sabato 25 settembre 2010
"Porterò sempre nel cuore il vento e le onde di Cascais"
da www.ilgiornale.it
La principessa Maria Gabriella di Savoia, affascinata dai velieri, racconta la tradizione marinara dei Savoia ma anche le sue esperienze in mare. E ricorda il mitico "Iela"
di Michele Caracciolo di Brienza
Maria Gabriella di Savoia risiede da anni a Ginevra. Giustamente ritenuta la figlia più bella di re Umberto e della regina Maria Josè, è altissima, elegante in modo estremamente naturale e senza nessuna ostentazione. Ma anche disponibile e molto cortese. Nel suo salotto notiamo subito le fotografie in bianco e nero dei genitori nel giorno del loro matrimonio e le gouaches napoletane a ricordo della città che le diede i natali.
Qual è il suo rapporto con il mare?
«In Portogallo ho praticato spesso la vela perché da quelle parti c’è sempre un vento fortissimo, l’ideale. Andavo con alcuni amici portoghesi e, insieme, ci univamo ai Conti di Barcellona (Juan di Borbone, padre dell’attuale re di Spagna Juan Carlos, ndr). Loro erano appassionati di vela. Mi veniva sempre un po’ d’angoscia quando perdevo di vista l’orizzonte e poi ero trattata malissimo perché per via della mia altezza urtavo spesso il boma... Mi manca tanto il mare, so che va rispettato e amato. Qui a Ginevra mi manca soprattutto il rumore delle onde in sottofondo».
Crociere e traversate?
«Ne ho fatte diverse su alcuni grandi yacht, sia a vela sia a motore. Ancora ragazzina ero stata con mio padre nei Paesi scandinavi. Ci eravamo imbarcati ad Amsterdam e poi siamo andati in Norvegia, Svezia, Danimarca proseguendo per San Pietroburgo che allora si chiamava Leningrado. Poi siamo tornati via Tallinn, Riga, Danzica. Indimenticabile».
Quali erano gli intrattenimenti a bordo?
«Durante la crociera praticavo il tiro al piattello. Una volta mio padre prese il mio fucile e ricordo che durante la navigazione riuscì a colpire tutti i piattelli lanciati. La crociera fu molto interessante, i panorami erano fantastici. Ricordo che andammo al mercato del pesce vicino a Oslo. C’erano specie diverse da quelle che io vedevo in Portogallo. Già da piccola, 10-12 anni, ero affascinata dal mercato del pesce di Cascais e conoscevo le varie specie della costa portoghese».
È mai stata in Sardegna?
«Sì, tante volte. Con i Conti di Barcellona partimmo da Napoli per Ponza. Una traversata con tappa in Sardegna prima di finire in Corsica. Non c’era un soffio di vento e facevamo un nodo all’ora in barca a vela. Mi mettevo a prua dove c’è quella rete sospesa sulle onde e leggevo i libri di Pierre Teilhard de Chardin, un noto gesuita che mia madre patrocinava».
Casa Savoia è sempre stata legata alla tradizione marinara. Tanto che c’è anche un famoso nodo...
«Quel nodo arriva da Amedeo VI, il Conte Verde (1334-1383). All’epoca era chiamato “laccio d’amore” perché simbolicamente legava Amedeo VI a una delle sue damigelle. Lui aveva un bracciale con tanti “nodi Savoia” fatti con i capelli della sua amata. Da lì è cominciato l’uso».
Nell'archivio della Fondazione Umberto II e Maria José c’è un bellissimo disegno del panfilo Iela.
«Sì, è il panfilo di mio nonno, Vittorio Emanuele III. Lui e la regina Elena amavano il mare. Infatti, Iela vuol dire Elena in serbo. Lo presero poco prima che morisse Umberto I. I miei nonni erano in navigazione quando da Monza arrivò la notizia dell’attentato al mio bisnonno. Erano in Grecia e sbarcarono a Taranto per proseguire poi in treno fino Monza».
Qual è la barca più elegante su cui è salita?
«Senz’altro il Créole, un veliero dell’armatore greco Stavros Niarchos. I velieri hanno un fascino particolare. Ricordo che nel 1982 ero in Portogallo per stare qualche giorno con mio padre e vidi entrare nel Tago una flotta di straordinari quattro alberi. Saranno stati una dozzina. C’era l’Amerigo Vespucci. Ricordo anche le navi-scuola dell’Unione Sovietica e della Danimarca. Era una meraviglia. Era l’alba quando le imbarcazioni si apprestavano a entrare nell’estuario del Tago. Per via della foschia e delle vele spiegate sembrava un quadro di William Turner. Non ho più visto uno spettacolo così».
giovedì 23 settembre 2010
Il fatto non sussiste
Con questa motivazione Vittorio Emanuele di Savoia, principe di Napoli, figlio del Re Umberto II è stato assolto da imputazioni che al più sprovveduto dei lettori sono sembrate ridicole fin dal primo momento.
La repubblica si è difesa bene.
Ha consentito il rientro dei Savoia, i vivi, ché i defunti sono ancora dov'erano, anche perché stava incombendo una salata multa per violazione dei diritti umani, ma nel contempo ha rovinato loro la reputazione facendo percepire come particolarmente "fuori posto" le sacrosante richieste di risarcimento che gli ex esiliati avevano appena chiesto.
Dovremmo gioire ed invece ci resta un retrogusto amaro.
La giustizia è stata usata per diffamare la Casa degli unici artefici reali dell'Unità d'Italia e del suo completamento.
Il figlio del Re tradotto in carcere come un malfattore qualsiasi.
A quanto ammontano i danni d'immagine creati dalla magistratura alla dignità di Casa Savoia?
E soprattutto chi li pagherà?
Il giudice Woodcock? La repubblica italiana?
Ed anche i costi di tutte queste indagini approdate al nulla?
Quelli li paghiamo noi italiani. Soltanto noi.
Ecco. Grazie a queste porcherie la repubblica è nata e grazie a queste porcherie la repubblica continua a non morire, perché vivere è un'altra cosa.
Niente paura dunque.
Come diceva Guareschi: La repubblica continua.
Purtroppo.
Aggiungiamo noi.
domenica 19 settembre 2010
I partiti monarchici dopo il 13 Giugno del 1946
Agli
storici risolverlo per stabilire la verità di quanto accadde quel 13 Giugno
1946. Il Re la notte del 12 dormì nel suo appartamento privato in via Verona,
dove verso le due fu raggiunto dal Ministro Falcone Lucifero che lo mise al
corrente delle decisioni del Consiglio dei Ministri. Il Re era sveglio al
lavoro alla sua scrivania. Lucifero gli propose tre soluzioni: 1) l'arresto dei
Ministri ribelli; 2) far finta che nulla fosse accaduto; 3) protestare contro
il colpo di Stato perpetrato da De Gasperi e partire in volontario
esilio.
Non
conosciamo l'esito della discussione. Sappiamo che durante la prima parte della
giornata del 13 tutti i consiglieri e amici del Re convocati al Quirinale
furono contrari alla partenza. Tra questi Enzo Selvaggi, Alberto Bergamini,
Roberto Lucifero, Manlio Lupinacci, Benedetto Siciliani, Luigi Filippo
Benedettini, favorevole alla partenza solamente il Ministro Falcone Lucifero e
forse non sapremo mai perché. Quella mattina ci fu una riunione nel grande
salone di Casa Benedettini in via Maria Adelaide alla quale parteciparono il
Gen. Augusto De Pignier, l'On. Nino Guglielmi, i giornalisti Nino Serventi,
Roberto Trombetti e Massimo Di Massimo, il Prof. Umberto Mancuso, il Col. Enzo
Avallone, il Gen. Ercole Ronco e molti altri di cui non ricordo il nome,
c'erano anche i dirigenti delle sezioni periferiche dell'UMI romana (il Dott.
Basile, le sorelle Marra e il battagliero e sempre presente De Micco), tutti
contrari alla partenza del Re. Benedettini disse "Come si fa a lasciare un
Regno quando più della metà degli Italiani ha votato Monarchia" aggiunse
"I monarchici sono pronti a insorgere".
Nel
pomeriggio durante gli addii ci furono due forti interventi sullo scalone del
Quirinale quando Enzo Selvaggi dopo aver abbracciato il Re implorò "Maestà
non parta!" e Roberto Lucifero che con la sua imponente mole gridò forte
in faccia al Sovrano "Non parta! Non parta!" Le cronache poi ci
raccontano come si svolsero nel cortile i commiati dai più intimi collaboratori
e dai corazzieri che schierati urlarono "Viva il Re!". Il mistero di
questa improvvisa partenza continua quando si dovette affrontare la stesura del
Messaggio agli Italiani. Qui le versioni sono discordanti: Falcone Lucifero nei
suoi diari ricorda che fu lui a scrivere la versione definitiva del Messaggio.
Altri raccontano di una riunione in casa di Alberto Bergamini in piazza del
Popolo. Infine Benedetto Siciliani aggiunge la sua versione. Certo è che il
Messaggio ebbe più di una stesura e alla fine fu divulgato quello che
comprendeva l'energica protesta di fronte all'atto compiuto dal Consiglio dei
Ministri.
Il
Messaggio venne diffuso subito dopo la partenza del Re e lo stesso pomeriggio
fu strillato nella Galleria Colonna di Roma dall'edizione della sera del Giornale
d'Italia di cui era direttore Alberto Bergamini.
Il Re
autenticò e sottoscrisse il Messaggio almeno due giorni dopo l'arrivo in
Portogallo. Certamente il Sovrano si fidò interamente del suo Ministro. Ma il
mistero non finisce qui! Molti anni dopo il 1946 durante il riordino
dell'Archivio di Falcone Lucifero, Giovanni Semerano e Camillo Zuccoli
trovarono la prima lettera che il Re indirizzava al suo Ministro dal
Portogallo. Portava la data del 17 giugno 1946. La lettera fu subito mostrata
al Ministro che non volle dare alcuna spiegazione su quanto il Re scriveva a
proposito del "trucco" con il quale fu indotto a partire. Quale
"trucco"? Chi ne fu l'artefice? Lucifero non lo ha mai spiegato.
Tutti quel giorno dei 13 giugno furono colti di sorpresa ed espressero
contrarietà alla partenza.
Nei
giorni successivi ci fu tanta confusione tra i monarchici e molti movimenti e
partiti si sciolsero o confluirono nell'Unione Monarchica che salvata da un
affrettato scioglimento dal suo Vice Presidente Luigi Filippo Benedettini
rimase a far fronte sul territorio alla prepotenza repubblicana. A Napoli
accaddero i fatti più gravi. Furono uccisi dai reparti della Celere, la feroce
polizia del Ministro Romita, nove giovani monarchici che manifestavano per la
Monarchia. Con il nome del Re sulle labbra caddero, Guido Beninato, 18 anni.
Ida Cavalieri, 20 anni. Felice Chirico, 19 anni. Gacatano D'Alessandro, 16
anni. Francesco D'Azzo, 21 anni. Vincenzo Di Guisa, 21 anni. Mario Fioretti, 24
anni. Michele Pappalardo, 22 anni. Carlo Russo, 14 anni. A Taranto fu bruciata
la sede dell'UMI di corso Due Mari. Il giorno dopo i giovani del Fronte
Monarchico Giovanile jonico e un gruppo di marinai della Regia Marina, in
divisa, reagirono con un agguato teso ai comunisti. Questi all'uscita
dall'Arsenale vennero aggrediti in piazza Garibaldi e molti di essi finirono
all'ospedale. Numerosi gli interventi e le interrogazioni alla Camera dei
Deputati. Furono sciolti tutti i raggruppamenti monarchici armati che erano
diffusi al Nord e nella rinnovata Unione Monarchica Italiana alla cui
Presidenza fu eletto l'Ammiraglio Giovanni Galati e alla Segreteria Generale
Benedetto Siciliani, si riuscì nel tentativo di federare i vari movimenti
dispersi. Ricordo i gruppi autonomisti del Piemonte, del Veneto, della Sicilia,
quelli indipendenti della Campania e della Puglia e tutti i gruppi che da Roma
condussero le campagne elettorali del 2 giugno 1946.
Questa
operazione unitaria verso l'UMI fu merito di Benedetto Siciliani che fu il
Segretario di uno dei periodi più importanti della vita associativa dell'Unione
che per la prima volta ebbe un suo gruppo parlamentare di deputati e senatori.
Siciliani
tenne diretti contatti con il Re in esilio inviando a Cintra ogni settimana una
rassegna stampa alla quale collaboravano Nicola Torcia e Giovanni Semerano che
erano gli esponenti nazionali del Fronte Monarchico Giovanile.
I
principali partiti monarchici post-referendum furono: il Partito Democratico
Italiano di Enzo Selvaggi, il Partito Nazionale Monarchico di Alfredo Covelli,
il Partito Nazionale Cristiano di Agostino Padoan, il Partito Nazionale del
Lavoro di Aldo Salerno, il Movimento Popolare Monarchico di Luigi Filippo
Benedettini.
Di ognuno
e di tutti quanti ebbero con la loro azione un ruolo attivo nel tentativo di
restaurare la Monarchia è detto nella seconda parte del volume dove le schede
in ordine alfabetico indicano i movimenti che a carattere nazionale operarono
nei primi anni repubblicani.
Tra i
leader monarchici che si recarono dal Re in Portogallo Luigi Filippo
Benedettini lo raggiunse a Cintra alla fine del 1946, quando ancora la Famiglia
Reale era in una situazione provvisoria e in grandi difficoltà economiche.
Benedettini riuscì a parlare con il Re senza filtri e condizionamenti da Roma.
L'intervista che ne usci fu pubblicata dalla Voce Monarchica e il contenuto era
tutto diretto al riconoscimento dell'Unione Monarchica Italiana quale punto di
riferimento di tutti i monarchici italiani.
L'altro
importante incontro tra il Re e i leader monarchici avvenne l'8 marzo 1949
quando una delegazione del Partito Nazionale Monarchico guidata da Alfredo
Covelli e composta da Ezio Coppa, Alberto Consiglio e Ida Marcello Materazzo si
recò dal Re nell'imminenza delle elezioni in Sardegna. Successe il finimondo!
Tutta la stampa nazionale, quotidiani e periodici, si dedicò all'avvenimento
perché i messaggi rilasciati dal Re a Covelli erano una chiara indicazione di
sostegno al Partito Nazionale Monarchico. Si disse che i messaggi erano un
falso. Invece il Re si espresse in modo chiaro e la pattuglia dei monarchici
che si riconosceva intorno ad Alfredo Covelli si senti ancor più di
ricompattarsi con le liste di Stella e Corona.
La
campagna elettorale divenne infuocata e protestarono i monarchici del Partito
Liberale Italiano, dell'Uomo Qualunque e della Democrazia Cristiana. Il
Ministro Falcone Lucifero non potendo «scomunicare" pubblicamente Alfredo
Covelli, con il quale non ebbe mai buoni rapporti, interrogato dai giornalisti
dichiarò che non era al corrente dell'incontro in Portogallo tra gli esponenti
del PNM e il Re.
I primi
anni post-referendurn videro i rapporti tra il Ministro della Real Casa Falcone
Lucifero e gli esponenti monarchici in continua conflittualità. Sono noti i
contrasti tra Lucifero ed Enzo Selvaggi (PD1), Alfredo Covelli (PNM), Luigi
Filippo Benedettini (MPM), Aldo Salerno (PNL), Benedetto Siciliani (UMI).
Soltanto dopo molti anni con la Presidenza dell'Unione Monarchica
dell'Ammiraglio Adalberto Mariano si riconobbe a Falcone Lucifero la guida
morale e materiale dell'UMI e il Ministro svolse questo suo ruolo da una stanza
di Palazzo Tittoni (sede dell'UMI) appositamente arredata e che egli stesso
teneva chiusa a chiave.
Qui di
seguito l'elenco dei movimenti e partiti monarchici all'indomani del 13 giugno
1946 che a Roma si trovarono a doversi riorganizzare di fronte alla sorpresa
dell'improvvisa partenza del Re. In questa indagine mi fermo al 1949. I dati
riportati sono ricostruiti a memoria sulla scorta dei ricordi della
partecipazione personale agli avvenimenti di quegli anni. Potranno essere una traccia
per chi vorrà approfondire la materia.
ALLEANZA
TRICOLORE ITALIANA. L' associazione sosteneva la corrente monarchica nella
Democrazia Cristiana. Il suo Presidente Nazionale era il Maresciallo d'Italia
Ettore Bastico, Vice Presidente il Prof. Gaetano Broschi, Segretario Nazionale
il Dott. Attilio Crepas, che era il direttore del settimanale Brancaleone.
ASSOCIAZIONE
NAZIONALE ITALIANA. Si richiamava alle origini dei nazionalismo italiano.
Presieduta dalla Medaglia d'oro Ing. Fernando Berardíní era organizzata su
tutto il territorio nazionale e si posizionava nel centro destra con una parte
della sua maggioranza che si dichiarava apertamente monarchica.
CENTRO
DEMOCRATICO. Fondato da Roberto Bencivenga partecipò nel Blocco della Libertà
alla campagna elettorale per la Costituente del 2 giugno 1946. Dopo le elezioni
il Centro confluirà nell'Uomo Qualunque a ingrossare le fila dei monarchici
qualunquisti nel tentativo non riuscito di indurre Guglielmo Giannini a fare
dell'UQ un partito monarchico.
CENTRO
POLITICO ITALIANO. Movimento cattolico legittimista e monarchico fondato e
diretto dall'Avv. Carlo D'Agostino che dirigeva anche il settimanale L'Alleanza
Italiana. Partecipò alle diverse campagne elettorali di quegli anni con liste
proprie o collegate con il Partito Nazionale Monarchico. Epocali le battaglie
contro la Democrazia Cristiana e in una di queste arrivò a denunziare al
Sant'Uffizio per eresia Alcide De Gasperi.
CONCENTRAZIONE
DEMOCRATICO-LIBERALE. Fondata da Alberto Bergamini partecipò alla campagna
elettorale del 2 giugno 1946 nel Blocco Nazionale della Libertà. Travagliata la
vita di questo raggruppamento, si dimetteranno Alfredo Covelli che fondò il
Partito Nazionale Monarchico e Emilio Patrissi che aderì all'Uomo Qualunque.
MOVIMENTO
MONARCHICO ITALIANO. Fondato e diretto dal Conte Giorgio Asinari di San
Marzano. Ebbe diverse esperienze elettorali: nel 1946 partecipò a Roma con una
lista propria che prese circa 40.000 voti. Fu presente in tutte le successive
campagne elettorali alleato con il Partito Nazionale Monarchico.
MOVIMENTO
POPOLARE MONARCHICO. Fondato dall'On. Luigi Filippo Benedettini, deputato alla
Costituente e Presidente dell'Unione Monarchica Italiana. Direttore del
settimanale La Voce Monarchica. Il Movimento fu attivo fino alle amministrative
del 1960 quando Benedettini fu eletto anche Consigliere Comunale di Roma. Al
Movimento Popolare Monarchico aderirono l'On. Giuseppe Fanelli, il Dott. Aldo
Maroi direttore del settimanale «L'Idea Monarchica", l'On. Vincenzo Cicerone,
e moltissimi esponenti monarchici di ogni parte d'Italia.
PARTITO
DEMOCRATICO ITALIANO. Fondato da Enzo Selvaggi fu capofila nel Blocco Nazionale
della Libertà, assieme alla Concentrazione Nazionale DemocraticoLiberale e il
Centro Democratico; il PDI e gli alleati ottennero alla Costituente 16
parlamentari, Roberto Bencivenga,Tullio Benedetti,Alberto Bergamini, Gustavo
Fabbri, Enzo Selvaggi, Francesco Marinaro, Luigi Filippo Benedettini, Giuseppe
Buonocore, Carlo Colonna di Pallano, Alfredo Covelli, Vincenzo Cicerone,
Giuseppe Ayroldi Carissimo, Pasquale Lagravinese, Francesco Caroleo, Roberto
Lucifero, Orazio Condorelli. Dopo la partenza del Re da Roma il PDI che fu il
principale punto di riferimento dei monarchici dalla lotta clandestina della
Liberazione alle campagne elettorali del 2 giugno 1946, entrò in crisi fino al
suo scioglimento. I principali esponenti emigrarono chi nell'Uomo Qualunque e
chi nel Partito Liberale dove Enzo Selvaggi si ritrovò con Roberto Lucifero
allora divenuto Segretario Generale eletto a dicembre dei 1947 durante il IV
Congresso Nazionale.
PARTITO
NAZIONALE CRISTIANO. Nell'attivo circolo monarchico di via Principessa Clotilde
a Roma "La Bussola" , l'Avv. Agostino Padoan fondò nell'agosto del
1946 il Partito Nazionale Cristiano. Numerose le adesioni iniziali tra cui si
ricordano quelle dell'Avv, Luigi Zuppante, del giornalista Pasquale Pennisi,
dell'Avv. AntonioAngelini Rota, del Prof. Stefano Tinella, del Conte Enrico
Pocci, dei Prof. Camillo Pulcinelli e del Col Aroldo Vinciguerra. Il PNC ebbe
breve vita e nel maggio del 1947 confluì nel Partito Nazionale del Lavoro.
PARTITO
NAZIONALE DEL LAVORO. Questo nuovo Partito sorse a Roma il 14 agosto 1946
fondato da Aldo Salerno con le adesioni iniziali del Prof Umberto Mancuso, dei
Gen. Carlo Vecchiarelli, del Comm. Mario Monastero, e della Contessa Vittorina
Paoletti.
Nel 1947
dopo l'ingresso nel PNL dell'On. Luigi Filippo Benedettini, che assunse la
Presidenza furono definite le nuove cariche: Vice Presidente On. Nino Guglielmi,
Segretario Generale Aldo Salerno, Vice Segretari Mario Mazzuoli, Col. Enzo
Avallone, Roberto Trombetti, Gen. Ercole Ronco. Dirigenti Nazionali: Vittorina
Paoletti (Mov. Femm.), Giacomo Spica (Mov. Giov) Umberto Mancuso e Nino
Serventi.
Il PNL
pubblicava tre settimanali "Azione Monarchica" diretto da Aldo
Salemo, "La Voce Monarchica" diretto da Luigi Filippo Benedettini e
"La Fiamma Monarchica" diretto da Aldo Maroi.
Nel 1948
il Partito confluirà, nel Partito Nazionale Monarchico, mentre l'On. Benedettini
costituirà il Movimento Popolare Monarchico.
PARTITO
NAZIONALE MONARCHICO. Fondato da Alfredo Covelli che ne fu il Segretario
Generale dall'inizio alla fine quando dopo decenni di gloriosa attività dentro
e fuori dal Parlamento il Partito si sciolse nell'abbraccio mortale con il
Movimento Sociale Italiano. All'inizio della sua attività mentre dalla sede
nazionale di via Quattro Fontane si organizzava su tutto il territorio
nazionale inglobando numerosi movimenti monarchici, dalla sede romana di via
della Croce il PNM si sviluppava per l'impegno e l'impulso promosso dal suo
Segretario Federale Avv. Niccolò Basile e dal suo Movimento Giovanile che
invece aveva sede in via Pier Luigi da Palestrina diretto da Giovanni Semerano
e dai suoi Vice Carmelo Lo Voi, Enrico Boscardi e Mario Pucci.
In quegli
anni post-referendum i giovani monarchici erano numerosissimi e attivissimi. Li
guidava Nicola Torcia contemporaneamente Segretario Generale del Movimento
Giovanile del Partito Nazionale Monarchico e del Fronte Monarchico Giovanile
che prima di aderire all'UMI era un'organizzazione indipendente.
UNIONE
MONARCHICA ITALIANA. La più antica e prestigiosa associazione monarchica dopo
il referendum istituzionale si trovò a vivere una fase di crisi interna. Da una
parte l'On. Luigi Filippo Benedettini riuscì a evitare lo scioglimento
dell'Unione richiesto dai fautori dei Partito Nazionale Monarchico e dall'altra
il nuovo Segretario Generale Benedetto Siciliani riuscì a riorganizzare l'UMI
convocando i Congressi Nazionali che lo avrebbero visto più volte rieletto assieme
ai Presidenti Amm. Giovanni Galati e Marchese Giuliano Capranica del Grillo.
L'UMI costituì per la prima volta un Gruppo Parlamentare Monarchico al quale
aderirono deputati e senatori monarchici appartenenti a diversi partiti. Non vi
è dubbio che l'UMI ha vissuto due momenti di particolare interesse, quello
della Segreteria Siciliani che fu il più denso e vivace di contenuti politici e
quello della Segreteria Semerano, che dopo la morte dei Re Umberto II sollevò
la questione dinastica con l'indicazione di SAR il Duca Amedeo d'Aosta
legittimo successore del Re defunto. La Sede dell'UMI è oggi a Roma in via
Riccardo Grazioli Lante, 15.Al XII Congresso sono stati eletti Presidente
Onorario Dott. Comm. Giovanni Semerano, Presidente Nazionale Avv. Gian Nicola Amoretti,
Vice Presidente Nazionale Comm. Camillo Zuccoli, Segretario Generale Comm.
Sergio Boschiero, Vice Segretario Generale Cav. Ettore Laugeni.
NOTE
Tra i
numerosi movimenti monarchici che operarono in ogni parte d'Italia segnalo: a
Torino il GRUPPO MONARCHICO INDIPENDENTE LA MOLE. Fondatore e animatore dei
Gruppo fu il Col. Enzo Fedeli. La Mole ha sempre appoggiato i partiti
monarchici, prima il Partito Monarchico Nazionale (Stella e Corona) e poi il
Partito Monarchico Popolare (Leoni e Corona).
A Livorno
il GRUPPO SINDACALISTA NAZIONALE MONARCHICO di cui fondatore e Segretario
Generale fu Giulio Mariotti sindacalista che si proponeva la collaborazione di
classe tra i lavoratori e gli imprenditori.
A Taranto
il FRONTE MONARCHICO GIOVANILE JONICO fondato e diretto da Giovanni Semerano
con la collaborazione di un comitato di cui facevano parte Giuseppe Grassi,
Francesco Gravina, Franco Greco, Valentino Stola, Francesco MarzuW, Gianna
Colorma, Liliana Di Todaro, Giovanna Gennarini, Marianna Greco, Luigi Calvaruso
e per la Provincia Angelo Fortunato, Roberto Caprara, Sergio Zucconi. il Fronte
che aderì all'Unione Monarchica Italiana di cui era Presidente Regionale l'Avv.
Nicola Giordano e Presidente di Taranto l'imprenditore Mario Boccuni, (dirigente
femminile la Contessa Concetta Lanfranchi), appoggiò alle elezioni
amministrative la lista Taras del Partito Liberale Italiano di cui era
Presidente l'Avv. Silvio Di Palma. Il Fronte disponeva di due periodici
"L'Eco Monarchica" e "L'Ora Monarchica"e del Notiziario
Fert.
Brevemente
ricordo i movimenti monarchici che proliferarono durante gli anni cinquanta, il
Partito Monarchico Popolare del Comandante Achille Lauro, il Fronte di Unità
Monarchica degli Onorevoli Gianfranco Alliata e Leone Marchesano, i Lazzaroni
del Re di Massimo Di Massimo, il Movimento di Democrazia Liberale del Gen.
Giuseppe Bertone, il Movimento Monarchico Europeo di Renato Marmiroli, il
Movimento Monarchico Italiano dell'On. Antonio Cremisini, il Movimento
Monarchico di Ernesto Mannucci, il Partito Monarchico Italiano dell'On. Nino
Guglielmi, l'Unione Combattenti Italiani del Gen. Giovanni Messe, il Gruppo di
Ricostruzione Liberale degli Onorevoli Giuseppe Perrone Capano e Agilulfo
Caramia.
LA STAMPA
PERIODICA MONARCHICA
ALLEANZA MONARCHICA,
mensile diretto da Carlo D'Agostino.
ATTI
DELLA CONSULTA, periodico della Consulta dei Senatori dei Regno a cura di
Agostino Padoan.
AZIONE
MONARCHICA, settimanale diretto da Aldo Salerno e poi condiretto da Nicola
Torcia e Giovanni Semerano quando il settimanale divenne espressione della
corrente antifascista nel Partito Nazionale Monarchico.
BRANCALEONE,
setti~e diretto da Attilio Crepas.
FERT,
bollettino d'informazione del Fronte Monarchico Giovanile jonico.
FERT
agenzia stampa fondata da Mario Pucci. Oggi è il mensile dell'Unione Monarchica
Italiana diretto da Sergio Boschiero con la collaborazione di Antonio Parisi ed
Ettore Laugeni.
FIAMMA
MONARCHICA, mensile diretto da Aldo Maroi.
FRONTE
EST settimanale diretto da Alfredo Linussa.
IL
CONSERVATORE mensile diretto da Massimo Di Massimo.
IL
CORRIERE DELLA NAZIONE quotidiano dei Partito Nazionale Monarchico.
IL
GIORNALE D'ITALIA quotidiano della sera diretto da Alberto Bergamini.
IL
GOVERNO settimanale diretto da Roberto Cantalupo.
IL
MEZZOGIORNO quotidiano, di proprietà di Alfredo Covelli.
IL
MONARCHICO periodico diretto da Emesto Mannucci.
IL POPOLO
DI ROMA quotidiano diretto da Eduardo Stoffi.
IL
RISORGIMENTO LIBERALE quotidiano diretto da Manlio Lupinacci.
IL ROMA
quotidiano di proprietà di Achille Lauro.
IRPE
agenzia stampa quotidiana diretta da Franz Ferretti.
ITALIA
MONARCHICA settimanale diretto da Alfredo Covelli e Pasquale Pennisi.
ITALIA
NOSTRA settimanale diretto da Gaspare Buffa, organo della corrente monarchica
nella Democrazia Cristiana.
ITALIA
NUOVA quotidiano diretto da Enzo Selvaggi.
ITALIA
SABAUDA periodico diretto da Nino Bolla.
L'AZZURRO
settimanale diretto da Fcrnando Ciarrapico.
LA DESTRA
settimanale diretto da Donato Marinaro e Livio Caburi.
LA
MANDRAGOLA mensile diretto da Massimo Di Massimo
LA MOLE
mensile diretto da Enzo Fedeli.
LA
MONARCHIA mensile diretto da Giovanni Semerano.
LA NOSTRA
BANDIERA periodico diretto da Francesco Guglielmetti.
LA NOSTRA
VOCE periodico diretto da Michele Formentini.
LA PATRIA
quotidiano di proprietà di Achille Lauro.
LA
RIVOLTA NAZIONALE periodico diretto da Nino Guglielimi.
LA VOCE
MONARCHICA settimanale di Luigi Filippo Benedettinì.
LA
QUIRINETTA settimanale diretto da Ugo Guerra e Gustavo d'Arpe.
L'ECO
MONARCHICA periodico diretto da Giovanni Semerano.
L'IDEA
periodico diretto da Eugenio Cutolo.
L'IDEA
MONARCHICA settimanale diretto da Aldo Maroi.
L'INTRANSIGENTE
settimanale diretto da Aldo Salerno e Massimo Di Massimo.
L'ORA
MONARCHICA settimanale diretto da Silvio Di Palma.
di
Giovanni Semerano
domenica 12 settembre 2010
Dalla Monarchia alla Repubblica
giovedì 9 settembre 2010
Siamo monarchici. E ci piace Re Silvio
Questo è ovviamente solo il titolo ad effetto dell'articolo. Noi come Re vogliamo soltanto il Re che naturalmente l'Italia deve avere. Ma l'articolo di Veneziani è interessante perché esprime un bisogno di Monarchia in Italia. Una Monarchia che noi vogliamo fedele alle tradizioni ed aperta alle innovazioni, garante delle regole e punto di equilibrio, quanto necessario!, della Nazione.
Chi accusa il Cav di essere un monarca gli fa un complimento. Il Paese vuole un leader che decida e che incarni il popolo. Quando perse la figura paterna regale l'Italia incoronò la Dc regina madre
L’Italia coltiva un segreto che non ha il coraggio di confessare: è un paese monarchico che ha bisogno di un re. Ha votato Berlusconi perché è un monarca e ogni votazione con lui è un referendum tra monarchia e repubblica dei partiti. Quando lo accusano di essere un monarca non capiscono che gli fanno il miglior complimento perché lo riconoscono espressione diretta e verace del suo popolo. Quando poi ad accusarlo di essere un monarca sono gli stessi che furono fatti principi e baronetti nel segno della monarchia, allora ci scappa da ridere e da piangere. Non vi rendete conto che il suo peccato principale, il virus regale, coincide con la ragione del suo successo e di conseguenza del vostro?
L’Italia ha bisogno di un re sia sul piano simbolico perché vuole una figura di leader, di arcitaliano, che incarni il concentrato nazionale del suo popolo; sia sul piano pratico perché esige un decisore, un capo, che non si perda nel fumo delle mediazioni ma si assuma la responsabilità di decidere. Non vuole un dittatore, ma un re, che è figura temperata e gentile, perfino gaia e lussuosa, che conduca per mano e non trascini il suo popolo, indulgente, che rassicuri e non minacci, amato dal popolo, e dunque votato e giudicato, e non un arcigno tiranno, come sono in potenza tanti loschi regicidi. Anche se poi, nella nostra breve esperienza di regno, a eccezione del primo, un re l’abbiamo ucciso, l’altro costretto alla fuga e l’ultimo all’esilio.
Il paese reale, e mai espressione fu più pertinente, predilige il re alle sette, ai partiti, alle cosche, alle logge e alle conventicole. Quel che chiamiamo populismo è spesso monarchia popolare. Berlusca ha testato la sua regalità nei regni più consoni a lui: la televisione, lo sport, il commercio, gli affari.
Certo, l’istinto monarchico degli italiani ha un gemello in ombra che è l’istinto anarchico: l’uno resta il principio elementare di organizzazione, l’altro di disorganizzazione; con l’uno ci chiamiamo dentro l’Italia, con l’altro ci chiamiamo fuori e badiamo solo ai fatti nostri. Anzi, a volte, si sogna l’anarchia all’ombra della monarchia, il rex come alibi per eludere la lex. È questo il pozzo nero dell’istinto monarchico e va denunciato.
Ma questo è un paese di anarchici monarchici, che patisce quando cerca vanamente di tenersi nel mezzo, attraverso la concertazione delle baronie, il compromesso dei potentati, senza mai riuscirvi. Tra l’anarchia e la monarchia il nostro paese non ha trovato una via di mezzo più efficace della consorteria, che di razza in casta, in loggia, in cricca, e degenera in mafia. Ma il nostro è un paese di solisti, che alla fine invocano il Solista Principale e lo proclamano Re.
Il presidenzialismo, che gli italiani preferiscono da anni al parlamentarismo, è solo un travestimento di quell’istinto monarchico, un espediente per renderlo presentabile e compatibile con i nostri tempi. Gli italiani sono più monarchici dei pur numerosi paesi europei che sono ancora regni. Solo che con un processo unitario così maldestro e una dinastia piemontese così discussa e straniera per tanti suoi sudditi, accusata di gravi repressioni nel Sud e di spirito anticattolico, poi criticata per la subordinazione al fascismo e per la cosiddetta fuga di Pescara e Brindisi, infine vituperata per lo sfaldarsi poco regale della dinastia nei suoi epigoni, non possiamo permetterci il lusso di invocare il ritorno del re e dei reali. La storia ci ha disattivato il contratto con il re, ha disabilitato il paese alla monarchia. Non abbiamo a disposizione una dinastia credibile. Ma è quel che sotto sotto vorremmo. E così lungo la strada abbiamo sempre cercato reucci, surrogati di re, corone di passaggio, divi, cantanti e calciatori che fossero monarchi. Dai più infimi al Papa Re, un Sovrano elettivo, garantito dall’alto, che rispetto al Re padre, è una specie di Re Nonno. Tra i supplenti del re spicca la dinastia piemontese degli Agnelli che hanno esercitato la regalità nel potere economico, stradale e nell’immaginario collettivo del nostro paese. Anche le folle comuniste da noi hanno sempre acclamato i loro re, da Stalin a Togliatti, da Mao e a Castro, o in versione democratica, da Kennedy a Obama. L’indole delle folle latine e mediterranee propende per il re-capo: e laddove è impraticabile il re, come nella Francia repubblicana e rivoluzionaria, hanno sfornato napoleoni e degaulle, cioè sovrani senza dinastia ma con grandi poteri e grandi ambizioni.
Quando perse la figura paterna regale, perché il re era ormai remoto, l’Italia si rifugiò nella figura della regina madre, la Democrazia cristiana. La Dc era una mamma collettiva che faceva le veci del Padre assente e per ingannare l’attesa del Re e tirare a campare, disfaceva di notte quel che filava di giorno. Così sfiancando i suoi proci, rinviando, mediando e logorando, la penelope democristiana ha governato la casa per anni, vedova virtuale del Re.
L’Italia avrebbe forse bisogno di una piramide di monarchie: sovrani con pieni poteri che decidono nei rispettivi regni di competenza, territoriali e settoriali, e poi rispondono del loro operato, culminando infine in un sovrano che siede nel Palazzo dei Papi e dei Re, il Quirinale, o nella sua dépendance di Palazzo Chigi.
Non penso che la formula monarchica vada cucita su misura per Berlusconi ma penso che aderisca all’Italia anche oltre Berlusconi. Una monarchia elettiva popolare, libera e democratica, che non sia il preludio alla tirannide ma nemmeno il paravento dell’anarchia. Non so se la monarchia sia la forma politica migliore, però quando vedo i satrapi della partitocrazia, mi vien voglia di gridare «viva il Re»; o «viva la Regina», magari di quelle sovrane sobrie, con le suole bucate, come la vecchia, cara Elisabetta d’Inghilterra...
di Marcello Veneziani
da www.ilgiornale.it
sabato 4 settembre 2010
L'Unità d'Italia vista da ...
Si è sviluppato sul sito del Sole 24 ore un interessante dibattito sull'Unità d'Italia, ormai messa in discussione da tutti con motivi della cui fondatezza è più che lecito dubitare.
Nessuno nega che a guardare con gli occhi di chi vive nel 2010 le cose del 1860/61 possono essere lette con luce affatto diversa.
Da qui alla negazione di ogni ragione "sana" dell'Unità ed al continuo quotidiano insulto nei confronti dei Padri veri della Patria, quelli che furono capaci di giocarsi tutto per il suo bene, al dipinto abbastanza poco credibile di Regni e Ducati rappresentati come il Paradiso terrestre ce ne corre.
Al seguente articolo: L'Unità d'Italia vista da Sud: un'annessione senza dichiarazione di guerra? ha fatto seguito la replica dell'ottimo dr. Alberto Casirati che qui riportiamo per intero.
Dopo la pubblicazione dell'articolo del 31 agosto sull'Unità d'Italia vista da Sud abbiamo ricevuto la lettera del presidente dell'Istituto della Reale Casa di Savoia, il dottor Alberto Casirati, che contesta alcuni degli argomenti proposti nell'articolo. Con ricchezza di argomenti, il dottor Casirati propone le puntalizzazioni dell'Istituo di Casa Savoia su un momento storico che, riconosce, «ha avuto le sue ombre, come ogni esperienza umana» ma che - afferma - ha «costituito per il Sud un'occasione vera di sviluppo». Non riteniamo che le puntualizzazioni dell'Istituto contraddicano la sostanza dell'articolo in cui le tesi anti-risorgimentali vengono sottoposte al giudizio di storici autorevoli. In ogni caso riteniamo che la pubblicazione della lettera possa offrire ai lettori un punto di vista autorevole, per quanto interessato.
Egr. Direttore,
l'articolo del 31 agosto 2010 di Giuseppe Chiellino, dal titolo L'Unità d'Italia vista da Sud: un'annessione senza dichiarazione di guerra? ripropone, seppur garbatamente, alcuni argomenti senza alcun fondamento storico, cavalli di battaglia di chi, per motivi di carattere personale e sfruttando la buona fede di persone all'oscuro dei fatti storici, cerca di sfruttare anche il cosiddetto "150° anniversario dell'unità italiana".
Per amor di verità storica, e per limitarsi ai temi accennati nell'articolo, è necessario ricordare che:
- nel 1861 non fu raggiunta l'unità nazionale, bensì proclamato il Regno d'Italia. L'unità venne completata solo nel 1918, grazie alla vittoria nella "Grande Guerra" (che divenne così la IV Guerra d'Indipendenza italiana) ed il raggiungimento dei confini naturali della Patria;
- le tesi dei nostalgici borbonici ignorano completamente il quadro generale europeo e mondiale del XIX secolo, nell'ambito del quale il processo unitario nazionale dovette per forza di cosa muoversi e dal quale era inevitabilmente condizionato;
- il brigantaggio, che i neoborbonici imputano alla "conquista piemontese", era in realtà già ben radicato nel Sud già due secoli prima. Tanto che i primi a mettere in pratica la repressione armata del brigantaggio furono gli stessi Borbone, che sotto Ferdinando I arrivarono persino ad affidarsi ad uno straniero: il Generale Richard Church. Anche durante il regno di Gioacchino Murat, diversi decenni prima della spedizione dei Mille, il brigantaggio fu aspramente combattuto. Il Colonnello francese Charles Antoine Manhés è ricordato per i suoi metodi violenti e crudeli. I francesi stigmatizzarono in particolare l'utilizzo delle bande da parte dei nobili latifondisti locali, che se ne servivano per tenere i loro contadini in una situazione di sottomissione del tutto simile alla schiavitù. Altro che patrioti!
- la tanto decantata "identità meridionale" ha la stessa credibilità storica della Padania: una favola. Basti pensare all'odio nutrito per la dominazione borbonica da parte dei siciliani, che parteciparono, con migliaia di caduti, alla liberazione dell'isola, appoggiando in armi la spedizione garibaldina;
- le casse del regno borbonico erano ben fornite, ma a scapito del popolo: storici meridionalisti affidabili hanno da tempo ammesso le condizioni di vita miserrime della maggior parte dei sudditi borbonici, l'analfabetizzazione imperante e ben al di sopra della media europea d'allora (basti pensare, ad esempio, che numerosi consiglieri comunali della provincia di Napoli firmavano i verbali di consiglio aiutandosi con una stampiglia di legno), l'assenza quasi totale di vie di comunicazione…
- mancava un'istruzione pubblica propriamente detta. Il Prof. Carmine Cimmino, docente napoletano, sintetizza così l'argomento: "I Borbone persero il Regno per necessità storica: Francesco I e Ferdinando II cercarono, con una perseveranza maniacale, di chiudere le genti del Sud in una specie di bolla gigantesca che li isolasse da un mondo che cambiava senza sosta. Accadde così che piccoli gruppi di eccellenza, ingegneri, architetti, medici, raggiungessero posizioni d'avanguardia: ma l'analfabetismo di massa toccava percentuali altissime, e il programma delle scuole pubbliche di primo grado era roba da ridere. Nell'ultima battaglia, sul Volturno, i soldati napoletani si coprirono di gloria, ma pochi di essi sapevano leggere e scrivere; tutti i sodati piemontesi, invece, leggevano e scrivevano con una certa facilità. Questo dato sarebbe sufficiente, da solo, a spiegare il crollo del Regno. La logica della storia è spesso più lineare di quanto si pensi".
- Angelo D'Orsi, professore di Storia del pensiero politico all'Università di Torino, ricorda che "il Regno del Sud era un territorio profondamente depresso ed era almeno un secolo e mezzo indietro rispetto allo sviluppo del resto d'Europa"; gli fa eco il prof. Giuseppe Cacciatore, filosofo salernitano e membro dell'Accademia dei Lincei: "nessuno può negare che quella dei Borbone sia stata una tra le peggiori dinastie europee e contemporanee. E' quella che ha mandato in carcere e al patibolo i patrioti napoletani, che impose il giuramento davanti ai vescovi delle diocesi dei professori universitari per avere il permesso ad insegnare". Metternich previde che la dinastia sarebbe morta di una "infezione" contratta durante i moti del 1820 - 1821: la paura.
D'altra parte, è un fatto storicamente accertato che le sorti del Regno borbonico erano affidate ad una classe "dirigente" composta in massima parte da corrotti e da traditori, pur con alcune lodevoli eccezioni. Lo dimostra anche la repentina decomposizione del Regno dopo lo sbarco dei Mille a Marsala.
Come ogni esperienza umana, anche il nostro Risorgimento ha avuto le sue ombre, ma non v'è dubbio che abbia costituito, per il Sud, un'occasione vera di sviluppo. Se ne ricordarono bene, solo 86 anni dopo, le genti del Sud, quando votarono a grande maggioranza a favore della Monarchia sabauda nel referendum istituzionale.
E' dunque sempre più squallido e meno credibile lo scenario rivendicativo "meridionalista" odierno, che Ernesto Galli della Loggia ben sintetizza dalle pagine del Corriere della Sera del 29 agosto 2010: "Almeno nella sua vulgata di massa, quella del Sud si presenta come una protesta che non tiene assolutamente conto, non fa menzione neppure, di quello che pure tutti gli osservatori imparziali hanno indicato da decenni come tra i principali, o forse il principale ostacolo di qualunque possibile sviluppo del Mezzogiorno. Vale a dire la paurosa, talvolta miserabile pochezza delle classi dirigenti politiche meridionali, specie locali, protagoniste di malgoverno e di sperperi inauditi, ma che continuano a stare al loro posto perché votate dai propri elettori".
Grato di una pubblicazione, porgo vive cordialità.
*Dr. Alberto Casirati
Presidente - Istituto della Reale Casa di Savoia
giovedì 2 settembre 2010
Aggiornato il sito dedicato a Re Umberto II
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