NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 29 aprile 2011

Che invidia!


Non l'ho voluto vedere in diretta il matrimonio di William e Kate. Ma dopo la curiosità è stata troppa.
E non ho potuto fare a meno di essere invidioso degli inglesi e del fatto di essere così eccellentemente rappresentati.

E ancora una volta ho meditato le parole di Re Umberto che dicevano che la Monarchia suscita sentimenti di affetto nei confronti dello Stato.
Un affetto di cui sono stato privato, siamo stati privati da sempre.
Mannaggia...

domenica 24 aprile 2011

Nozze reali senza Savoia

LORENZO MONDO
Notizie circostanziate e zuccherose si inseguono su giornali e tv, raccontando la storia del matrimonio imminente tra il principe William, erede del trono d’Inghilterra, e l’avvenente Kate Middleton, uscita da una famiglia borghese: una circostanza, questa, che rende più appetibile la vicenda per chi ama un certo genere di intrattenimento.

La solita storia di Cenerentola. Ma qualcuno è andato a spulciare nell’elenco degli invitati ed ha fatto una maliziosa scoperta. Tra i 1900 personaggi irrorati dal sangue blu o da qualche speciale benemerenza, non figura nessun membro di Casa Savoia che, per quanto spodestata, è pur sempre la dinastia più antica d’Europa. Forse la Corte inglese non ha voluto intromettersi nell’annosa disputa tra Vittorio Emanuele e Amedeo d’Aosta, che si contendono il diritto di rappresentare la continuità familiare. 

Un imbarazzo acuito dal ricordo che nel 2004 i due cugini, presenti alle nozze del principe Felipe di Spagna, vennero alle mani e Vittorio Emanuele stese Amedeo con un cazzotto. Troppo insensibili al bon ton i discendenti di quell’altro Vittorio, il padre della Patria. Quando nel 1855 andò a Londra in visita di Stato, l’aspetto selvatico di re montanaro - i grandi mustacchi, la fama di cacciatore impenitente di stambecchi e sottane - non compromise la simpatia che gli tributò la regina Vittoria, rendendo omaggio al suo piglio franco e leale. Vittorio Emanuele II, d’altronde, alla Corte di San Giacomo non fece a pugni.

A rendere più impertinente l’esclusione dei Savoia dai festeggiamenti londinesi, è l’invito rivolto a Carlo di Borbone, l’erede del regno delle Due Sicilie cancellato da Garibaldi e dalle armate piemontesi. L’incidente prende sapore mentre da noi si celebrano i 150 anni dell’Unità d’Italia. Sembrerebbe un piccolo sberleffo, una innocua rivalsa dei monarchi sconfitti, un riconoscimento concesso alla loro superstite dignità.

Qualcuno, tra i neoborbonici che sopravvivono al Sud, sarà indotto a rallegrarsene, a trarre nuovi spunti per una antistorica e risibile polemica sulle sopraffazioni del Nord nei confronti di regioni evolute e civili. Mentre questa disfida virtuale tra le due casate dovrebbe avere un effetto lontanante e pacificatore, essendo gli uni e gli altri dinasti accomunati, a diverse riprese, dall’inclemenza della storia. Spettano alle sole cronache mondane e pettegole l’eventuale dispetto dei Savoia, il compiacimento dei Borbone.



Il Tricolore con lo stemma dei Savoia



 Lettere al Direttore   pubblicato nel numero di Maggio 2011 dell'Alpino

Ho partecipato il 17 marzo 2011 all’alzabandiera eseguita alla sede della sezione milanese della nostra Associazione e mi son chiesto per l’ennesima volta perché mai ci si ostini a tenere il simbolo della nostra Unità Patria mutilata della sua composizione originale. Nato con lo stemma di Casa Savoia, quel simbolo fu fatto parte integrante della composizione dello stendardo alla pari coi tre colori.
I soldati italiani andavano all’assalto al grido di “Savoia”, non pensavano certo alla famiglia regnante ma al simbolo della Patria.
Piercarlo Comolli (Milano)
Mi sono posto anch’io l’interrogativo se, almeno in occasione del 150°, qualche bandiera potesse comparire con lo stemma dei Savoia. Non ho mai pensato che il Tricolore, nato repubblicano, dovesse ripristinare lo scudo sabaudo. È vero che i nostri soldati andavano all’assalto al grido di “Savoia”, ma è altrettanto vero che dal 1861 al 1945 di guerre ce ne sono state tante, troppe.
Pubblicato sul numero di maggio 2011 de L'Alpino.


Nota dello staff
Chissà quali di queste guerre avrebbe evitato colui che risponde alla lettera del signor Comolli.
E chissà quali di quelle guerra sono state effettivamente volute da un Re.
Di sicuro gli stati che occupavano parte della nostra Nazione non ci hanno regalato niente. Duole che un alpino ragioni come politichello qualsiasi.

Viva Carlo Alberto... riprendono i lavori per il "suo canale"


Carlo Alberto Amedeo di Savoia detto "il Magnanimo" ha legato indelebilmente il suo nome alla promulgazione dello Statuto fondamentale della Monarchia  Sabauda , noto, appunto, come Statuto Albertino, che rese il Regno di Sardegna  prima, e l'Italia poi, una monarchia costituzionale.
Egli legò il suo nome anche al nostro territorio, tramite la costruzione del canale Carlo Alberto prese il posto del preesistente canale Betale scavato nel XIV secolo e particamente abbandonato dopo il XVIII secolo. 


[...]
http://www.giornal.it/pagine/articolo/articolo.asp?id=33056

mercoledì 20 aprile 2011

Conferenza a Pinerolo: Statuto Albertino - le radici della nostra libertà


In occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia segnaliamo che



Venerdì 29 Aprile 2011
presso il Museo Storico dell'Arma di Cavalleria 
Viale Giolitti 5, Pinerolo (Torino)
si svolgerà la conferenza :
Statuto Albertino - le radici della nostra libertà
tenuta dall'Avvocato Massimo Mallucci de Mulucci
(Segretario Nazionale di Alleanza Monarchica)



martedì 19 aprile 2011

Discorso di Re Vittorio Emanuele III per il 50° del Regno d'Italia

Aggiornato il sito dedicato a Re Umberto II con il discorso che Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III pronunciò sul Campidoglio per le celebrazioni del cinquantesimo anniversario del Regno d'Italia.
Buona lettura!

giovedì 14 aprile 2011

Kate e William, i Savoia restano a casa


Vittorio Emanuele e Carlo di Borbone (a destra)

Non invitati: cedono il passo ai Borbone

Nessuno vuole Vittorio Emanuele e Amedeo d'Aosta dopo la scazzottata spagnola del 2004. Ride Carlo di Borbone

NAPOLI - Tra i due litiganti il terzo gode, avrà una traduzione nota anche ai reali inglesi il classico adagio tutto italiano. Lo certifica il depennamento dei Savoia dalla lista degli invitati al matrimonio del secolo, quello di William d'Inghilterra e Kate Middleton. Non ci saranno infatti né Vittorio Emanuele né Amedeo d’Aosta, impegnati da anni in una astiosa contesa fatta di cavilli e araldica per il riconoscimento del capo del casato, mentre ci sarà Carlo di Borbone, erede del regno delle Due Sicilie. Indietro Savoia e avanti Borbone dunque, come nota Novella2000 che rivela il gossip reale.

AVANTI BORBONE - Sull'esclusione eccellente avrebbe pesato proprio la lotta intestina in casa Savoia e un precedente certo non incoraggiante. Nel 2004, l'ultima volta che Amedeo e Vittorio Emanuele parteciparono insieme a un matrimonio reale, durante il banchetto di nozze del principe Felipe di Spagna, Vittorio sferrò un pugno al cugino Amedeo mandandolo al tappeto. Così, nonostante Amedeo sia per discendenza cugino in seconda di Carlo d’Inghilterra, sia lui che Vittorio Emanuele cederanno il passo, almeno questa volta ai Borbone. Una bocciatura che ha un sapore ancora più amaro nell'anno dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia sancita con il regno di Vittorio Emanuele II di Savoia.

mercoledì 13 aprile 2011

Monarchici senza Letizia

Riportiamo la notizia in quanto vi è evidentemente un'area monarchica che sta contando qualcosa. Il che è bello ed istruttivo.
Ognuno è ovviamente libero di approvare o disapprovare ciò che desidera e nella misura che desidera. Ma che si parli di monarchici a noi Monarchici in Rete non dispiace mai.


I "neri" di Milano contro la Moratti.


Non c'è solo il Terzo Polo di Manfredi Palmeri a turbare i sonni di Letizia Moratti in vista dell'appuntamento elettorale del 15 maggio, quando i milanesi dovranno scegliere tra lei e Giuliano Pisapia il prossimo sindaco di Milano. Nei meandri del capoluogo lombardo si stanno muovendo nemici «destri» molto particolari. Si tratta della nobiltà nera milanese: conti, principi o ex pluridecorati della X Mas. Un variegato mondo di ex combattenti, che potrebbe vendere cara la pelle creando non pochi problemi all'ex ministro dell'Istruzione. Tanto che lunedì sera, in una riunione definita da alcuni partecipanti una via di mezzo «tra il ballo del Gattopardo e il bar di Guerre Stellari», la Moratti ha incontrato i reduci. Senza però trovare un accordo.
BOMBA FASCIO-MONARCHICA. In queste ore così convulse, a tre giorni di distanza dalla chiusura della presentazione dei candidati, è scoppiata in seno al Popolo della Libertà un granata «fascio-monarchico-patriottica». Quella fetta di elettorato che si riconosce «negli antichi valori» di Casa Savoia, con rimandi nostalgici alla Repubblica di Salò, si è vista infatti chiudere la porta dalla lady di ferro di palazzo Marino e potrebbe presentarsi da sola alle elezioni comunali.


[.....]

http://www.lettera43.it/politica/13109/monarchici-contro-letizia.htm

sabato 9 aprile 2011

Una lettera a Mario Cervi

Egr. Dr. Cervi, ho letto il Suo elogio di De Gasperi. Ma sarebbe corretto ricordare anche che, nel 1922, lo stesso De Gasperi votò con convinzione la fiducia a Mussolini! E il 12 giugno 1946 accettò senza fiatare la decisione del Consiglio dei Ministri (in palese violazione della legge!) che detronizzava Re Umberto II senza attendere la decisione della Cassazione. Il Re andò in esilio, pur di evitare la guerra civile. In quei giorni, il Sovrano fu il solo a mostrare un grande Senso dello Stato! E sulla vicenda Guareschi, De Gasperi pare abbia detto «se sono andato io in carcere, ci può andare anche lui!». Non proprio comportamenti e frasi da statista...
Cagliari

Lettera che sottoscriviamo in ogni sillaba.
Lo staff

Una foto vale più di mille parole

La didascalia recita: 

"IN CASO DI AGITAZIONE POLITICA ROMPERE IL VETRO!"

Dal blog:      http://monarchistamerican.blogspot.com/
Thank you, my friend!

venerdì 8 aprile 2011

Il Re gesuita: un Savoia contro l'Unità


di Filippo Rizzi


Una figura che ha inciso come un’ombra ingombrante, con i suoi gesti, la sua condotta di vita devota e mistica, quasi bigotta, sulla storia di Casa Savoia e del Risorgimento. Lo è stato certamente Carlo Emanuele IV, re di Sardegna dal 1796 al 1802, avo di Carlo Alberto (di cui fu padrino di battesimo) e di Vittorio Emanuele II. Un personaggio dimenticato negli annali dell’araldica sabauda e rimosso dalla storia ufficiale del Risorgimento, ma che più di quarant’anni prima della proclamazione del Regno d’Italia – avvenuta il 17 marzo 1861 – dopo aver abdicato al trono, si fece gesuita e si spense a Roma il 6 ottobre 1819 nella casa di formazione dell’ordine a Sant’Andrea al Quirinale. 


Figlio di Vittorio Amedeo III e appartenente al ramo primogenito di Casa Savoia (dopo di lui e prima della salita al trono di Carlo Alberto, saranno re di Sardegna i suoi fratelli minori Vittorio Emanuele I e Carlo Felice) il «monarca che si fece gesuita», nato a Torino il 24 maggio 1751, sarà sovrano del piccolo Stato dal 1796 al 1802: un arco di tempo breve ma cruciale per la storia, perché proprio in quel periodo l’Europa sarà il teatro dei moti giacobini della Rivoluzione francese e dell’ascesa di Napoleone. Sotto il suo governo la corona perderà, esclusa la Sardegna, buona parte dei beni per mano del generale Bonaparte.


E a testimoniare ancora oggi la sfortunata sorte del sovrano sabaudo sono le parole di Vittorio Alfieri: «Infelice e purissimo principe». Molto devoto alla religione cattolica, sulla scia del suo avo il beato Amedeo IX, Carlo Emanuele divenne tra l’altro terziario domenicano ed ebbe come precettore il barnabita e poi futuro cardinale Giacinto Sigismondo Gerdil. Le testimonianze e le cronache del tempo raffigurano questo rampollo Savoia come uomo di salute cagionevole, «malaticcio», soggetto ad attacchi epilettici, restio a succedere al padre Vittorio Amedeo, con tendenze alla vita monastica: dedito più a «sgranare rosari» – come racconta lo storico Bruno Manunta – che a interessarsi degli affari del suo Stato. 
[....]

lunedì 4 aprile 2011

“ROSA D’ORO DELLA CRISTIANITÀ”:

A BERGAMO DOMANI L’ANNIVERSARIO
Da 25 anni, ogni 5 aprile l’Associazione Internazionale Regina Elna festeggia la consegna alla Regina Elena della Rosa d’Oro della Cristianità, concessa da Papa Pio XI, per l’ultima volta ad una Regina.
In Italia la cerimonia si svolge sempre in una città diversa.
Nel 2011 sono state scelte Bergamo e la mensa per i poveri gestita dal Convento dei Frati Minori Cappuccini al quale, nell’occasione, il sodalizio intitolato alla “Regina della Carità” devolverà oltre 20 quintali di viveri. Alla cerimonia di consegna della donazione seguirà una S. Messa, che sarà celebrata alle ore 10.

Aggiornato il sito dedicato a Re Umberto II

Le celebrazioni del centenario della proclamazione del Regno d'Italia a Torino nel 1961, dal libro del Ministro Lucifero "Il Re dall'esilio".

http://www.reumberto.it/centenariotorino.htm

venerdì 1 aprile 2011

Lettera aperta a Bruno Vespa

di Giovanni Semerano, Commendatore della Corona

Nepi, 1 aprile 2011




Illustre Dottor Vespa,
la ringrazio per aver dimostrato, per l'ennesima volta, la sua conoscenza delle materie che affronta e il suo equilibrio di giudizio.

Mi riferisco alla trasmissione TV del 30 marzo quando non sono mancati i soliti, triti e barbosi luoghi comuni, nati dalla propaganda nazifascista-repubblichina, poi fatti propri dalla propaganda repubblicana, comunista, socialista-nenniana e azionista e, una volta "prevalsa" la repubblica, diventati la "verità storica" ufficiale del sistema, comodissima a tutti in quanto faceva del Re "fuggiasco" il capro-espiatorio di tutti i mali d'Italia. 
Come, d'altronde, è avvenuto nel giudizio sul 28 ottobre 1922 – quando nacque un governo di coalizione con ministri e sottosegretari popolari, liberali, social-riformisti, nazionalisti, tecnici e, ovviamente, fascisti; alla Camera, presieduta dall’On. Enrico De Nicola, i deputati fascisti erano 35; il Governo Mussolini ebbe 306 voti a favore, con la dichiarazione di voto del Presidente del Gruppo Popolare, On. De Gasperi.
Come è avvenuto e continua ad avvenire nella valutazione di tante altre vicende storiche, mai ricordando un solo merito di quel Re, dall'intesa personale e politica con Zanardelli e Giolitti - quando la lira faceva aggio sull'oro - a Peschiera, nel 1917, quando egli si impose per la difesa sul Piave e non sul Mincio come volevano gli Alleati (vedasi le memorie del Primo Ministro britannico David Lloyd George); per non parlare del 25 luglio: senza il Re Vittorio Emanuele III - come anche recentemente hanno ricordato Sergio Romano sul “Corriere della Sera” e Mario Cervi sul “Giornale” - l’Italia sarebbe finita come la Germania, rasa al suolo e divisa; e potrei proseguire citando molti altri eventi significativi… per finire al suo ultimo gesto, prima di imbarcarsi a Napoli per l’esilio di Alessandria d’Egitto dove morì (e dove è ancora sepolto!): la donazione al "Popolo italiano" della collezione di monete, dal valore incalcolabile (il Presidente Fanfani, nel 1983, parlò di una “stima” di 100 miliardi di lire; le allego in proposito la "memoria" del Marchese Fausto Solaro del Borgo resa pubblica nel 2010).   
Mai una volta, in quasi settant'anni ed anchel'altro ieri sera, che sull'8 settembre sia stato possibile fare una analisi almeno un po' distaccata dalla solita, stucchevole superficialità a senso unico (e, mi lasci dire, anche ignoranza: mi riferisco all'orecchiante "ballerino", ma non solo a lui...).  Gli analisti storici onesti fuori dal coro della “fuga” non sono mancati - dai monarchici Volpe, Artieri, Paratore, al liberale Arangio-Ruiz, al socialista Alfassio Grimaldi, al comunista Ernesto Ragionieri (che, sulla Storia d’Italia edita da Einaudi ha scritto “Quella lunga teoria di berline nere dirette a Pescara portava in salvo la continuità dello Stato”) – ma sono stati  sempre ignorati e “silenziati”. Vengono ignorate perfino le parole pronunciate nel 2000 dal Presidente Ciampi “L’8 settembre per me fu facile scegliere tra Salò e il legittimo Governo; non solo non morì la Patria, quel giorno, ma neppure lo Stato”; cito dal “Corriere della Sera” del 15 novembre 2000: Quando riuscì a raggiungere la Puglia, dove rientrò nei ranghi, Ciampi racconta di come avesse già chiara la legittimità del Governo del Re e di Badoglio, legittimità sostanziata dalla dichiarazione di Guerra alla Germania del 13 ottobre 1943. Nel ringraziare il Presidente Ciampi sento di dover rivolgere un commosso e ammirato pensiero all’87% dei soldati e sottufficiali e al 92% degli ufficiali che, prigionieri nei campi di concentramento nazisti, rifiutarono di aderire alla cosiddetta  repubblica sociale di Mussolini e restarono fedeli al giuramento al Re legittimo Capo dello Stato.
Lei sa quanto la stimava - e seguiva! - il Ministro Falcone Lucifero, con il quale io ho avuto l'onore di collaborare per 40 anni. Le invio il suo libro “Il Re dall’esilio” e un articolo che lei gli dedicò su “Il Tempo” del 21 marzo 1986.
Mi affido alla sua onestà intellettuale, ed esemplare professionalità, affinché i due anni - giugno 1944-giugno 1946 - in cui Re Umberto fu Capo dello Stato (con 4 governi: 2 Bonomi, 1 Parri, 1 De Gasperi) come Luogotenente Generale e come Re, con accanto Lucifero, non siano stravolti dagli ignoranti, in buona e, più spesso, cattiva fede. E sul Referendum - e sul suo epilogo "frettoloso"... - non si ripetano le solite "parole d'ordine", rispettando almeno il voto di quei quasi 11 milioni (secondo i "dati" di Romita sui quali, lo scorso 12 marzo su “Libero”, ha giustamente espresso le sue perplessità l’ex Presidente del Senato Marcello Pera) di italiani che votarono per la Monarchia facendo di Umberto II l'uomo - da solo, senza partiti e candidati al seguito - più votato nella storia d'Italia.
Un uomo che ebbe la stima e il sostegno di tante illustri personalità, da Churchill a Eisenhower, da Croce a Einaudi, da Guareschi a Montanelli, da Barzini a Pampaloni a Pannunzio… e potrei andare avanti a lungo, ma soprattutto ebbe, fino al suo ultimo istante di vita terrena, l’affetto di milioni e milioni di italiane e di italiani.
Infine, invoco rispetto pure per noi romani che al Re demmo una netta maggioranza, come tutto - tutto - il centrosud e le isole, ma anche, al nord, come le Province di Cuneo, di Asti, di Bergamo, di Padova, e molte centinaia di Comuni, senza dimenticare che non poterono votare l’Alto Adige, la Venezia Giulia, centinaia di migliaia di prigionieri di guerra (tra i quali i valorosi che rifiutarono…) non ancora rientrati in Patria.
Voglia scusarmi, caro Direttore, se mi sono permesso di disturbarla.
Grazie per l’attenzione e ogni migliore augurio di bene e di continuo successo per lei e per il suo impegno giornalistico!



                                                   Giovanni Semerano

Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II divenne Re d’Italia

17 marzo 2011

Un’ipocrisia cancellare Casa Savoia


articolo di sabato 19 marzo 2011
di Redazione di www.ilgiornale.it
C’erano anche loro al Pantheon, defilati, come parenti scomodi, da nascondere, mentre l’Italia unità ricordava il loro trisavolo. Le cronache raccontano che gli ultimi Savoia hanno deposto una corona d’alloro davanti alla tomba di Vittorio Emanuele II. Ma sono arrivati dopo, quando la cerimonia scemava, Napolitano non ha avuto neppure il tempo di stringergli la mano. È così che gli eredi del primo Re d’Italia si sono ritrovati a fare la parte dei figuranti. Comparse. Solo perché non se ne poteva fare a meno. È vero che le cronache di questi tempi non li hanno aiutati. Vittorio Emanuele, il re senza corona e senza scorta, si è lasciato sfuggire una confessione che fa male. Ma un po’, senza retorica e senza nostalgia, in questo centocinquantenario della patria l’assenza della monarchia si è sentita. L’imbarazzo ha generato un fotoritocco mentale. I Savoia spostati più in là, dietro le colonne, dove si intravedono, ma quasi non sono riconoscibili. L’effetto ricorda le foto sbiadite della rivoluzione sovietica, dove ogni tanto veniva sbianchettato qualcuno. I Savoia non sono vittime, ma resta quel sapore un po’ falso. Nel bene o nel male gli eredi del re piemontese non si possono cancellare con un tratto di penna. Stanno lì, nella nostra storia.
Il Risorgimento è stato raccontato, in questi mesi, in tutti modi, pronipoti e consanguinei dei padri della patria rivelavano segreti di famiglia e ricordi lontani e più o meno dimenticati. Ai Savoia quasi nessuno ha avuto il coraggio di chiedere qualcosa. Emanuele Filiberto si è limitato a ricordare che anche lui ora si sente veramente italiano. Un uomo in cerca di cittadinanza. Questa grande festa patriottica ha riunito un po’ tutti, i vivi e i morti, i rossi e i neri, i sudisti e i papalini, i vincitori e gli sconfitti, i rivoluzionari e i codini. Perfino i lùmbard alla fine non hanno snobbato fino in fondo l’unità d’Italia. Hanno sottolineato la loro identità, facendo più colore che veri boicottaggi. Sulla scena c’erano i rappresentanti del Papa, che pure in quel epopea risorgimentale stava tra quelli che l’unità l’ha subita e, almeno per Pio IX, neppure perdonata. La Chiesa che conosce i tempi ha abbracciato il tricolore. I Savoia volevano farlo, ma questo Paese non se l’è sentita di stringergli la mano. E così siamo tornati al vecchio quesito risorgimentale: si può fare (in questo caso festeggiare) l’unità d’Italia senza i Savoia? 
da http://www.ilgiornale.it/interni/il_commento_unipocrisia_cancellare_casa_savoia/19-03-2011/articolostampa-id=512344-page=1-comments=1