NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 24 dicembre 2011

Ancora qualche alpino (?) dalle tre narici

Articolo di tipo Lettere al Direttore   pubblicato nel numero di Gennaio 2012 dell'Alpino

Con orrore vedo stampata su L’Alpino di Ottobre nella sezione incontri la foto di un gruppo di sottufficiali SMALP degli anni 1954/55 che sfoggiano un tricolore con lo stemma sabaudo.
Mi chiedo se il gruppo festoso ricorda che Casa Savoia è responsabile di aver mandato alla carneficina centinaia di migliaia di giovani soldati in ben due guerre mondiali, di aver favorito una dittatura e soprattutto dopo l’armistizio dell’otto settembre del ’43 di essere fuggita di notte abbandonando al proprio destino non solo l’esercito ma l’intera nazione… non vedo come alcune persone possano aver nostalgia di tale stemma e di tale dinastia.
Mauro Galbiati - Brescia


Confesso che le poche bandiere con lo stemma dei Savoia esposte a Torino in occasione della nostra Adunata non solo non mi hanno disturbato ma le ho trovate doverose. Dell’ultimo re, Umberto II, possiamo solo dire che se n’è andato in esilio con dignità. Su Vittorio Emanuele III, che nell’arco di meno di trent’anni ha dichiarato o avallato cinque guerre, di cui due mondiali con oltre un milione di militari Caduti, il giudizio lo hanno espresso gli italiani votando Repubblica. Ma Casa Savoia è stata determinante per l’Unità d’Italia. Non ho nostalgie monarchiche, come credo non le avessero gli “smalpini” che ti fanno orrore. La storia del nostro Paese, come del resto quella di ogni Paese del mondo, con luci e ombre e se vuoi più ombre che luci, non si cancella e, fatte salve le legittime riserve morali su inaccettabili comportamenti individuali o collettivi, non si giudica col senno di poi.


[....]
http://www.ana.it/page/lo-stemma-sabaudo-2011-12-23

domenica 18 dicembre 2011

Aggiornato il sito dedicato a Re Umberto II

La prima parte di un lungo appassionato articolo uscito nel primo anniversario della morte di Re Vittorio Emanuele III, pubblicato nel 1948 su "Il Giornale d'Italia" dal Senatore del Regno Alberto Bergamini.
Articolo fornitoci in originale dal Nostro Ingegner Giglio. 


www.reumberto.it/bergamini48.htm

sabato 17 dicembre 2011

"IO LI HO VISTI": UMBERTO II DI SAVOIA

"IO LI HO VISTI": UMBERTO II DI SAVOIAMAGGIO 1946 : è in pieno fermento la campagna elettorale che deve portare alla Assemblea Costituente : ma molto più aspra è quella che nello stesso tempo si combatte per il “referendum” tra Monarchia e Repubblica... (Di Franco Clementi)


A Roma, nei comizi (tutti affollati per la rinascente passione civile), i partiti calano i loro carichi da undici ed io, quattordicenne ginnasiale, trovo interessante andare ad ascoltare questo e quello per farmi un’idea mia:
  • De Gasperi, dal linguaggio scarno ed essenziale, uomo così probo da essere rispettato non solo dai suoi nemici, ma perfino dai compagni di partito, cosa, quest’ultima, assai rara tra i democristiani;
  • Nenni, appassionato capo-popolo, cui in seguito molto sarà perdonato perché molto avrà amato i lavoratori;
  • Di Vittorio, Segretario C.G.I.L. (allora Sindacato unico) sanguigno, vibrante, scarmigliato, fisicamente l’esatto opposto del suo molto futuro successore, il cotonato Cofferati;
  • Ferruccio Parri, ex -Presidente del Consiglio, ribattezzato dagli avversari “Fessuccio Parmi”;
  • i Tre Moschettieri del Partito Liberale, Orlando, Nitti e Bonomi, tre vegliardi che per le iniziali del loro cognome, O.N.B., venivano chiamati “Opera Nazionale Balilla”;
  • Croce il filosofo e tanti altri, oggi tutti scomparsi.
Avviene tuttavia che nella mia mente di adolescente, invece di farsi chiaro al sentir tutti quei focosi pareri, sembra entrar una confusione ancora più grande, con cambiamenti di opinione improvvisi, vacillamenti, oscillazioni da scala Mercalli, incertezze e dubbi che renderebbero invidioso un Amleto.
Quasi alla vigilia delle elezioni vado con un amico ad un raduno di monarchici al Quirinale, dove è annunziata la presenza del Re.
Quando arrivo sulla piazza sono di umore fieramente repubblicano; Giuseppe Mazzini al mio confronto sembrerebbe un aspirante ciambellano di corte, mentre guardo beffardamente i convenuti filo-sabaudi intorno a me.

[....]


http://www.intornotirano.it/notizie-tirano-e-provincia-di-sondrio/io-li-ho-visti-umberto-ii-di-savoia

mercoledì 14 dicembre 2011

La tela restaurata della “Carica dei Bersaglieri” di Michele Cammarano esposta al Museo del Risorgimento di Milano

Esposta sino ad ora soltanto alla Reggia di Venaria nel 2011 in occasione della mostra “La bella Italia. Arte e identità delle città capitali”, l’opera è stata di recente restaurata e può ora essere ammirata nelle sale di Palazzo Moriggia






L’esposizione del dipinto a Palazzo Moriggia si colloca nell’ambito delle manifestazioni promosse per celebrare il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. L’opera ritrae infatti la carica dei bersaglieri a Porta Pia, che, in schiera compatta e con eroico slancio, si apprestano ad aprire il varco che consentirà l’ingresso del regio esercito nella città di Roma, sottraendola al potere temporale del Papa e preparando la via alla nascita della nuova capitale del Regno.

Il dipinto, intitolato all’origine “Savoia Savoia”, venne commissionato direttamente da re Vittorio Emanuele II...
[...]

http://www.mi-lorenteggio.com/news/15479

domenica 11 dicembre 2011

Maria Gabriella di Savoia e lo storico Aldo Mola ripercorrono l'Unità d'Italia ai Martedì Letterari

Prestigiosa chiusura per la rassegna autunnale de I Martedì Letterari dedicata all’Unità d'Italia, presenti la principessa Maria Gabriella di Savoia e lo storico Aldo Mola per la conferenza: "Nascita e affermazione della nuova Italia".
Durante l’incontro verrà presentato il volume di Aldo Mola"Italia. Un paese speciale. Storia del Risorgimento e dell’Unità."Introdurranno l’autore Vincenzo Costantini, Marcello Veneziani e Ito Ruscigni, curatore della  rassegna letteraria.

Introduzione all’Opera.
Lo scrittore Aldo Mola, noto autore di libri di storia italiana,  ricostruisce tutte le tappe dell’epopea risorgimentale, dall’età franco-napoleonica  al 17 marzo 1861, giorno della proclamazione del Regno d’Italia, e oltre. L’Unità d'Italia è un evento storico senza precedenti nella storia d’Europa. Nel 1848 otto stati, in gran parte sotto dominio straniero, occupavano il territorio italiano. Solo tredici anni dopo l'Italia sarà proclamata libera e indipendente, uno Stato con una lingua e un’identità proprie. A ripercorrerla oggi, quella storia, sembra un miracolo perché l’unificazione fu un’opera ciclopica, mai tentata nella storia dell’Occidente, eppure, gli italiani dell’Ottocento vi riuscirono, a differenza di tanti altri popoli europei in cerca di Stato. Per questo l’Italia è un Paese speciale. Con una Storia speciale. Per comprendere le ragioni profonde di un evento tanto eccezionale, Aldo Mola non si limita, come tradizionalmente avviene nelle opere di storia, a ricostruire gli eventi politico-militari, ma mira a definire anche le ragioni culturali che hanno portato alla nascita di un sentimento di identità nazionale. Non solo guerre, trattati e diplomazia, quindi, ma anche letteratura, editoria, musica, arte, scienza, canti popolari: un affresco inedito dell’Italia dell’Ottocento, popolato da una galleria di personaggi fondamentali per la creazione dello Stato unitario. Napoleone, Carlo Alberto, Mazzini, Cavour, Garibaldi, Pio IX, Vittorio Emanuele II, Francesco Giuseppe, Napoleone III, Manin, Radetzky, i Borbone, i Mille, ma anche Manzoni, Giusti, Carducci, Verdi, Mameli, D’Azeglio, De Sanctis. 

[...]
http://www.imfromim.it/articoli/2011/12/09/11304/maria-gabriella-di-savoia-e-lo-storico-aldo-mola-ripercorrono-lunita-ditalia-ai-martedi-letterari

sabato 10 dicembre 2011

Il patrimonio privato di Casa Savoia. Ricostruire una memoria.

Il 14 dicembre 2011, alle 15,30, presso l’Archivio Centrale dello Stato si svolgerà un’incontro sul tema

“Il patrimonio privato di Casa Savoia. Ricostruire una memoria”.

L’iniziativa intende presentare l’archivio della Amministrazione del Patrimonio privato di Casa Savoia, recentemente acquisito dall’Archivio Centrale dello Stato, grazie alla volontà del proprietario ambasciatore Antonio Benedetto Spada che, dopo averlo salvaguardato da una probabile distruzione,  si è fatto carico della sua conservazione ed ora ha voluto affidarlo in custodia a questo Istituto.

Contemporaneamente saranno illustrate altri complessi documentari analoghi conservati presso gli archivi di Stato di Torino, di Napoli, presso lo stesso Archivio Centrale dello Stato e presso l’Istituto per la storia del Risorgimento di Roma in un percorso che mira alla ricostruzione ideale degli archivi Savoia riguardanti il patrimonio privato della famiglia.

L’ingente documentazione dell’archivio della Amministrazione del Patrimonio privato di Casa Savoia è una fonte preziosa che consente la ricostruzione delle vicende attinenti il patrimonio privato di Casa Savoia dagli ultimi trent’anni dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento. Libri mastri, bilanci, rendiconti, inventari dei beni, contratti di acquisto e di vendita, carte relativi a lavori edilizi e agrari, planimetrie, protocolli, rubriche e indirizzari “raccontano” la storia quotidiana del Castello di Racconigi, del Castello di Sarre, del Castello di Pollenzo, della tenuta di Sant’Anna di Valdieri, di Villa Savoia, della abbazia di Hautecombe e della villa della regina Margherita a Bordighera e di diversi altri possedimenti della famiglia reale: dalla gestione delle relative aziende agricole ai rapporti con i coloni, dai lavori di restauro ai lavori stradali e di bonifica, dall’acquisto di piante e attrezzi agli affitti e alle vendite. Gli inventari dei beni mobili, dagli arredi alle suppellettili di cucina, dalle porcellane alle miniature e alle sculture, dalle liste di biancheria, tessuti, merletti agli oggetti preziosi e agli oggetti d’arte consentono la ricostruzione di usanze, ambienti e stili di vita.

Il confronto e l’integrazione tra i diversi fondi archivistici contribuiranno a dimostrare ancora una volta come la ricerca storica debba confrontarsi non solo con una molteplicità di fonti, ma anche con gli eventi storici che talvolta ne hanno causato la dispersione in sedi diverse.
 [...] 
Archivio Centrale dello Stato ׀ P.le degli Archivi, 27 - 00144 Roma


mercoledì 7 dicembre 2011

L’ORDINE SUPREMO DELLA SANTISSIMA ANNUNZIATA



FRA TRADIZIONE E PROGRESSO
di Gianluigi Chiaserotti

 

L’origine dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, riconosciuto per il più antico tra i suoi consimili, ci viene tramandato dagli storici sotto il nome della “Collana d’Oro” o “dell’Anello”, con il qual i re insignivano i loro vassalli.
Si parla di questi simboli – collana ed anello – di già dai tempi dei faraoni in Egitto; scrive Giuseppe, storico delle antichità giudaiche: “(…) e Faraone si trasse il suo anello di mano, e lo mise a Giuseppe, e lo fece vestir di vesti di bisso, e gli mise una collana d’oro al collo”.
Ciò dimostra che gli ordini cavallereschi ascendono ad epoca alquanto remota.
Al sorgere dei primi legislatori, furono distribuite insegne di ordini in premio a coloro che avessero compiuto alte azioni morali e materiali.
Con la venuta di Gesù Cristo, e dopo l’era volgare, il primo fondatore di ordini equestri fu l’imperatore Costantino (285-337). Narra la leggenda che, prima della battaglia combattuta con Massenzio, Costantino udisse, nella notte, una voce misteriosa consigliarlo di ornare gli stendardi imperiali con la croce del Redentore. La notte seguente Gesù Cristo apparve agli occhi dell’imperatore stesso, ancora dubbioso sulla scelta di una religione: il Messia lo esortava a marciare con fede sotto il segno celeste della Croce. Svegliatosi, all’alba, Costantino, senza alcun indugio, ordinò che i labari venissero sormontati dal monogramma di Cristo con le tradizionali parole:
In hoc signo vinces
Affrontate, quindi, le milizie nemiche, le respinse vittoriosamente e le disperse, e entrò in Roma, ove, in punto di morte e molti anni dopo, fu battezzato dal Papa San Silvestro (Silvestro, romano, 314-335). Questo episodio storico è brillantemente raffigurato nell’affresco denominato “Leggenda della vera Croce” di Piero della Francesca (Sansepolcro 1415/20-1492), conservato nella Chiesa di San Francesco in Arezzo e recentemente restaurato.
Altri fatti vittoriosi e gloriosi si ebbero in quel tempo, anche perché apparve, quale incitamento, la figura di San Giorgio, il mitico cavaliere della Cappadocia che sconfisse il drago, e in suo onore sorse l’Ordine dei Cavalieri di San Giorgio, composto di cinquanta cavalieri valorosi. L’imperatore Costantino ne fu il Gran Maestro: dignità che trasmise a tutti i di lui discendenti.
Nel Medio-Evo, con il flusso di un gran numero di pellegrini verso Gerusalemme, vennero istituiti ordini religioso-cavallereschi al fine di assistere ed eventualmente proteggere quanti si recavano nei luoghi santi. Alcuni di essi acquisirono grande prestigio e potenza divenendo dei veri e proprii stati sovrani, e sappiamo quali sono: l’Ordine di Malta, l’Ordine di San Lazzaro, che poi si unificò con quello sabaudo di San Maurizio, l’Ordine Teutonico. Ebbero quindi una funzione importantissima specie nel corso delle Crociate in Palestina, nella Penisola Iberica e nell’est Europeo.
Successivamente divenne abbastanza frequente che nel proprio castello un cavaliere, a volte conte o duca sovrano, riunisse amici costituendo una “compagnia” con intenti religiosi, cavallereschi o anche solo galanti. Spesso ne scaturiva l’impegno di recarsi, quali crociati, a combattere gli infedeli. Il più delle volte tutto finiva lì e, tornati alle proprie case, agli impegni di ogni giorno, la “compagnia” si scioglieva senza lasciar traccia di sé.
Passiamo alla contea sabauda.
La corte dei conti di Savoia era una delle più eloquenti quanto a nobiltà e spirito di cavalleria.
Nel  secolo XII dichiarare guerra al proprio vicino era un facile diritto e quindi le terre della nostra Penisola erano continuamente percorse di soldati e di suoni di battaglia.
Durante i periodi di pace quei principi agguerriti non cessavano mai di prepararsi ad affrontare nuove guerre e periodicamente essi trovavano svago in gare cavalleresche o nelle partite di caccia. Erano le c.d. “giostre” o “tornei”. I cavalieri ardenti di sentimento e d’amore verso la dama preferita, si guadagnavano il di lei affetto, non sospirando mollemente a’ suoi piedi, ma affrontando coraggiosamente un’impresa di sangue e di morte.
Ma codeste gare furono messe al bando dalla Santa Sede, perché pericolose.
Quindi, nel secolo XIV, “la giostra, il passo d’armi, la quintana, la corsa all’anello” divennero spettacoli praticamente di galanteria. In Chambéry, in Rumilly, in Bourg-en-Bresse, ed in Portt d’Ain, le gare si succedevano affermando sempre di più il nome dei Savoia e dei conti di Ginevra.
Regnava sulla Contea, Amedeo VI (1334-1383), principe generoso e cavalleresco, più volte vincitore delle compagnie di ventura, famoso per il di lui coraggio e per aver aggiunto ai suoi domini il Fossigny ed acquistato nuovamente il paese di Vaud, il quale, nel 1350, in occasione delle nozze di Bianca di Savoia (1336-1387), sorella del Conte, con Galeazzo II Visconti  (1320-1378), conte di Ginevra, inaugurò una giostra dove i competitori presero il nome di “cavalieri del Cigno Nero”.
Questo torneo originò la credenza di un ordine sabaudo detto della “compagnia del Cigno Nero”, ma in realtà questo non è mai esistito.
Più tardi, Amedeo VI partecipò, unitamente ad altri cavalieri, ad un torneo a Bourg-en-Bresse; essi si dissero “Cavalieri Verdi” - in quanto indossavano costumi in prevalenza verdi – e da ciò ne è scaturito il soprannome, tramandato sino ai giorni nostri, di Amedeo “Il Conte Verde”.
Anche l’impresa del “Collier de Savoie”, trova la sua origine da una giostra celebrata dal Amedeo VI a Chambéry, nell’anno 1361, al fine di festeggiare il ricordo della vittoria riportata contro Federico II, Marchese di Saluzzo. Questo nuovo torneo risulta essenzialmente un’impresa d’amore.
Il Conte sabaudo, nel 1362, dispose quindi che venissero eseguiti, in Avignone, quindici collari d’argento dorati, intrecciati di nodi d’amore e di rose, con inciso il motto “F.E.R.T.”. Il “Conte Verde” distribuì personalmente  le insegne tra i cavalieri che componevano la giostra e si proclamò primo cavaliere del Collare. Amedeo, quel giorno portava i lacci d’amore e dedicava l’impresa ai begli occhi di una dama della sua corte, rivolgendo all’amata le seguenti parole: “io, il vincitore in campo aperto del Marchese di Saluzzo, sono stato vinto dalla vostra beltà e sono pronto a fare quanto volete purchè ciò possa piacervi”.
I lacci d’amore, il collare di nostra dama, la parola “F.E.R.T.” formavano un’unica divisa dei cavalieri partecipanti all’impresa ed ognuno veniva incatenato alla sua dama per mezzo dei nodi d’amore, ed il fedele cavaliere per essa era disposto a sopportare ogni dolore ed ogni pena.
Ma i primi statuti dell’Ordine, lasciati dal “Conte Verde”, andarono smarriti.
Si conobbero, invece, quelli istituiti da Amedeo VIII (1383-1451) nel 1409. Ecco perché, da parte di alcuni storici, sorse la credenza che l’Ordine, creato e fondato da Amedeo VI, avesse avuto un carattere religioso e politico, conforme all’interpretazione data dagli statuti del mistico Amedeo VIII, detto “il Pacifico”.
Secondo codesto Duca, “Notre Dame”, non fu la dama prescelta dal cavaliere, ma bensì la Santa Vergine ed i quindici cavalieri, i quindici misteri del Santo Rosario (o allegrezze di Maria). Fu quindi un lavoro di adattamento per spogliare, oseremo dire, l’Ordine della primitiva profanità.
Nel testamento del  “Conte Verde”, si disse di edificare la Certosa di Pierre-Chatel, destinata ad essere la chiesa dell’Ordine. Codesta la si ultimò il 23 settembre 1393, e fu retta da quindici frati certosini, i quali celebravano quindici messe al giorno in onore dei quindici cavalieri, delle allegrezze della Madonna e per onorare la pace dei cavalieri defunti. Questo fu un fatto fondamentale per l’attribuzione delle origini dell’Ordine, e su ciò si basò Amedeo VIII per darne gli statuti, “dati” in Chatillon en Dombes il 30 maggio 1409. Essi erano composti di quindici capitoli, nei quali il Duca Sabaudo elenca i doveri, le finalità, lo spirito religioso dell’Ordine. E’ lo storico piemontese, Luigi Cibrario (1802-1870), che riesce a dare una data notarile, cioè certa, a codesti Statuti.
Sin d’ora abbiamo visto le origini storiche dell’Ordine, il quale, quanto ad importanza, è pari all’Ordine della Giarrettiera inglese, fondato (1355) da Edoardo III (1312-1377), ed all’Ordine austro-spagnolo del Toson d’Oro, fondato (1431) dal Duca di Borgogna Filippo il Buono (1396-1467).
Vediamo le sostanziali riforme fino ai nostri giorni.
Lo stesso Amedeo VIII, con gli statuti concessi il 13 gennaio 1434, aggiunse altri cinque nuovi capitoli.
Il Duca Carlo III detto “Il Buono” (1486-1553), nel 1518, fece varie modifiche: aumentò di cinque il numero dei cavalieri, in memoria, sembra, delle cinque piaghe di Gesù Cristo. Poi, nel vuoto pendente formato dai nodi d’amore, vi fece introdurre l’immagine dell’Annunciazione, e quindi l’Ordine fu definitivamente chiamato “Ordine Supremo della Santissima Annunziata”.
Fu stabilito anche il cerimoniale dell’Ordine, e ciò ad imitazione di quello della corte di Borgogna per quello del Toson d’Oro.
Fu altresì istituito un Cancelliere, un Segretario, un Cerimoniere ed un Tesoriere.
Si deputò all’Ordine un Araldo il quale prese l’appellativo di “Bonnes Nouvelles”.
Fu quindi prescritto per i cavalieri un manto di velluto chermisino.
Il Duca Emanuele Filiberto (1528-1580), figlio del precedente, comprendendo l’importanza dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, si prodigò al fine di promulgare nuove riforme, anche perché riconobbe l’utilità di quella compagnia cavalleresca (riforme promulgate tra il 1570 ed il 1577).
Innanzitutto il Duca di Savoia cambiò il colore del mantello da chermisino in azzurro, colore, tra l’altro, del sacro vessillo che il “Conte Verde” portava in battaglia, bandiera della devozione che recava l’immagine di Maria disegnata su un campo disseminato di stelle. Colore, come sappiamo, il quale divenne dei Savoia e quindi dell’Italia. E’ il colore anche della sciarpa che portano tuttora a tracolla gli ufficiali in alta uniforme. Sciarpa che, anni or sono, han cercato di far abolire poiché “poteva” ricordare il regno, la monarchia sabauda, ma senza minimamente pensare alle sue origini, cioè al colore, e da sempre della Madonna!
Sotto il regno di Carlo Emanuele II (1634-1675), il manto dei cavalieri cambiò colore: divenne amaranto. Esso era orlato intorno con ricami aurei e fiamme, portava i soliti simbolici nodi ed il motto “F.E.R.T.”. I cavalieri della Santissima Annunziata erano quasi sempre insigniti dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, per cui fu introdotta la consuetudine di vestire la clamide color sangue di detto Ordine, e su quella veste veniva posto il collare dell’Annunziata.
E’ di regola tutt’oggi che quando un candidato non ha nessuna decorazione di un ordine cavalleresco, il Sovrano Gran Maestro, prima di conferirgli il supremo Collare, lo crea cavaliere toccandolo con la spada di San Maurizio, e fa seguire all’atto le parole: “Io vi creo Cavaliere in nome di San Maurizio”. Infatti i cavalieri dell’Annunziata sono anche “de jure” cavalieri di gran croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Tutte le volte che il Re convocava i cavalieri dell’Annunziata, essi si adunavano in consiglio, che prendeva il nome di capitolo. Si dicevano riuniti in Cappella in occasione di Sante Messe, e delle ricorrenze del Santo Sudario, di San Maurizio, dei Santi Martiri e dell’Annunciazione.
In occasione del battesimo dei Principi Reali, si riunivano in Cappella straordinaria.
Chiesa dell’ordine non era più la Certosa di Pierre-Chatel. Divenne, quindi, l’eremo dei Camaldolesi sulle colline torinesi. Ma la Rivoluzione Francese soppresse quest’Ordine.
Con Carta Reale del 15 marzo 1840, il Re Carlo Alberto (1798-1849) dichiarò cappella dell’Ordine la Certosa di Collegno, sepolcreto anche dei cavalieri. Quando, poscia, la detta Certosa divenne un manicomio, l’Ordine ebbe quale sua cappella la Palatina di Torino.
Per cinque secoli codesta suprema onorificenza venne conferita esclusivamente ad uomini di provata nobiltà e veniva attribuito loro il titolo di “Cugino del Re”.
Fu il medesimo Re Carlo Alberto a spezzare le rigide tradizioni dell’Ordine, concedendo la collana anche a coloro che avessero prestato dei particolari servigi allo Stato, senza tener conto della loro discendenza.
Disse il Re: “In verità, non sarà colpa mia se il collare dell’Annunziata e le altre cariche saranno date ai borghesi, poiché al merito e non all’ambizione è dovuta la ricompensa”. Notate, il Re scrive “al merito”!!
 Il primo, senza ascendenze nobiliari a meritarsi il Collare dell’Annunziata fu Luigi Carlo Farini (1812-1866), dittatore dell’Emilia Romagna ed insignito, unitamente a Bettino Ricasoli (1809-1880), il 22 marzo 1860 quale nomina n. 513. Questo fatto dimostra chiaramente il profondo distacco delle nuove idee dalle vecchie: erano mutate le condizioni dei tempi ed il Re Vittorio Emanuele II (1820-1878), dopo l’avvenuta costituzione del Regno d’Italia, riconobbe come degni della suprema onorificenza i titolari delle alte cariche militari e civili ed introdusse la riforma degli statuti con Carta Reale 3 giugno 1869.
Con questo decreto, gli Ufficiali dell’Ordine furono ridotti a due: Segretario e Maestro delle Cerimonie; l’uno per il Ministro degli Esteri e l’altro per il Primo Elemosiniere del Re.
Ma con Decreto 7 aprile 1889 n. 6050, il Re Umberto I (1844-1900) conferì al Presidente del Consiglio dei Ministri la carica di Segretario dell’Ordine, fermo restando che esso rimaneva e rimane ordine dinastico.
Il Re Vittorio Emanuele III (1869-1947), con Regio Decreto 14 marzo 1924, modificava l’articolo 1 della Carta Reale 3 giugno 1869, disponendo che, nel novero dei venti cavalieri, non si contassero: oltre al Capo e Sovrano, il Principe Ereditario, i principi parenti del Re in linea paterna fino al quarto grado incluso, e come prima, gli ecclesiastici e gli stranieri.
Poco dopo, con Regio Decreto 4 maggio 1924 n. 899, veniva istituito ed autorizzato l’uso di uno speciale nastrino di riconoscimento per i cavalieri della Santissima Annunziata, quando essi non facevano uso delle collane.
La legge 30 marzo 1951, n. 178, della Repubblica Italiana, all’articolo 9 ha dichiarato: “L’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppressi”. In precedenza, numerosi ed illustri giuristi ed esperti di materie cavalleresche avevano fatto pervenire alla Commissione Affari della Presidenza del Consiglio (che studiava il disegno di legge) esaurienti memoriali storico-giuridici, dimostranti in modo limpido ed inequivocabile che l’Ordine Supremo della Santissima Annunziata era “dinastico” e non “statuale” (anche se, come abbiamo visto, dal 1860 al 1946 la dignità di Gran Maestro era stata concentrata nella persona del Re) e quindi non poteva essere oggetto di decisione da parte della Repubblica Italiana, per difetto di giurisdizione.
Ma la Commissione non diede alcun peso ai memoriali, né alle documentate pubblicazioni di eminenti professori universitari (Cansacchi, Nasalli Rocca ed altri). E portò al Parlamento la proposta di legge, che fu approvata. Il Gorino Causa, professore incaricato di Diritto Canonico nella Università di Torino, scrisse che la Repubblica Italiana “non poteva sopprimere né modificare gli Ordini della SS. Annunziata e Mauriziano per carenza di poteri sovrani nella materia”. D’altronde il parere dei più illustri esperti, non mai contestato, è che le case già sovrane (Hohenzollern, Romanoff, Absburgo, Borbone di Francia e Borbone delle Due Sicilie) conservino il magistero dei loro Ordini dinastici anche in esilio.
Nel merito infine, l’”Enciclopedia Forense” diretta da  Gaetano Azzariti, Ernesto Battaglini e Francesco Santoro Passatelli, scrive che l’Ordine “fu soppresso dalla Repubblica (…) con errore storico, non essendo mai stato abrogato l’art. 1 dello Statuto del 1570 che ne fa Ordine di famiglia e gentilizio della Casa di Savoia”. 
Vittorio Emanuele di Savoia (1937- ), attuale Gran Maestro dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, con Decreto Magistrale “Motu Proprio” in data 11 giugno 1985, ha rivisto gli statuti relativamente art. 3.
Gli statuti Li ha poi ulteriormente rivisti in data 10 ottobre 1997, relativamente all’art. 1 inserendo quali categorie da escludere nel novero dei venti cavalieri anche i Capi di Stato, i membri delle Case Regnanti o già regnanti, e nuovamente all’art. 3.
Le collane sono così distribuite: quelle storiche, cioè le venti (precisamente sono diciannove) dei cavalieri italiani, sono grandi e devono essere restituite al Gran Maestro, che ne è solo il depositario. Agli eredi resta una collana piccola che ciascun insignito puo’ farsi creare per proprio conto. Alle altre categorie di insigniti, viene consegnata una collana piccola che resta di loro proprietà e dei loro eredi.
E’ interessante rilevare che l’insignito italiano puo’ scegliere la collana tra quelle disponibili, che sono numerate. La n. 1 la scelse il conte Dino Grandi (1895-1988), che a sua volta fu di Luigi Carlo Farini e di Giovanni Giolitti (1842-1928); Ivanoe Bonomi (1873-1951) scelse la n. 12, che fu di Agostino Depretis (1813-1887); Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952) scelse la n. 14, che fu di Antonio Starabba, marchese di Rudinì (1839-1908)  e che poi sarebbe stata di Falcone Lucifero (1898-1997).
Il Principe di Piemonte e di Venezia, Emanuele Filiberto di Savoia (1972- ) ha la collana che fu di un suo grande omonimo, il Duca Emanuele Filiberto di Savoia “Testa di Ferro”.
Più volte si è accennato al motto dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata e della Real Casa di Savoia, cioè “F.E.R.T.”.
Vediamo alcune delle sue svariate interpretazioni. Per nostra comodità abbiamo operato una scelta, tra le centinaia, e precisamente quella più consona all’araldica ed alla storiografia del Casato, ma, indubbiamente, l’interpretazione del motto resta un vero e proprio enigma insoluto.
La prima è quella più tradizionale, e cioè: “Fortitudo eius Rhodum tenuit”, “il suo valore conservò Rodi”. Con essa si fa riferimento all’impresa del conte Amedeo V di Savoia (1249-1323), recatosi nell’isola di Rodi in aiuto dei cavalieri gerosolimitani contro i Turchi. Abbiamo visto che Amedeo VI, suo nipote, creò l’Ordine e non è da sottovalutare che lo creò anche per l’ispirazione mariana che illuminò le Crociate. La presente interpretazione del motto “F.E.R.T.” la ritroviamo anche nello stendardo delle c.d. “Guardie del corpo” (gli antenati dei corazzieri) del re Carlo Felice (1765-1831) e cioè al centro vi era ricamata l’Annunciazione entro il Collare dell’Annunziata e sopra la fascia svolazzante la scritta  “Fortitudo eius Rhodum tenuit”, il tutto in campo azzurro.
L’interpretazione “Foedere et religione tenemur”, “siamo vincolati da un patto e da una fede” è dovuta al ritrovamento di codesta frase su di un doppione aureo coniato sotto il regno di Vittorio Amedeo I (1557-1637), e potrebbe significare l’unione (vincolo) vigente tra i cavalieri dell’Annunziata, i quali giuravano (ecco il patto e la fede) all’atto in cui ne venivano creati.
Filibertus Emmanuel Rex Taurinorum”, anche questo trovato su di una moneta relativo al regno del  “Testa di Ferro”.
Si pensa anche a “Foemina erit ruina Tua”, “la donna sarà la tua rovina”, riferendosi all’ammonimento con il quale il beato Sebastiano Valfrè (1629-1710), confessore del Re Vittorio Amedeo II (1666-1632), richiamava il suo real penitente, noto amatore.
Finora abbiam visto delle interpretazioni che considerano il motto quale un acronimo, vediamo quelle che lo considerano nel suo complesso lessicale.
Innanzitutto come abbreviazione di “ferté” o “ferto”: la prima come voce lessicale dell’antico francese per “fermezza”; la seconda dal latino mediovale “ferto- onis” o “fertum”, od anche “ferdonum”.
Il “ferto” sarebbe quell’unità ponderale che corrispondeva alla quarta parte del marco, o moneta di conto del valore medesimo; interpretazioni, però, che non si rifanno alle origini cavalleresche dell’Ordine del Collare. E’ quindi più attendibile, ma ancora non dimostrabile, invece, che “F.E.R.T.” sia l’imperativo presente del verbo latino “fero”, inteso come “sopporta”. Infatti, essendo il Collare adornato di nodi, ciò puo’ significare l’impegno, per il carattere cavalleresco-amoroso che ebbe l’Ordine, del cavaliere che deve “sopportare” sia i nodi d’amore per la di lui dama, sia, quando assume carattere religioso-militare,  “sopportare” ogni cosa per devozione ed in onore della Madonna (“fert crucem”). Infine citiamo il Cibrario, il quale scrive: “(…) è l’abbreviazione dialettica di “fortitudo”, “saint fert”, la “Fertè”, nomi di luoghi voltatisi in latino per “fortitudo”.
Dunque “F.E.R.T.” del Collare dell’Annunziata ad interpretarlo da solo, potrebbe significare “fortitudo”, cioè “valore”.

Pietra Ligure: la Guardia d’Onore all’inaugurazione di piazza Vittorio Emanuele II

Pietra L. L’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon – delegazione provinciale di Savona – parteciperà alla cerimonia di inaugurazione di una piazza intitolata a Vittorio Emanuele II, che si svolgerà giovedì 8 dicembre nella città Pietra Ligure.

“Il nostro Istituto – afferma il vice delegato Fabrizio Marabello – è la più antica Associazione Combattentistica e d’Arma d’Italia fondata nel 1878 con la denominazione di Comizio dei Veterani delle Guerre d’Indipendenza per l’Unità d’Italia ed è custode dell’Unità Nazionale e delle tradizioni militari della Patria; si propone di fornire con i propri iscritti una Guardia d’Onore alle Tombe dei nostri Sovrani quale tributo di riconoscenza per l’Augusta Casa Savoia che portò all’unità e alla grandezza dell’Italia”.
[...]
http://www.ivg.it/2011/12/pietra-la-guardia-donore-allinaugurazione-di-piazza-vittorio-emanuele-ii/

lunedì 5 dicembre 2011

Magari....

Presto in Italia cambio di forma di stato da repubblica a monarchia parlamentare se vuole salvarsi dalla bancarotta




Una delle profezie di Padre Pio, il Santo da Pietrelcina venerato e pregato da milioni di fedeli in tutto il mondo, riguardante la restaurazione della Monarchia in Italia.


Che il Santo da Pietralcina avesse simpatie monarchiche e che avesse davvero profetizzato il ritorno in Italia della Monarchia è fatto accertato e conosciuto, anche se quasi totalmente sottaciuto da almeno vent’anni. Veniamo ai fatti riportati.


Durante l’esilio ginevrino, la Regina Maria Josè, moglie di Re Umberto II, tenne una corrispondenza con il santo, che la consolava delle sofferenze patite all’estero a causa della lontananza forzata dall’Italia che le era stata imposta.


Su una lettera indirizzata alla Regina, il Santo scrive: “Maestà, la Monarchia tornerà in Italia, e un suo parente diventerà Re”.


A molti sembrerà incredibile, eppure il santo già aveva dato una amara previsione alla stessa Maria Josè, e questa, puntualmente, come aveva avvertito il santo si realizzò.


Sul finire degli anni trenta la Regina si recò in pellegrinaggio a fargli visita e il Santo la sorprese, profetizzandole la fine della Monarchia di li a poco e avvertendola di stare pronta, perché non avrebbe avuto quasi neanche il tempo di accorgersene per la velocità con cui si sarebbero susseguiti gli eventi, che come si sa la avrebbero destinata all’esilio.


[...]
http://www.romanotizie.it/page.php?page=topic&id_article=14882&id_forum=5956&id_mot=

sabato 3 dicembre 2011

Il vescovo spiega il significato della beatificazione del giovane religioso ucciso dai partigiani


Il seminarista che si fece uccidere per non togliersi la talare

Da Fatti Sentire 
di Andrea Zambrano

REGGIO EMILIA (16 novembre 2011) - "Il martirio di Rolando Rivi riscrive la storia. Quella storia nella quale tanta parte di cultura cattolica ha preferito non entrare". Il vescovo di San Marino monsignor Luigi Negri spiega in questa intervista esclusiva il significato dell’ormai imminente beatificazione del seminarista di Castellarano, ucciso il 13 aprile 1945 a soli 14 anni in odium fidei da due partigiani comunisti. 70 anni, milanese, allievo di don Giussani, monsignor Negri conserva ancora una caratterstica fondamentale oggi per l’uomo di Chiesa: la chiarezza, senza se e senza ma. E nel suo ruolo di presidente del Comitato Amici di Rolando Rivi, che da 6 anni promuove la causa di beatificazione del seminarista di San Valentino, parla di Rolando come di un martire, il cui sacrificio è in grado di dare verità storica ad una pagina oscura della nostra storia. Un martirio che arriva agli onori degli altari dopo decenni di oblio, con un ricordo coltivato negli anni bui del dopoguerra soltanto in ambito familiare, ma che col tempo si è trasformato in una vera e propria devozione e che farà di Rolando Rivi non solo il primo beato di Reggio dopo 500 anni e il primo seminarista di un seminario minore diocesano dichiarato beato. Ma soprattutto il primo martire ucciso per mano della violenza partigiana comunista che la Chiesa riconosce beato. Un modo per ribadire che in quegli anni si moriva in odio alla fede e, da parte della Chiesa, certificare che in quegli anni era in atto una sistematica violenza messa in campo per debellare i cristiani. Ecco perché con la sua beatificazione, è come se in un certo senso, la Chiesa riconoscesse il martirio dei tanti sacerdoti uccisi dalla violenza della guerra civile, soprattutto nel Triangolo della morte. Intervistiamo monsignor Negri all’indomani la notizia, data dal comitato, che la causa di beatificazione presso la Congregazione per le cause dei Santi, è uscita dal limbo dell’indeterminatezza per entrare in quella delle date certe.

[...]
http://blog.messainlatino.it/2011/12/il-vescovo-negri-il-vescovo-spiega-il.html