, cioè il referendum sulle riforme costituzionali, nessuno.
O meglio, ce ne sono, ma non sono venuti alla ribalta. Ulteriore segno della cappa mediatica che regna in Italia. Uno di questi sondaggi lo aveva una trasmissione della tv pubblica, ma è rimasto nella scaletta, dimenticato nell'almanacco delle cose che si potevano dire e che non sono state dette. Eppure quei dati sono curiosi e ancora di più il trend che rivelano, specie se messi a confronto con i toni trionfalistici del premier.
Ebbene, dallo studio in questione emerge che nel novembre scorso il 40% degli italiani non sapeva nulla della riforma del Senato, mentre tra quelli che ne erano al corrente il 31% avrebbe votato sì, il 21% avrebbe votato no, mentre l'8% non era intenzionato in ogni caso ad andare a votare.
A gennaio, in base ad un campione raccolto la scorsa settimana, la situazione è cambiata. Di molto. Addirittura si è capovolta. Il numero degli elettori completamente all' oscuro del tema è sceso al 30%, gli irremovibili del «non voto» sono rimasti quelli che erano e, con grande scorno del premier, i no si sono ritrovati ad avere 10 punti di vantaggio rispetto ai sì.
Insomma, il trend è per ora completamente sfavorevole alle mire renziane.
Certo manca ancora molto tempo, anche se il premier ha tentato di anticipare il referendum da ottobre a giugno per farlo coincidere con le amministrative. «Ci ha provato e ci riproverà - conferma il capogruppo di Sel al Senato, Loredana De Pretis, che ha buoni contatti in Cassazione -: dipende tutto da Mattarella».
Ma, al di là della data di svolgimento della consultazione, sicuramente Renzi scommette molto sulle elargizioni di primavera per risalire nelle simpatie degli italiani (il suo gradimento ora è al 29%) e per vincere il duello referendario: per essere più chiari, confida molto nell' entrata in vigore della card da 500 euro per la cultura dei diciottenni e nell'abolizione della prima rata dell'Imu a giugno. Anche tenendo conto di questi atout, però, la scelta del premier di giocare l'intera posta sulla vittoria nel referendum appare, più che una mossa azzardata, quasi un peccato di arroganza.
Simile a quello che commise Massimo D'Alema nella primavera del 2000, quando puntò tutto sulla vittoria nelle elezioni regionali, che si conclusero invece con una caporetto per il centrosinistra e con la sua cacciata da Palazzo Chigi: i due si odiano, ma in fondo si somigliano.
Già, Renzi rischia davvero di perdere i referendum, di rimediare una sonora batosta.
Come gli capita spesso, infatti, dà per scontati elementi tutti da verificare.
Ad esempio, la campagna che gli è più congeniale, quella basata sullo schema «il nuovo contro il vecchio» poteva convincere se il protagonista fosse stato il Renzi neo-inquilino di Palazzo Chigi, ma è trita e ritrita in bocca al Renzi di oggi, quello che per fare passare la riforma del Senato utilizza le poltrone delle commissioni parlamentari o mercanteggia sul rimpasto di governo.
Neppure i democristiani di un tempo - va detto - avrebbero usato questi metodi, che pure gli erano congeniali, per cambiare la Costituzione. E anche lo slogan «manderemo a casa i senatori» rischia di non solleticare più molto le pance del populismo nostrano, colpa delle delusioni patite dall' opinione pubblica per riforme gridate ai quattro venti che hanno partorito solo topolini.
I nove milioni di spettatori dell'ultimo film di Checco Zalone, ad esempio, hanno scoperto, grazie alle vicissitudini del protagonista, che le tanto vituperate Province non sono state abolite, ma hanno solo cambiato nome. Più o meno quello che succederà con il Senato.
Pur potendo mettere in campo un efficace bombardamento mediatico, Renzi ha di fronte, quindi, problemi ben più grandi di quelli che pensa di avere: e, soprattutto, per la prima volta dovrà fare i conti con il suo logoramento nel rapporto con il Paese. Un logoramento che, invece, è ben chiaro nella mente dei tanti avversari che lo assediano.
E qui emerge un altro «handicap» del premier. Certo il fronte del no è diviso in molti comitati elettorali, mette insieme il diavolo e l'acqua santa, anti-berlusconiani da sempre come Zagrebelsky & company e lo stesso Cavaliere, estrema sinistra e leghisti, cattolici conservatori e laici estremisti, ma l' obiettivo che unisce le varie anime dello schieramento è chiaro ed estremamente semplice: mandare a casa Renzi.
Di fatto lo ha fornito lo stesso premier, impostando il referendum come un plebiscito sul suo nome.
Il sì, invece, avrà un solo comitato nel quale, però, albergheranno mille giochi. Chi chiede a Pier Luigi Bersani, per fare un nome, se spera nella vittoria dei sì, può ricevere una risposta che può sorprendere solo qualche sprovveduto: «Ma chi l'ha detto che sono da quella parte della barricata?». Parole provocatorie che si ritrovano anche sulla bocca di personaggi come Gotor e di altri esponenti della minoranza del Pd.
E, a ben guardare, pure i potenziali grandi alleati del premier, hanno atteggiamenti enigmatici. «Durante l'intervento di Renzi in Senato sulle riforme - racconta il senatore di Ncd, Luigi Compagna - Napolitano è stato tutto il tempo a bofonchiare per esprimere il proprio disappunto anche se il premier lo copriva di lodi. Ad un certo punto gli ho detto: Presidente, ma lo hai voluto tu!. E lui mi ha risposto: Caro Luigino vedo che non sei informato bene...».
Il continuo movimentismo di Renzi aggiunge, infatti, alla guerriglia degli avversari interni anche la diffidenza di quelli che sulla carta dovrebbero essere degli alleati. La polemica contro la Ue, l'attacco alla politica dell' austerity, che il premier ha agitato per uscire dal cul de sac dello scandalo di Banca Etruria, sono stati interpretati da Napolitano - inventore del governo Monti, assertore del dogma «prima di tutto la Ue» - come un mezzo tradimento. Le «nuove tesi» del premier sull' Europa, infatti, finiscono fatalmente per metterlo sul banco degli imputati della Storia.
Così, l'elenco degli avversari più o meno dichiarati di Renzi continua ad allungarsi.

Per molti di loro la sconfitta del premier nel referendum può rivelarsi come lo strumento più efficace e più pulito per liberarsene senza sporcarsi le mani. Diranno: è stato il Paese a decidere. E nel Paese i numi tutelari di Renzi nelle aule di questo scassato Parlamento, cioè i vari Alfano e Verdini, contano davvero poco.

domenica 24 gennaio 2016

Nuovo aggiornamento del sito dedicato a Re Umberto II

Il Principe Umberto tra le truppe del I Raggruppamento Motorizzato
del ricostituito  Regio Esercitoa Castelnuovo al Volturno 
La XV parte dell'intervista di Nino Bolla al Re in esilio. 
L'accoglienza fatta al Re nelle città liberate e la lotta con il governo di De Gasperi nella parole del Sovrano a Cascais.

www.umberto.it

sabato 23 gennaio 2016

Il Partito Democratico Italiano, di Enzo Selvaggi - prima parte

Un fortunato ritrovamento su ebay ci consente di restituire al nostro mondo e al mondo un pezzo della nostra storia. 
Enzo Selvaggi è una figura quasi mitologica per i monarchici, ma in realtà su di lui si trova ben poco. Anche trovare una sua immagine non è stato facile. 
Enzo Selvaggi è il monarchico fedelissimo che fondò il Partito Democratico Italiano, dichiaratamente monarchico, che fondò il quotidiano monarchico Italia Nuova, unico di una certa importanza a sostenere le ragioni della Monarchia e del Re durante la battaglia referendaria, che presentò il famosissimo ricorso alla Suprema Corte di Cassazione confutando i risultati del referendum istituzionale del 1946. 
Riproponiamo un pezzo di storia per noi importante, per saper difendere meglio le nostre le nostre ragioni.


ENZO SELVAGGI

DISCORSO PRONUNCIATO IN ROMA IL 3 DICEMBRE 1944 NEL TEATRO QUIRINO


L'ITALIA CHE COMBATTE E CHE SOFFRE

Una premessa. Esporrò prima i principi generali ai quali si ispira il Partito Democratico Italiano e su cui proponiamo la più ampia discussione da parte di amici e di avversari. Parlerò poi di ciò che ci divide dagli altri e dei problemi contingenti.

Lotta politica significa inevitabilmente antitesi e opposizioni. Ma la lotta nella quale noi abbiamo preso il nostro posto non ci spaventa, poiché essa è il necessario, faticoso travaglio della libertà.

Solo in un caso questa lotta potrebbe spaventarci e allarmarci: se al di sotto di essa non avvertissimo, pur talvolta apparentemente dimenticato, ma non certo da noi, l'esistenza di un piano comune che in qualche modo orienta ed unifica le nostre lotte e le nostre antitesi. Questo piano è l'Italia, l'Italia che combatte. E se è vero che tutte le possibilità di riscatto e di rinnovamento sono affidate esclusivamente all'energia con la quale l'Italia saprà sostenere tutti i termini di questa lotta, bisogna concludere che l'Italia più vera e migliore è appunto l'Italia che combatte.
Noi quindi pensiamo con gratitudine a tutti coloro che in diverse forme e condizioni combattono per la libertà italiana: alle ricostituite Divisioni dell'Esercito, all'Aeronautica, alla Marina, ai Patrioti.


Marinai e Patrioti

Non v'è certo graduazione nel significato morale del loro sacrificio. Ma se guardiamo al rilievo politico, obiettivo, che, ogni azione acquista, non siamo ingiusti pensando con particolare ammirazione ed orgoglio a due categorie di combattenti: i marinai ed i patrioti.

I marinai hanno avuto il privilegio in un certo momento di rappresentare quasi soli l'Italia e di costituire l'unico peso da gettare sulla bilancia della sorte e del futuro. Nel tragico settembre, del '43, nella dissoluzione di ogni forza, l'Italia ha continuato ad esistere di fronte al mondo, come realtà politica, solo grazie ai suoi marinai.

Se la Marina è l'unico organismo tradizionale che ha retto alla crisi, i patrioti rappresentano il fatto nuovo, importantissimo, di questa nostra guerra. La loro guerra è umanamente la più dura e la più desolata delle guerre. Essi sanno che l'alternativa unica della loro vittoria e il sacrificio supremo. Oltre gli effetti militari e politici della loro lotta, essi provano l'esistenza nella nostra compagine nazionale di centri vivi ed attivi, di forze moralmente e civilmente sane. Forze nella loro maggioranza non politicamente definite e qualificate ma spontanee, suscitate dall'urto della crisi e mosse da un senso elementare di dignità e coscienza  civile. Ora, se democrazia implica appunto coscienza civile, spontaneità, iniziativa popolare, l'azione dei patrioti costituisce una premessa ed una fondata speranza per la nuova democrazia italiana. Prendano atto non solo gli italiani, ma soprattutto gli stranieri, di questa verità. Un popolo che si batte è pienamente degno della sua libertà: poiché esso è già libero.

Ma insieme all'Italia che :combatte noi dobbiamo rivolgere il nostro pensiero con dolorosa solidarietà anche all'Italia che soffre. E innanzi tutto agli italiani premuti ancora dalla dominazione nazi-fascista, i loro dolori e le loro sofferenze sono infiniti, ma noi sappiamo che essi non cedono. Il loro sacrificio rimane come segno e titolo di questa nuova Italia che sta sanguinosamente sorgendo.

I prigionieri di guerra

Vada poi il nostro pensiero ai fratelli lontani: ai prigionieri di guerra. Lontani dalla Patria, lontani dal presente travaglio politico, in essi la, sofferenza della nostalgia si raddoppia nel dubbio, nell'incertezza, nello scoramento, anche talvolta nell'errore. Noi comprendiamo la loro angoscia ed essi avranno bisogno di noi, della nostra comprensione. Ma anche noi avremo bisogno di associare queste forze, che sono fra le più giovani e le migliori, al comune lavoro di ricostruzione. E' dunque necessario domandarsi con inquietudine se si è fatto tutto il possibile per alleviare la loro sorte. Non comprendiamo infatti come sia possibile, dopo quindici mesi di cobelligeranza, dopo l'allineamento morale e politico della Nazione italiana la fianco degli Alleati, mantenere dei soldati italiani nello stato giuridico di prigionieri di guerra dei nostri stessi alleati di fatto.

La massa

Infine il nostro pensiero deve rivolgersi a tutta la grande massa del popolo, colpito da lutti, distruzioni sofferenze, senza fine, la cui vastità e profondità ha superato ogni immaginazione. Pensiamo agli strati più umili, ai componenti più ingenui e più ignari di Questo popolo, agli uomini smarriti e senza lavoro, alle donne sole che si aggrappano disperatamente al focolare aspettando i loro cari o nel ricordo di coloro che più non torneranno, ai giovani ed ai fanciulli sui quali ricade il maggior peso della sofferenza collettiva. Pensiamo all'uomo della strada, attonito di fronte al presente disorientato le sfiduciato di fronte al futuro. In tale situazione lo squilibrio morale si aggiunge allo squilibrio sociale ed economico e i problemi del Popolo, si riducono ai problemi del sopravvivere, come si dice, o del vivere materiale giorno per giorno.


Verso questo popolo noi sentiamo: il più profondo e commosso interesse, ma sentiamo anche pesante e tremenda la responsabilità politica che, noi, per il fatto stesso di occuparci di politica ci siamo assunti proprio di fronte ad esso. Abbiamo quindi voluto ricordare con particolare accento questa realtà dell'Italia che combatte e dell'Italia che soffre perché la coscienza e l'interesse per tale realtà costituiscono per noi, per il nostro movimento, uno dei punti essenziali e caratteristici, che ci hanno portato a trarre certe conseguenze e a fissare certe posizioni.

mercoledì 20 gennaio 2016

La Sinistra Sociale Monarchica

di Pasquale Pennisi

I parte

E' la prima volta, io credo, in otto anni, che si manifesta in seno al PNM una corrente che non nasca soltanto in base a simpatie personali o per occasioni contingenti, e la quale, se inizia a manifestarsi in occasione di un Congresso, nasce da sentimenti e da convinzioni che precedono di assai la propria manifestazione, ed intende durare nell'azione ben oltre l'occasione congressuale. Cioè: non combinazione polemica o, al contrario, di comodo, noi siamo, in seno al Congresso, Nazionale; ma uomini che ci siamo ritrovati, insieme, perchè insieme convinti di una posizione politica che insieme crediamo corrisponda all'interesse della Nazione, e quindi all'interesse del Partito ed al suo dovere verso la Nazione ad un tempo. Perciò su questa posizione impegniamo oggi il Congresso, e naturalmente seguiteremo da domani ad impegnare il Partito nei termini e nei modi che dall'esito congressuale ci saranno democraticamente indicati. Perciò la mozione che presentiamo al Congresso non vuole essere episodio isolato, ma è il primo episodio di una posizione che vuol essere, e che sarà, conseguente, e di questa rappresenta il contenuto più urgente, cioè l'accentuazione di quei problemi che guardando da questa posizione alla vita della Nazione e all'azione del Partito - si rivelano come i più importanti ed urgenti. Ma questa nostra posizione non si esaurisce nella mozione, anzi le presuppone un generale esame di coscienza intorno al compito dei monarchici italiani nell'attuale ora di crisi politica nazionale, e da questo esame di coscienza trae un giudizio politico di carattere generale, del quale - si diceva - la mozione, con i problemi che essa pone e con le soluzioni che indica, è soltanto la manifestazione più urgente.

Per questi motivi ci sembra atto essenziale di lealtà e di democrazia presentare la mozione con una relazione la quale dica più ampiamente ciò che «Sinistra Sociale» genericamente è e vuole essere, e renda esplicito, proponendolo a tutti gli amici congressisti - ed anzi in loro e attraverso loro, a tutti i monarchici italiani - questo esame di coscienza.

La Monarchia Sabauda da fatto dinastico regionale a fatto unitario nazionale

Esso parte - per noi che vogliamo essere non soltanto i custodi di una Tradizione, ma i suoi interpreti e continuatori nelle circostanze dell'epoca che è nostra - da una domanda: quando e come (sopratutto come) la Monarchia di Casa Savoia si trasformò da fatto dinastico regionale in fatto unitario nazionale? Tutto il senso del Risorgimento, o almeno gran parte di esso, è per noi monarchici in questa domanda ed il rispondere a questa non soltanto può chiarirci quel senso, ma può indicarci la via per quella interpretazione ne che oggi ci occorre per continuarla.

La trasformazione di Casa Savoia di fatto dinastico regionale in fatto unitario nazionale non avvenne nel 1848 con la elargizione dello Statuto da parte di Re Carlo Alberto; con questo atto senza sminuirne con questa constatazione la grandezza - siamo ancora nel dinastico e nel regionale, come vi siamo con gli analoghi atti del Papa - Re a Roma, del Re Ferdinando a Napoli, del Granduca Leopoldo in Toscana. Che questi, poi, abbiano ceduto alla pressione delle forze anticostituzionali ed il Re di Sardegna no, anche perché in Piemonte assai meno vive erano le forze opposte al moto costituzionalista e più vive le favorevoli, non è discriminazione sufficiente per discriminare questi atti sovrani - tutti - dal piano della convenienza dinastica ad adattarsi ai tempi nell'ambito degli Stati regionali. Anche la prima guerra dell'indipendenza è su questo piano, almeno in principio: sono le truppe del Papa-Re, del Re di Napoli, del Granduca di Toscana che si affiancano a quelle del Re di Sardegna in Lombardia.

La trasformazione del piano storico - la rivoluzione storica di Casa Savoia - avviene in seguito con Novara e subito dopo Novara. E' il giovane Re - poi, e giustamente, chiamato Padre della Patria che volge l'azione della Monarchia, dei Savoia da fatto dinastico regionale in fatto unitario nazionale, con il rifiutare l'abrogazione della Costituzione malgrado l'intimazione di Vignale, e con tutta la politica del decennio di preparazione 1849-1859. Quella trasformazione avvenne con questa politica: che, nel Rappresentante della Dinastia che solo trent'anni prima era ritornato sul Trono con il «Palma Verde» - come se il 1789 e Napoleone non fossero mai stati - fu la politica con gli esuli, da Manin a Crispi, la politica con Garibaldi, e sarebbe stata la politica con Mazzini, se questi, oltre o più che filosofo, fosse stato uomo politico. La stessa scelta del Cavour - del giovane nobile che aveva lasciato il servizio di paggio di Corte per fare il giornalista, e aveva studiato quella che oggi si direbbe una riforma agraria - entra in questa politica e la caratterizza. E', insomma, la politica con i progressisti dell'epoca e con i rivoluzionari, purché gli uni e gli altri la facessero sul piano della Nazione che è la politica dell'unità nazionale concepita in sento sociale insieme, e prima, che, in senso territoriale, ed è perciò che il fatto territoriale si trasforma da conquiste dei Piemontesi in unificazione dell'Italia e degli Italiani. Quella politica è - questo è essenziale - il rifiuto da parte del Re di far politica con le
«Classi alte» del tempo, o  di fare la loro politica; è la scelta di fare la   politica dei rivoluzionari e  con i rivoluzionari pur sapendo quanto questi fossero psicologicamente invisi alle «classi alte» e da queste socialmente scomunicati, e pur sapendo i rischi gravi che questa scelta comportava e le amarezze non meno grandi che dovevano venirgliene. E' questa politica di Vittorio Emanuele II che, nel decennio dal 1849 al 1859, fa la rivoluzione italiana, costruisce il fondamento di tutto ciò che di felice avvenne dopo: è essa che trasforma la Monarchia dei Savoia da fatto dinastico regionale a fatto unitario nazionale.

Con l'intelligenza politica e con lo spirito nazionale che lo distinguevano, lo ricordò e la riprese il grande Nipote del Padre della Patria mezzo secolo dopo, allorché, all'indomani del regicidio, di Monza, immediatamente sostituì la classe politica dei Pelloux con quella degli Zanardelli e dei Giolitti. Anche per il piccolo grande Re a questa politica seguì un approfondimento ed un progresso dell'unità nazionale, che si manifestò nella guerra del 1915-18 che vide nelle trincee, volontari, i Corridoni, i Mussolini, i De Felice, e tra i ministri un Bissolati. Cioè: i socialisti. Ancora una volta i reprobi delle «classi alte», dei «benpensanti», i loro scomunicati dal punto di vista sociale.


Per chi voglia non soltanto custodire una Tradizione - come se fosse una vecchia pergamena da riporre in una bacheca di cristallo - ma interpretarla e continuarla, come realtà viva e vivificante, questa grande esperienza dei Re che, in un secolo, si ripete due volte nella vita della Nazione deve pur avere un significato e racchiudere un monito ed un insegnamento. Ma, prima di trarne le conclusioni, si hanno da guardare le condizioni odierne del Paese, si ha da guardare la sua gravissima crisi politica in atto.

sabato 16 gennaio 2016

Quelli che "il Re ha consegnato l'Italia al Fascismo"... La Monarchia e il Fascismo - Appendice 1

Elenco dei Deputati che nella seduta del 17 novembre 1922 votarono sulla fiducia al Governo di Mussolini. 




SEDUTA DEL 17 NOVEMBRE 1922

Ordine del giorno Terzaghi

"La Camera, fiduciosa nelle sorti della Patria udite le dichiarazioni del Governo le approva, e passa all'ordine del giorno".

Il Governo ha posto la questione di fiducia.

Rispondono sì:

Abisso (d.s.), Acerbo (f.), Agnesi (p.p.), Albanese Giuseppe (d.s.), Albanese Luigi (L), Aldi-Mai (a. poi l.d.), Alice (d. poi l.d.), Amatucci (d.s. poi d.it.), Angelini (p.p.), Anile (p.p.), Arcangeli (d.s.), Arpinati (i.).

Baldassarre (m.), Banderali (p.p.), Banelli (f.), Baracco (p.p.), Bartolomei (d.s.), Bassino (d.l. poi d.it.), Baviera (m. poi d.it.), Belotti Bortolo (l.d. poi d.l.), Benedetti Tullio (d.l. poi d.), Beneduce Alberto (s.r.), Beneduce Giuseppe (d.s. poi d.), Benni (l.d.), Berardelli (s,r.), Bertone (p.p.), Bevione Giuseppe (d.l.), Bianchi Carlo (d.l. poi d.it.), Bianchi Vincenzo (d.s. poi d.), Biavaschi (p.p.), Bilucaglia (f.), Boggiano Pico (p.p.), Bonardi Carlo (d.s.) Boncompagnil Ludovisi (p.p. poi m.), Bonomi Ivanoe (s.r.), Bosco-Lucarelli (p.p.), Bresciani Carlo (p.p.), Brezzi Broccardi (d.l.) Brunelli (p.p.), Buo. nocore (d.l. poi d.it.), Buttafuochi (t.).


Caccianiga (l.d. poi d.l.), Calò (d.s. poi di.), Camera (s.r.), Camerata (a.), Camerini (di. poi I.d.), Capanni (f.), Capasso (s.r.), Capobianco (s.r.), Caporali (d.s. poi d.it.), Cappa Innocenzo (m.), Cappelleri (p.p.), Carapelle (p.p.), Carbonari (p.p.), Carboni Vincenzo (di. poi d.), Carnazza Carlo (d.s.), Carnazza Gabriello (d.s.), Carusi (m.), Casalicchio (a.), Casaretto (l.d.), Casertano (d.s.), Càsoli (p.p.), Catalani (a.), Cavazzoni (p.p.), Celesia (f. poi I.d.), Celli (s.r.), Cerabona (s.r.), Cermenati (d.s. poi d.), Chiggiato (a.), Chiostri (f.), Ciano (f.), Ciappi (d.l. poi d.it.), Cicogna (p.p.), Cingolani Mario (p.p.), Ciocchi (d.l.), Ciriani (s.r.), Cirincione (a.), Cocuzza (s.r.), Codacci-Pisanelli (l.d.), Colonna di Cesarò (d.s.), Colosimo (d.l. poi d.), Compagna (a. poi I.d.), Corazzin (p.p.), Corgini (f.), Coris (p.p.), Corradini Camillo (d.l. poi d.), Crisafulli Mondio (a.), Cucca (d.s. poi d.), Cuomo (d.l. poi d.it.).

D'Alessio (d.s.) D'Ayala (n.), De Bellis (d.l. poi d.), De Capitani d'Arzago (l.d.), De Caro (d.s. poi d.it.), De Filippis Delfico (d.l. poi d.), De Gasperi (p.p.), D'Elia (s.r.), Dello Sbarba (s.r.), De Nava (d.l.), De Stefani (f.), De Vecchi (f.), Di Fausto (p.p.), Di Francia (a.), Di Giovanni Edoardo (s.r.), Di Marzo (d.l. poi d.it.), Di Pietra (d.s. poi d.it.), Di Salvo (l.d.), Donegani Guido (di.), Drago (s.r.), Ducos (di. poi I.d.), Dudan (L).

Falcioni (d.l. poi d.it.), Fantoni (p.p.), Farina (p.p.), Farioli (p.p.), Faudella (s.r.), Fazio (d.l. poi d.), Ferrarese (p.p.), Ferrari Giovanni (a.), Fazzari (d.l. poi d.), Federzoni (n.), Fera (d.s.), Ferri Leopoldo (p.p.), Fino (p.p.), Finocchiaro-Aprile Andrea ( ' d.l. poi d.it.), Finocchiaro-Aprile Emanuele (d.s.), Fìnzi (f.l. Fontana (a. poi I.d.), Franceschi (Ld.), Frova (p.p.), Fulci (d.s.), Fumarola (d.s.), Furgiuele (d.l. poi d.).

Gai Silvio (0, Galla (p.p.), Gasparotto (d.s.), Gavazzeni (p.p.), Giavazzi (p.p.), Giolitti (d.l. poi d.), Girardini (d.s.), Giuffrida (d.s. poi s.r.), Giunta (f.), Giuriati (f.), Grassi di.), Gray Ezio (n.), Graziano (d.l. poi d.it.), Greco (n.), Gronchi (p.p.), Guaccero (a.), Guarienti (p.p,), Guarino Amella (d.s.), Guglielmi (a. poi m.).

Imberti (p.p.), Imperati (m.), Improta (d.l. poi d.).

Jacìni (p.p.).

La Loggia (s.r.), Lancellotti (f.), Lanfranconi (f.), Lanza di Scalea (a.), Lanza di Trabia (l.d.) La Rosa Luigi (p.p.), Larussa (di.), Lissia (d.s. poi M.), Locatelli (p.p.), Lombardi Nicola (s.r.), Lo Monte ( ' a. poi I.d.), Longinotti (p.p.), Lo Piano (s.r.), Lucangeli (p.p.), Luiggi (n.).

Mancini Augusto (d.s.), Manenti (p.p.), Mantovani (a.), Marchi Giovanni (l.d.), Marconcini (p.p.), Marescalchi (a. poi

I.d.), Mariotti (a. poi I.d.), Martini (p.p.), Masciantonio (di. poi d.), Mattei-Gentili (p.p.), Mattoli (d.l. poi d.), Mauro Francesco (p.p.), Maury (a. poi I.d.), Mazzar ella d.s. poi d.it.), Mazzini (l.d.), Mazzucco (f.), Meda (p.p.), Mendaja (di. poi d.it.), Merlin (p.p.), Miceli-Picardi (p.p.), Micheli (p.p.), Milani Fulvio (p.p.), Miliani G.B. (di.), Mininni (d.l. poi d.it.), Misuri (f.), Morisani (d.l. poi d.), Murgia (di. poi d.), Mus solini (f.).

Nasi (d.s.), Negretti Netti Aldo (d.c,.), Novasio (p.p.).

Olivetti (d.l.), Ollandini (d.s.), Orano (m.), Orlando (d.l. poi d.), Ostinelli (f.), Oviglio (f.).

Padulli (p.p.), Paleari (p.p.), Pallastrelli (d.l. poi d.), Palma (d.l. poi d.it.), Pancano (d o.), Paolucci (n.), Paratore (d.l. poi d.it.), Pascale (d.s. poi d.it.), Pasqualino Vassallo (d.s.), Pecoraro (p.p.), Pellegrino (d.l. poi d.), Persico (d.s.), Pestalozza (p.p. poi m.), Petrillo (l.d.), Peverini (p.p.), Pezzullo (d.l. poi dit.), Philipson (d.l. poi I.d.), Piatti (di. poi f.), Pietravalle (d.s.), Piscitelli (p.p.), Piva (p.p.), Pivano (di. poi d.), Pogatschnig (l.d.), Poggi (d.l. poi d.), Porzio (di.. poi d.), Presutti (d.s. poi d.it.), Pucci (a.).

Quilico (a. poi dl.).

Raineri (di.), Renda (d.l. poi d.), Riccio (l.d.), Roberti (p.p.), Rocco Alfredo (n.), Rocco Marco (p.p.), Romani (p.p.), Rosa Italo (p.p.), Rosadi (di. poi d.), Rossi Cesare (di. poi d.), Rossi Luigi (di. poi d.), Rossini (d.s. poi d.I.), Rubilli (d.s. poi d.), Ruschi (a. poi I.d.).

Sacchi (d.s.), Saitta (s.r.), Salandra (l.d.), Sandroni (m.), Sanna-Randaccio (d.s.), Sardi (f.), Sarrocchi (l.d.), Scialabba (d.s.), Selmi (p.p.), Serra (d.s.), Signorini (p.p.), Sipari (d.s. poi d.), Sitta (di. poi d.), Soleri (d.l. poi d.), Sorge (ds.), Spada (a. poi d.it.), Speranza (p.p.), Squitti (di. poi d.it.), Stancanelli (d.s.), Stefini (p.p.), Stella (p.p.), Suvich (n.).

Tamanini (p.p.), Tamborino (d.l. poi d.), Tangorra (p.p.), Termini Terzaghi (f.), Tinozzi (d.I. poi d.ìt.), Tofani (d.s. poi d.l.), Tommasi (p.p. poi m.) Torre Andrea (d.l.), Tortorici (s.r.), Toscano (s.r.) Tosti di Valminuta l.d.), Tovini (p.p. poi m.), Tripepi Troilo (d.l. poi d.), Tumiati (d.s.), Tupini (p.p.).

Ungaro (d.s. poi d.l.).

Vairo (d.s. poi d.it.), Valentini Luciano (a. poi I.d.), VallIone (m.), Vassallo Ernesto Veneziale (d.s. poi d.it.), Venino (a. poi I.d.), Vicini (f.), Villabruna (d.l. poi d.), Visco (d.l. poi d.it.), Visocchi (d.l. poi d.it.), Vittoria (d.s.), Volppini (a.).

Zaccone (p.p.), Zegretti (d.l. poi d.).


s = socialista; s.u. = socialista unitario; r = repubblicano; p.p. = partito popolare s.r. socialista riformista; d = democrazia; a = agrario; I.d. liberale democratico c = comunista; n.= nazionalista; d.l. democrazia liberale; d.i. = democratico italiano; m. = gruppo misto; d.s. = democrazia so. ciale; s. d'a. = sardo d'azione.

venerdì 15 gennaio 2016

Felipe, il Re illuminato che riconquista la Spagna

Ha rifiutato l'incontro con il presidente catalano e ha tolto il titolo alla sorella

Pochi avrebbero scommesso su di lui. All'inizio neppure la moglie prima di sposarlo. «Felipito», lo chiamava.
Ma erano altri tempi, quando Letizia era ancora una single giornalista tv repubblicana, e lui, un giovane principe cresciuto iperprotetto in una famiglia al femminile, con un padre ingombrante col vezzo di governare come un vecchio Sultano. Oggi è tutto un altro mondo. A partire dalla Spagna, e quel ragazzo alto e impacciato ha lasciato il posto al re illuminato e capace. Moderno e preparato. Dal 2014, da quando ha preso il posto del padre, Felipe VI non ha sbagliato una mossa, evitando trappole e aggirando ostacoli, con stile- certo- ma lasciando intravedere quella sua determinazione e forza che era sfuggita quando era solo un principino. Salito al trono ha preso le distanze dall'infanta Cristina, la sorella invischiata nel brutto fatto Noos, accusata di corruzione, e di evasione insieme al marito, l'ex pallavolista Inaki Urgandarin oggi finiti entrambi a processo. A giugno le ha tolto il titolo, duchessa di Palma, chiaro ed evidente segno della sua linea: la pulizia dentro prima di tutto. Da allora mai una foto insieme alla coppia dello scandalo, niente incontri pubblici con i consorti accusati di aver rubato. Anzi, quando è stato il momento, ha caldeggiato il loro trasferimento, un esilio in Svizzera, a Ginevra. Lontani il più possibile per evitare problemi.
Non sono poche le trappole che si sono presentate finora al monarca. I separatisti ad esempio, altra spina nel fianco di un Paese insofferente e in cerca di stabilità. Già nel suo discorso di insediamento aveva parlato chiaramente: la Spagna unita. Nessuno spazio a compromessi. Lo ha dimostrato recentemente, pochi giorni fa, quando ha detto no alla presidente del Parlamento catalano, l'indipendentista Carme Forcadell che aveva chiesto un appuntamento con il sovrano per prendere atto del nome del nuovo presidente della regione spagnola. La casa reale ha inviato un messaggio alla Camera catalana invitando a comunicare «per iscritto» anziché personalmente l'investitura del presidente eletto, il secessionista Carles Puigdemont. Forcadell si è dovuta quindi accontentare di inviare un'e mail. Misura forte che è piaciuta alla pancia del Paese che invoca un uomo forte; chiaro in tempi di grigi politici, dove le elezioni hanno annacquato quarant'anni di bipartitismo. Felipe ha aspettato tanto, ha studiato, è volato in America, nelle migliori scuole, ha osservato gli errori del padre e oggi sta attento a evitarli, si tiene stretta la moglie che da principessa minacciava di andarsene ma che oggi da regina ha smesso di fare i capricci, lavora sodo, prende le distanze dalle situazioni imbarazzanti, anche quelle che girano in famiglia. Ha puntato molto sul suo ruolo, ci crede e si vede. La Spagna sta riscoprendo la Corona e rispetta il suo re.
Il miracolo di Felipe, resuscitare il nome dei Borbone dagli anni più bui. Il 2014 era stato l'anno peggiore: il Paese stretto dalla morsa della crisi, oltre 5 milioni di disoccupati, molti giovani, nessun futuro, poche speranze, la bolla immobiliare che aveva sfilato via anche la casa a una classe media già al limite, l'Unione europea che chiedeva rigore e tasse, i rubinetti dei sussidi a pioggia ormai chiusi, la politica che arrancava e non trovava soluzioni. Corruzione e foto vergognose di Juan Carlos durante il suo costosissimo safari, l'ennesima amante che spuntava avevano reso la monarchia debole e traballante. L'abdicazione di Juan Carlos era arrivata quando non era più possibile far finta di niente. Il peso sulle spalle di Felipe. Il giovane re che nessuno conosceva, su cui nessuno avrebbe puntato ha conquistato il suo popolo.